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Centro Studi Nazionale Cisl

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Presentazione sul tema: "Centro Studi Nazionale Cisl"— Transcript della presentazione:

1 Centro Studi Nazionale Cisl
Corso ECONOMIA, FINANZA e POLITICHE FISCALI 1° Modulo PROGRAMMA FORMATIVO 28 – 30 Settembre 2010 Centro Studi Nazionale Cisl Firenze Le scuole del pensiero economico. Dagli economisti classici alle moderne teorie della crescita. © prof. Bruno Soro Facoltà di Giurisprudenza - Università degli Studi di Genova

2 Per iniziare … “… presto o tardi sono le idee, non gli interessi costituiti, che sono pericolose sia in bene che in male.” John Maynard Keynes

3 Premessa: non eccedere nella semplificazione
Non pretendere l’impossibile Non sono uno storico del pensiero economico. Insegno Politica economica, la disciplina che studia l’opportunità e il merito dell’intervento pubblico nel sistema economico, e sono un cultore dell’Economia della crescita e dello sviluppo economico. So poco di Economia finanziaria, di Banche e Casinò, mi interesso maggiormente del comportamento dei sistemi economici reali. La scelta di esporre l’evoluzione delle idee degli economisti a partire dai problemi che essi si ripromettevano di affrontare risente di questi limiti. Mi scuserete quindi se, per dirla con le parole di Keynes, “Dirò troppo per l’inesperto, troppo poco per l’esperto. Benché nessuno ci creda, infatti, l’economia è materia tecnica e difficile. Sta perfino diventando una scienza.” John Maynard Keynes, La Grande Depressione del 1930, in Esortazioni e profezie, Garzanti, Milano 1968

4 ? Cultura e linguaggio La cultura esiste anche negli animali, ma nell’uomo è sviluppata in un grado estremamente elevato, grazie al linguaggio.” L.L. Cavalli Sforza, L’evoluzione della cultura, Codice edizioni, Torino 2004 Gli economisti, al pari dei cultori di altre discipline, hanno elaborato un proprio linguaggio fatto di concetti e di relazioni tra gli stessi. Semplificando moIto possiamo distinguere due diverse forme di linguaggio: il linguaggio di «comunicazione». Strumento di base della «cultura umanistica», questa forma di linguaggio consente di formulare e registrare informazioni (fatti, opinioni, idee), nonché di scambiarle con altri soggetti. La divulgazione e la didattica sono tentativi di tradurre un linguaggio di elaborazione in quello di comunicazione, allo scopo di favorire e agevolare l’accettazione del linguaggio scientifico da parte di chi ancora non lo possiede. [C. Bernardini, 2007] Strumento di base della «cultura scientifica», questa forma di linguaggio fa uso di simboli e di regole di manipolazione logica e consente di rendere manifesta una conclusione (verificabile) a partire da certi assunti. e il linguaggio di «elaborazione». Elaborare una teoria significa ordinare i fatti in base ad uno schema logico a partire da una certa visione del mondo e da un certo numero di ipotesi. Costruire un modello significa formalizzare una teoria utilizzando il linguaggio di elaborazione.

5 ? Spazio e tempo La nostra mente percepisce con maggiore facilità la dimensione spaziale rispetto a quella temporale, perché ci sembra di riuscire a dominarla meglio. Domanda: quanto dista Firenze da Roma? Esempio: la rotondità della terra. «Spazio» e «tempo» sono importanti nella valutazione degli eventi: noi percepiamo una dimensione alla volta (tenendo ferma l’altra) e riusciamo a cogliere certi fenomeni solo se ci poniamo dal punto di vista di un osservatore che sta ad una certa distanza e si allontana man mano da essi. Mentre ci si allontana la terra gira e ci sfugge la dimensione temporale!

