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LICEO CLASSICO GIULIO CESARE (ROMA)

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Presentazione sul tema: "LICEO CLASSICO GIULIO CESARE (ROMA)"— Transcript della presentazione:

1 LICEO CLASSICO GIULIO CESARE (ROMA)
Ὲρέω τε δηὖτε κοὐκ ἐρέω, καὶ μαίνομαι κοὐ μαίνομαι. Amo e non amo, sono pazzo e non sono pazzo. Anacreonte Per il tuo cuore basta il mio petto, per la mia libertà bastano le mie ali. Dalla mia bocca arriverà fino al cielo, ciò che era addormentato sulla tua anima Pablo Neruda Tre fiammiferi accesi uno per uno nella notte Il primo per vederti tutto il viso Il secondo per vederti gli occhi L'ultimo per vedere la tua bocca E tutto il buio per ricordarmi queste cose Mentre ti stringo fra le braccia. Jacques Prevèrt L'amore non bisogna implorarlo e nemmeno esigerlo. L'amore deve avere la forza di attingere la certezza in se stesso. Allora non sarà trascinato, ma trascinerà Herman Hesse - Demian LIBRI Ho trovato ciò che cercavo: cercavo il sole e l'ho trovato nel cielo che splendeva, cercavo le stelle e di notte giungevano a colorare il firmamento e illuminare il buio, cercavo te e ora so che sei sempre qui, pronta ad accendere in me il fuoco eterno in cui arde solo chi sa di amare. A.L. POESIE LICEO CLASSICO GIULIO CESARE (ROMA) V H A.S. 2009/10 La poesia si scrive con la penna del cuore, con l’inchiostro dei sentimenti, con la razionalità del poeta irrazionale, ma il suo seme in me è nato, cresciuto grazie a te e per te continuerà. PAGINE D’AMORE PRESENTA PAGINE D’AMORE FILM SPETTACOLI Anonimo T'amai dunque, t'amai e t'amo ancora di un amore che non si può concepire che da me solo. Foscolo (dalle Ultime lettere di Jacopo Ortis) Tu dammi mille baci, e quindi cento, poi dammene altri mille, e quindi cento, quindi mille continui, e quindi cento. E quando poi saranno mille e mille nasconderemo il loro vero numero, che non getti il malocchio l’invidioso per un numero di baci così alto. Catullo Certi amori non finiscono. Fanno dei giri immensi e poi tornano. Antonello Venditti L’amore non ha luogo, non ha tempo, ma, soprattutto, non ha età. Anonimo

2 LO SPAZIO BIANCO THE READER FILM INVICTUS THE ROAD – LA STRADA

3 SPETTACOLI TEATRALI Tito Maccio Plauto “Truculentus” Medea Odissea
Positiva Odissea Menandro “L’arbitrato” Negativa

4 LIBRI Pietro Abelardo “LETTERE DI ABELARDO ED ELOISA” Terenzio
+ SCHEDA DI LETTURA LIBRI Pietro Abelardo “LETTERE DI ABELARDO ED ELOISA” Terenzio “HEAUTONTIMORUMENOS” Hermann Hesse “SIDDHARTA” Tito Maccio Plauto “TRUCULENTUS” Cormac Mc Carthy “LA STRADA” Eva Cantarella “DAMMI MILLE BACI” Eva Cantarella “L’AMORE E’ UN DIO” Bernard Schlink “THE READER”

5 POESIE Dante – “Tanto gentile e tanto onesta pare” Saffo - Frammenti
Emily Dickinson - “Amore tu sei alto” Petrarca - “Erano i capei d’oro a l’aura sparsi” Saffo - Frammenti Gabriele D’annunzio – “La pioggia nel pineto”