6 L’evoluzione culturale
? L’evoluzione culturale Spazio Tempo Evoluzione culturale Quando prendiamo in considerazione un evento, la condizione iniziale esprime, in qualsiasi istante nel tempo, l’inventario delle circostanze concomitanti l’evento stesso. Quando si elabora una teoria si isolano gli effetti che si ritengono rilevanti tra quelli che concorrono a determinare l’evento. Fonte: M. Piattelli Palmarini, I linguaggi della scienza, Mondadori, Milano, 2003

7 ? La scala temporale … ma i decimi di secondo sono l’unità di misura rilevante per la formula uno! Ore e giorni sono le unità di misura prevalenti in Meteorologia Decenni e secoli sono le unità di misura prevalenti per la Climatologia Poniamo che l’anno sia l’unità di misura temporale Mese Climatologia 8.760 365 12 4 1 100 1.000 Decimi di secondo Secondi Minuti Ore Giorno Trimestre Anno Secolo Millennio Meteorologia Attività sportive Economia dei mercati finanziari Microeconomia Macroeconomia Teorie della crescita economica Teorie dello sviluppo economico Analogamente, quando muta la scala temporale di riferimento cambia la branca dell’Economia che si occupa di studiare i vari fenomeni! Minuti e ore sono le unità di misura prevalenti sui mercati finanziari Giorni, mesi e anni sono le unità di misura prevalenti per la Micro e la Macroeconomia Anni e decenni sono le unità di misura prevalenti nelle Teorie della crescita Decenni e i secoli sono le unità di misura prevalenti per le Teorie dello sviluppo economico

8 Che cosa abbiamo imparato
? Che cosa abbiamo imparato L’importanza del linguaggio Che cos’è una teoria e che cos’è un modello Che nell’elaborazione di una teoria non si può cogliere tutta la realtà Che vi sono molte teorie in relazione alla scala temporale utilizzata Come ci ricorda ancora il genetista L.L. Cavalli Sforza in “L’evoluzione della cultura”, “… non si può mai dire se una teoria è vera, ma si può solo dimostrare se è falsa – fino a quel momento non diciamo che una teoria è vera, ma utile.”

9 Alle origini del pensiero economico: dai Classici a Keynes
Di cosa parleremo Alle origini del pensiero economico: dai Classici a Keynes Da Keynes alle moderne teorie della crescita

10 Ambientiamoci nel tempo
? Ambientiamoci nel tempo 2050 = 11 md 2010 = 6,7 md 2000 = 6 md Gli storici ci rammentano che qualcosa di simile è già accaduto circa mila anni fa all’epoca della Rivoluzione Agricola. Secondo Carlo Maria Cipolla ( ) l’evoluzione demografica è legata alla capacità dell’uomo di controllare l’uso delle fonti di energia: con la Rivoluzione Industriale l’uomo ha sostituito l’energia fornita dal cavallo con quella del cavallo a vapore! 1974 = 4 md 1902 = 2 md 1804 = 1 md 1750: ha inizio la Rivoluzione Industriale Fonte: M. Livi Bacci, Banca mondiale

11 Dai Classici a Keynes L’economia classica (dal 1750 al 1850 circa)
Nasce come tentativo di comprendere le modificazioni economiche e sociali indotte dalla Rivoluzione Industriale. Ne sono principali interpreti A. Smith ( ), D. Ricardo ( ), R. Malthus ( ), J.B. Say ( ), J.S. Mill ( ), K. Marx ( ), J.Schumpeter ( ). La rivoluzione «marginalista» (dal 1850 circa al 1936) Introduce nelle discipline economiche il paradigma della fisica e del calcolo marginale. Pone l’accento sul momento dello scambio ed è alla base della moderna «Microeconomia». Ne sono principali interpreti: L. Walras ( ), V. Pareto ( ), A. Marshall ( ) La teoria quantitativa della moneta (dal 1911 circa al 1930 circa) Pone l’accento sul ruolo della moneta e i suoi riflessi che questa ha sull’inflazione. Ne sono principali interpreti: I. Fischer ( ) e K. Wicksell ( ) La rivoluzione keynesiana (dal 1936 al 1970 circa) Pone l’accento sul momento della produzione anziché su quello dello scambio Ne sono principali interpreti: J.M. Keynes ( ), R. Harrod (1900–1978 ), N. Kaldor ( ) Il monetarismo e la Nuova macroeconomia classica (dal 1970 ) Questa scuola di pensiero nega ogni forma di intervento da parte dello stato Ne sono principali interpreti: M. Friedman ( ) e la Scuola di Chicago Dalla rivoluzione marginalista nasce l’economia cosiddetta neoclassica. Essa non prevede le crisi: il sistema economico possiede meccanismi spontanei di aggiustamento che lo conducono verso la piena occupazione. Nell’economia keynesiana le crisi sono endemiche al sistema economico: poiché la domanda effettiva è inferiore alla capacità produttiva si genera disoccupazione involontaria, per contrastare la quale occorrono misure di politica economica. Questo approccio è alla base della moderna «Macroeconomia»

12 La nascita dell’Economia della crescita e dell’Economia dello sviluppo
L’Economia della crescita trae la sua origine dal tentativo di Sir Roy Harrod di trasporre dinamicamente la Teoria Generale di Keynes (1936). L’Economia dello sviluppo nasce invece come disciplina autonoma alla fine del secondo conflitto mondiale. L’Economia «keynesiana» ha innovato il linguaggio e gli strumenti della moderna macroeconomia. Le istituzioni internazionali come la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale sono nate con gli «Accordi di Bretton Woods» del 1944, accordi dei quali John Maynard Keynes è stato uno dei principali artefici. La sensibilità per i problemi dello «sviluppo economico», e con essa l’Economia dello sviluppo, trova invece spazio nei primi studi delle organizzazioni internazionali (BM, FMI) nell’immediato secondo dopoguerra. Da quegli studi sono emerse le profonde disparità economiche e sociali seguite al crollo degli Imperi. Il concetto di «crescita economica» nasce con i modelli elaborati da Harrod e Domar, due economisti keynesiani considerati i fondatori delle moderne teorie della crescita. Fonte: F. Volpi, Lezioni di economia dello sviluppo, Angeli, Milano 2003

13 Sette Premi Nobel per la crescita e lo sviluppo economico
1969, IAN TINBERGEN ( ) e RAGNAR FRISH ( ): “Per aver sviluppato e applicato modelli dinamici nell’analisi del processo economico”. 1971, SIMON KUZNETS ( ): “Per la sua analisi empirica della crescita economica statica e dinamica e per i suoi contributi ad accrescere il livello dell’analisi nella scienza economica”. 1974, GUNNAR MYRDALL ( ) e FRIEDRICH Von HAYEK ( ): “Per i loro lavori riguardanti la teoria della moneta e per le fluttuazioni economiche e per le loro analisi delle interdipendenze di fenomeni economici, sociali e istituzionali”. 1979, Sir WILLIAM LEWIS ( ) e THEDORE SCHULTZ ( ): “Per le loro ricerche sullo sviluppo economico ai problemi dei paesi in via di sviluppo”. 1987, ROBERT SOLOW (1924): “Per i suoi contributi alla teoria della crescita economica”. 1993, ROBERT FOGEL (1926) e DOUGLAS NORTH (1920): “Per aver innovato la ricerca nella storia economica applicandovi teoria economica e metodi quantitativi al fine di spiegare i cambiamenti economici ed istituzionali”. 1998, AMARTYA SEN (1933): “Per i suoi contributi all’economia del benessere”. Fonte:

14 «Crescita» e «sviluppo» non sono sinonimi
? «Crescita» e «sviluppo» non sono sinonimi In valore assoluto il PIL indica la potenza economica di una economia. I confronti tra paesi sono però viziati da un errore di dimensione, per ovviare il quale occorre fare riferimento ad una misura di densità. La crescita attiene agli aspetti quantitativi del sistema economico. In termini assoluti, è misurata dall’incremento del PIL da un periodo all’altro, in termini relativi dal tasso percentuale di crescita del PIL L’indicatore utilizzato nei confronti internazionali è il PIL (o reddito) pro capite. Esso indica la capacità di spesa media di un abitante del sistema economico considerato. Il PIL pro capite fornisce la posizione dei singoli paesi all’interno delle graduatorie, ma le posizioni mutano in relazione alle differenze tra i tassi di crescita del PIL pro capite Le teorie della crescita cercano di spiegare le differenze esistenti tra i tassi di crescita del PIL pro capite. Tali differenze sono all’origine degli avvicendamenti all’interno delle graduatorie Lo sviluppo economico non è riconducibile alla sola dimensione quantitativa. In termini generali, esso consiste nel contestuale ampliamento delle opportunità offerte agli abitanti di un sistema economico e delle libertà di cui essi godono nella scelta dell’opportunità che preferiscono. I grandi temi dello sviluppo economico sono: l’evoluzione demografica la lotta alla povertà estrema lo «sviluppo sostenibile» e gli effetti dell’antropizzazione L’Economia dello sviluppo studia le modificazioni che si accompagnano alla crescita e gli effetti che queste inducono sull’evoluzione demografica e sugli aspetti sociali ad essa collegati.