6 “TRUCULENTUS” TITO MACCIO PLAUTO
L’osteria invece non viene intesa solo come il luogo in cui si beve, né ha un’accezione del tutto negativa come in Manzoni che la presenta un posto di intrighi e inganni, ma diventa per antonomasia l’ ambiente dove si confidano i timori, le perplessità e i segreti agli amici e spesso non si perde l’occasione di fare anche qualche pettegolezzo. Una diatriba volta a comprendere il vero padre di un bambino è argomento portante dello sviluppo della vicenda, che, però, nella rivisitazione teatrale del regista, non ha un lieto fine ma riesce ad offrire un prezioso spunto di riflessione… Il regista è stato in grado di arricchire il testo plautino facendo gioco anche delle diversità dialettali nella nostra penisola. Ambientata circa negli anni Trenta, in una paesino del Mezzogiorno “che non vale la pena di specificare”, la commedia incarna i suoi protagonisti in attori che volutamente accentuano le peculiarità della parlate del Sud: il tutto risulta già di per sé assai comico alle nostre orecchie. È riconoscibile invece il tipico accento romagnolo in Anastasia: un omaggio della compagnia a Federico Fellini, al quale, in un dibattito post spettacolo ammette di essersi ispirata. Nonostante infatti la ricostruzione scenica, come accennato, sia in età moderna, il regista si era anche prefisso lo scopo di proiettare il pubblico in una dimensione affine a quella della Roma Antica. Mette in scena un’opera che richiama molto il mélange di culture, costumi e tecniche di lavorazione che caratterizzava la Roma Antica quando, nel Terzo Secolo A. C., aveva conquistato popoli tanto lontani quanto diversi fra loro, sapendo fare tesoro della loro cultura. Si gustano quindi i veri sapori della commedia plautina, o almeno si cerca di farla suonare oggi come essa, prendendo spunto sia dalla farsa atellana che dalla commedia greca, doveva risuonare alle orecchie di un romanzo di terzo secolo a Un altro accenno importante meritano i costumi, senza dubbio ben scelti ed idonei. Questi infatti in parte hanno saputo rispecchiare ed incarnare le figure stereotipate che sono i cardini della commedia plautina, come il giovane innamorato, il vecchio misantropo, il soldato millantatore (per esempio nel Miles Gloriosus), il lenone avido, l’uomo assetato di potere. Il “Truculentus” rappresentato dalla compagnia CASTALIA è uno spettacolo che ho apprezzato molto, che ha saputo, specialmente per la sua ironia briosa ma non contaminata eccessivamente da turpiloqui o volgarità, coinvolgermi profondamente, con il resto del pubblico. Eugenio Santacroce V H L’avventata scelta di ambientare in età moderna una commedia di stampo classico, come il Truculentus di Plauto , è risultata un gran successo. A conferma gli spontanei e i lunghi applausi al termine di ogni atto e il profondo coinvolgimento emotivo da parte del pubblico che ha saputo apprezzare e cogliere gli innumerevoli spunti di ironia durante tutto lo spettacolo. Sicuramente la rappresentazione è riuscita nell’intento del regista, che ci ha voluto mostrare come si possa magnificamente e brillantemente attualizzare una commedia scritta anche centinaia e centinaia di anni fa, senza farla perdere di valore. Forse, se si possiede un’ampia conoscenza del testo originale plautino, si può rimanere in parte delusi dalla rappresentazione. La seconda parte della commedia e in particolare il finale appaiono non del tutto fedeli all’opera originale di Plauto. La commedia, a differenza di tante altre dello stesso autore, è stata portata in scena poche volte nei secoli scorsi. Di per sé infatti il testo non ha quella travolgente “vis comica” tipica di altre opere quali “Menecmi e “Miles Gloriosus”, che anche ad una semplice lettura farebbe strappare almeno un timido sorriso anche al critico più pessimista. La buona riuscita della rappresentazione è quindi legata, non esclusivamente ma quasi, alla sensibilità del regista, alla capacità di eloquio degli attori ed al saper cogliere e sfruttare al meglio situazioni che potenzialmente offrono molti spunti di ilarità. Il testo è stato scritto dal commediografo in età avanzata e, stando a quanto ci tramandò Cicerone, Plauto si compiacque molto del suo lavoro. L’argomento trattato nella vicenda di per sé non è certamente dei più eleganti. Nel palco infatti si contrappongono due ambienti: un’osteria e una “casa dei piaceri”, almeno così veniva chiamato il lupanare da Capatosta, dove i bisogni di uomini venivano soddisfatti da meretrici, delle quali ci si poteva anche perdutamente innamorare. La più bella fra tutte le donne era Frenesia che, con il suo irresistibile fascino, seduceva chiunque avesse avuto il piacere di incontrarla. Torna alla home