15 ? L’importanza dei dati L’Economia dello sviluppo e l’Economia della crescita sono due discipline eminentemente empiriche e per poter fare dei confronti internazionali occorrono dati omogenei. I primi studi comparativi tra i sei paesi che avrebbero dato vita alla Comunità Economica Europea sono stati effettuati nel 1948, per conto della Commissione Economica per l’Europa con sede a Ginevra, da un gruppo di 25 tra economisti e statistici coordinato da Nicholas Kaldor. Il primo set di dati esteso a 132 paesi è stato messo a disposizione degli studiosi dalla Banca Mondiale solo nel 1976. Il primo set di dati omogenei utili per effettuare comparazioni (ancorché limitatamente a soli 60 paesi e la cui costruzione ha impegnato un’equipe di ricercatori per ben15 anni di lavoro), è stato ultimato nel 1980. Agli inizi degli anni Sessanta, prima A. Maddison (nel 1960) e poi due economisti inglesi, Beckerman (nel 1962) e lo stesso Kaldor (nel 1964), hanno effettuato i primi confronti internazionali limitati però ad una decina di paesi industrializzati. I primi studi sulla povertà estrema, condotti sotto l’egida della Banca Mondiale e del FMI e che hanno innovato alcuni importanti indicatori, tra cui l’Indice di Sviluppo Umano, risalgono alla prima metà degli anni ’90. Le prime verifiche empiriche su questo set di dati (progressivamente esteso a 120 paesi) sono state effettuate nella seconda metà degli anni ’80 – primi anni ’90 e hanno dato origine alle moderne teorie della crescita cosiddetta endogena.

16 ? Ricchi e poveri Poco meno di un miliardo (il 14,5%) vive nei paesi a reddito basso con un reddito inferiore alla soglia di povertà (2 $ al giorno) La popolazione dei paesi poveri cresce a un tasso del 2,1% … … mentre quella dei paesi ricchi al tasso dello 0,7% L’84% della popolazione mondiale vive nei paesi a reddito medio-basso con meno di 8 $ al giorno e produce meno di un terzo della produzione complessiva Poco più di un miliardo (il 16%) vive nei paesi a reddito alto, con più di 100 $ al giorno e produce più dei due terzi della produzione complessiva

17 Che cosa abbiamo imparato
? Che cosa abbiamo imparato Che la scienza economica moderna nasce con lo sviluppo industriale Che gli economisti Classici hanno approfondito le regole di funzionamento del sistema capitalistico Che gli economisti neoclassici hanno approfondito il meccanismo dello scambio, dei mercati e della formazione dei prezzi a partire dalle scelte individuali Che l’economia keynesiana ha indagato il funzionamento del sistema economico nel suo insieme a partire dall’ottica della produzione anziché da quella dello scambio. Che la crescita è solo una delle dimensioni dello sviluppo economico e che lo studio di questi fenomeni è alquanto recente Che la distribuzione delle risorse e delle ricchezze a livello mondiale è caratterizzata da forte iniquità ed enormi disuguaglianze. In ogni filone di pensiero vi sono aspetti utili alla comprensione di quella parte della realtà che è stata scelta quale oggetto di indagine. Il rifiuto aprioristico e ideologico di un filone di pensiero è un atteggiamento antiscientifico.

18 Alle origini del pensiero economico: dai Classici a Keynes
Di cosa parleremo Alle origini del pensiero economico: dai Classici a Keynes Da Keynes alle moderne teorie della crescita

19 I tre filoni principali delle teorie della crescita economica
L’approccio formale L’approccio valutativo Gli approcci eterodossi A. Maddison e la contabilità della crescita R. Nelson – S. Winter e la teoria evoluzionistica R. Solow e la teoria della crescita esogena (1970) M. Abramovitz e la teoria del catching up N. Kaldor – A.P. Thirlwall e il vincolo dei conti con l’estero R. Lucas e la teoria della crescita endogena (primi anni ‘90) D. North e il ruolo delle istituzioni N. Georgescu-Roegen e la bioeconomia S. Latouche e la teoria della decrescita

20 Il ruolo del progresso tecnico
Volendo individuare un aspetto comune a tutte le teorie della crescita si può fare riferimento al ruolo del progresso tecnico. Il progresso tecnico consiste nel flusso delle innovazioni che alimenta lo stato delle conoscenze tecnologiche. Già nel 1930 John Maynard Keynes aveva evidenziato i rischi della disoccupazione tecnologica: “I paesi che non sono all’avanguardia del progresso (tecnologico) ne risentono in maniera relativa. Noi, invece, siamo colpiti da una nuova malattia di cui alcuni lettori possono non conoscere ancora il nome, ma di cui sentiranno molto parlare nei prossimi anni: vale a dire la disoccupazione tecnologica. Il che significa che la disoccupazione dovuta alla scoperta di strumenti economizzatori di manodopera procede con un ritmo più rapido di quello con cui riusciamo a trovare nuovi impieghi per la stessa manodopera.” J. Maynard Keynes, Prospettive economiche per i nostri nipoti (1930), in Esortazioni e profezie, Garzanti, Milano 1968 Le innovazioni possono derivare da scoperte oppure da invenzioni e possono riguardare sia i processi produttivi che l’introduzione di nuovi prodotti. In genere, le innovazioni di processo sono risparmiatrici di lavoro e vengono introdotte nella produzione attraverso l’acquisizione di nuovi macchinari (gli investimenti reali). Secondo J. Schumpeter il progresso tecnico non è un flusso continuo ma procede ad ondate successive. Esso agisce quale forza al tempo stesso creatrice e distruttrice delle imprese. Il progresso tecnico può non dipendere oppure dipendere dall’attività produttiva. In quest’ultimo caso, affinché le innovazioni non provochino disoccupazione tecnologica occorre che la produzione cresca ad un certo tasso minimo.

21 Di crisi in crisi Abbiamo visto che, a differenza dell’impostazione neoclassica, sia gli economisti classici che la macroeconomia keynesiana ipotizzano che le crisi economiche, non importa se di dimensione locale oppure globale, siano endemiche al sistema capitalistico. Tra la prima e la seconda guerra mondiale si sono verificate, a livello mondiale, otto crisi, tra cui la Grande Crisi degli anni ’30. Tra il 1944 e il 1971 vi sono state sei crisi e tra il 1974 e il 2008 sedici. Le crisi economiche sono riconducibili a due diverse tipologie: finanziarie e reali. Le prime traggono origine dal venir meno della fiducia sulla capacità del debitore di onorare i propri debiti. Le seconde sono originate da una carenza di domanda effettiva, o dalla scarsità di materie prime, oppure da tensioni sui mercati delle fonti energetiche. Poiché il sistema economico è fortemente interconnesso, le crisi finanziarie si trasmettono all’economia reale e viceversa. Secondo la teoria macroeconomica keynesiana il meccanismo di trasmissione dalle crisi finanziarie all’economia reale passa attraverso l’effetto che la distruzione di ricchezza finanziaria ha sui consumi e la contrazione dei consumi sugli investimenti delle imprese: un meccanismo che autoalimentandosi provoca la recessione.

22 Le politiche keynesiane
Secondo la teoria macroeconomica keynesiana è possibile fronteggiare le crisi con opportune misure di politica monetaria e di politica fiscale. La politica monetaria consiste nel controllo della quantità di moneta in circolazione, da parte delle Banche Centrali (la FED, la BCE) allo scopo di contrastare la crisi di liquidità delle istituzioni creditizie. La politica fiscale, consiste invece nella gestione del bilancio dello stato. L’operatore pubblico può attuare misure compensative della domanda aggregata allo scopo di contrastare la riduzione dei consumi delle famiglie ed avviare nuovi investimenti reali in infrastrutture. Ma gli interventi in deficit fanno aumentare il debito pubblico. Sono fautori di questa impostazione interventista i Premi Nobel Joseph Stiglitz e Paul Krugman. Krugman sostiene invece che per arrestare l’aumento della disoccupazione l’economia debba crescere ad un tasso 2,5% E per raggiungere quell’obiettivo occorre che la FED: acquisti titoli del debito privato a lunga scadenza; annunci l’intenzione di mantenere “bassi i tassi d’interesse sul breve periodo”; innalzi “l’obiettivo di inflazione di medio termine”. Secondo Stiglitz la crisi ci ha insegnato che: ■ il mercato non si corregge da sé ■ i mercati falliscono ■ le politiche keynesiane funzionano ■ la politica monetaria non deve limitarsi alla lotta all’inflazione ■ le innovazioni finanziarie hanno un costo sociale In sostanza, per entrambi, le tradizionali misure di Politica economica sarebbero efficaci. Ma è proprio vero?

23 I limiti delle politiche keynesiane
John Maynard Keynes ha elaborato le sue teorie tra il 1930 e il 1936. La diffusione delle sue teorie, specie negli Stati Uniti è avvenuta dopo la fine della Seconda Guerra mondiale. Molti di coloro che sostengono l’efficacia delle teorie keynesiane guardano con nostalgia agli anni ’50 e ’60 del Novecento. Ma quale è stato il contesto (irripetibile) in cui tali politiche hanno avuto successo? Il contesto interno Tutti i paesi occidentali avevano esigenza di ricostruire l’apparato produttivo distrutto dalla guerra; In ciascun paese vi era una domanda sostenuta per i consumi interni, che a sua volta induceva domanda di investimenti produttivi; Le imprese manifestavano una elevata propensione al reinvestimento dei profitti; In ogni paese vi era un elevato clima di coesione sociale e di attaccamento al lavoro; In ogni paese, infine, l’esistenza di un sistema di valori condivisi poneva un freno agli egoismi individuali in favore dell’interesse collettivo. Il contesto internazionale Gli Accordi di Bretton Woods sono venuti meno nell’agosto del 1971; gli effetti del Piano Marshall si sono esauriti; gli USA vivevano una fase non isolazionistica; i paesi europei vivevano una intensa fase di collaborazione che ha visto la nascita prima della CEE, poi dello SME e infine dell’Unione Europea; Le economie occidentali sperimentavano un clima improntato all’ottimismo, in cui aspettative economiche a lungo termine erano favorevoli. Oggi le condizioni che hanno favorito l’età dell’oro dello sviluppo economico non esistono più: l’economia mondiale è fortemente interconnessa (globalizzata); gli Usa stanno perdendo la leadership di potenza economica mondiale a favore di Cina e India; l’Europa ha difficoltà a trovare un suo ruolo politico, oltre che economico, e la sua popolazione è fortemente in declino; e anche Continente Africano si sta muovendo … … e la competenza in materia di politica fiscale è rimasta agli stati nazionali, ma è soggetta a stringenti e vincolanti limitazioni: 1) il rapporto del deficit sul PIL non deve superare il 3%; 2) il rapporto del debito sul PIL non deve superare il 60%. E inoltre, nel contesto dell’Unione europea la politica monetaria è di competenza della BCE alla quale è stato assegnato il compito prioritario di controllare l’inflazione …

24 ? E noi? Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT
Media dell’intero periodo 2,07% La tendenza dell’intero periodo Media 71-80 3,8% Media 81-90 2,4% Media 91-00 1,6% Media 01-09 0,6% La crisi del La crisi del La crisi attuale Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT

25 Possiamo tornare a crescere?
Abbiamo visto i vari approcci suggeriti dalle teorie della crescita. Essi sono riconducibili nella sostanza ai due seguenti: Approcci dal lato della domanda aggregata (interna ed estera) Approcci dal lato dell’offerta aggregata (capitale, lavoro e tecnologia) Vediamo per concludere qualche intervento non convenzionale: Che significa: contrastare il declino della classe media e il sistematico attacco allo stato sociale (istruzione, sanità e previdenza) ■ Una più uniforme distribuzione del reddito, da attuare detassando i redditi più bassi e accentuando la progressività del sistema fiscale. Queste misure avrebbero l’effetto di accrescere i consumi delle famiglie e sostenere la domanda interna. Che significa: contrastare la distruzione del capitale umano e favorire la ricerca e l’innovazione ■ Favorire l’efficienza del sistema scolastico, dell’istruzione universitaria e in genere del sistema formativo pubblico. ■ contrastare il discredito del sistema delle regole; la tolleranza delle varie forme di comportamenti lesivi di interessi economici, che vanno dalla pratica della raccomandazione (sia nelle assunzioni nei servizi pubblici che nel settore privato), alla concessione dei condoni, all’assenza di controlli e all’impunità dell’evasione fiscale, favorendo con ciò il ricorso all’occupazione irregolare e all’impiego di immigrati clandestini. Che significa: evitare la distruzione del capitale sociale, attraverso l’esercizio delle funzioni con le quali lo stato agisce (o non agisce) per frenare la corruzione, il fattore principale che mina la competitività delle imprese

26 Che significa: invertire la tendenza al declino economico!
? E ancora … ■ prestare attenzione alle condizioni climatiche e alla tutela dell’ambiente; alla riconversione all’uso di risorse rinnovabili e delle risorse naturali in genere. Che significa: ridurre i costi sociali e contrastare la distruzione del capitale naturale ■ avversare la concentrazione della ricchezza, la speculazione e l’accumulazione delle varie forme di capitale diverse da quello direttamente produttivo, in quanto scoraggiano gli investimenti privati e impoveriscono la struttura produttiva. Che significa: invertire la tendenza al declino economico! Ma qui la competenza dell’economista si arresta ed inizia quella del politico, delle parti sociali e degli elettori. In altre parole, ha inizio la lotta per la distribuzione del reddito.

27 E per concludere: «Casinò»
Non mi resta che augurare a tutti un buon lavoro lasciandovi un cattivo pensiero su cui meditare: “Quando lo sviluppo del capitale di un paese diventa un sottoprodotto delle attività di un casinò da gioco, è probabile che vi sia qualcosa che non va bene”. John Maynard Keynes, Lo stato dell’aspettativa a lungo termine, cap. XII della Teoria generale dell’occupazione dell’interesse e della moneta, UTET, Torino 1971, pp ? … e invitarvi a ripassare la lezione su:

28 Per saperne di più C. BERNARDINI, Prima lezione di fisica, Editori Laterza, Bari 2007. C.M. CIPOLLA, Uomini, tecniche, economie, Feltrinelli, Milano 1966. M. LIVI BACCI, Storia minima della popolazione del mondo, il Mulino, Bologna 1998. P. KRUGMAN, Lo sguardo cieco degli economisti, Repubblica, sabato 28 agosto 2010 A. Roncaglia, La ricchezza delle idee. Storia del pensiero economico, Laterza, Bari 2006. J. STIGLITZ, Le cinque mosse contro lo stallo, Il Sole 24 Ore, 3 gennaio 2010 F. VOLPI, Lezioni di economia dello sviluppo, Franco Angeli, Milano 2003. Wikipedia, WORLD BANK, World Development Indicators,

29 Centro Studi Nazionale Cisl
Corso ECONOMIA, FINANZA e POLITICHE FISCALI 1° Modulo PROGRAMMA FORMATIVO 28 – 30 Settembre 2010 Centro Studi Nazionale Cisl Firenze Le scuole del pensiero economico. Dagli economisti classici alle moderne teorie della crescita. © prof. Bruno Soro Facoltà di Giurisprudenza - Università degli Studi di Genova


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