7 “THE READER - A VOCE ALTA” BERNARD SCHLINK
MESSAGGIO DELL'AUTORE: “The Reader – A voce alta” è un romanzo che invita a riflettere, nonostante ad alcuni possa sembrare allo stesso tempo banale, quasi scontato, ma terribilmente drammatico a L'autore ha lasciato ai lettori ampio spazio per un'interpretazione soggettiva del libro, che inevitabilmente varia da persona a persona, essendo condizionata dal “modus vivendi et cogitandi” di ciascuno di noi a L'autore vuole comunicare due messaggi. Il primo è quello di invogliare a parlare, a non nascondersi dietro le timidezze ed a saper affrontare, per una giusta causa, anche le più intime paure a Il secondo, assai più significativo e simbolico. È quello di farci ragionare intimamente, spingendoci in una sorta di dilemma etico e conflitto morale sulle atrocità del passato ed “in primis” sull'Olocausto. Il romanzo infatti, pur presentando come tema portante una controversa storia d'amore, affronta in maniera molto sentita le controversie sul piano etico sorte nel Dopoguerra, ed offre lo spunto di una profonda riflessione sulle responsabilità degli atroci misfatti in epoca nazista a SCELTE LINGUISTICHE: Il romanzo predilige l'uso di strutture paratattiche, ed è inoltre abbastanza frequente l'uso del discorso diretto che alleggerisce il contenuto rendendolo più chiaro ed accessibile. Il lessico è pregnante, ben scelto e molto settoriale quando si descrivono i vari momenti del processo. Eugenio Santacroce IL CONTESTO STORICO: L'autore omodiegetico narra gli avvenimenti del romanzo ambientandoli in un periodo da lui stesso vissuto. Il contesto storico è facilmente desumibile: si tratta del Secondo Dopoguerra, degli anni Cinquanta e Sessanta. In particolare il romanzo descrive, fra l'altro, uno fra i numerosi processi tenuti in quegli anni in Germania per condannare gli autori delle atrocità e dei misfatti commessi in età nazista a VALORI EMERGENTI: Dalla lettura del libro emergono diversi valori, ma il predominante è l'amore. L'amore fra Hanna e Michel segna infatti lo sviluppo della narrazione. L'amore che lega i due personaggi principali del romanzo è però una sorta di amore al contempo mistero e controverso: lei nasconde al suo amante le tristi verità del suo passato e non ammetterà mai il sentimento che prova nei suoi confronti. Altrettanto particolare è anche il modo in cui questo amore nasce: in una maniera così casuale ed aleatoria che può risultare anche una forzatura. Un altro valore emergente può essere considerato l'amicizia, ma che se viene analizzato solo in parte e costituisce un contorno rispetto al valore portante pocanzi descritto a LO SPAZIO E IL TEMPO: Nel romanzo prevalgo gli spazi chiusi. Si può riportare la casa di Hanna, luogo dove i due si incontravano ed avvenivano le letture dei vari romanzi. Il tribunale, invece, luogo dove la giustizia dovrebbe fare il suo corso, gli assassini dovrebbero essere condannati e gli innocenti assolti, non è visto molto positivamente. In questo contesto è lop spazio entro il quale vengono a galla le debolezze di Hanna, la maliziosità ed il cinismo degli avvocati e le bugie delle altre imputate, disposte a mentire ed incolpare gli altri pur di non assumersi le proprie responsabilità a Tra gli spazi aperti riporto la piscina: il luogo dove Michel si incontrava con i suoi amici, ma dove non si intratteneva mai a lungo per la sua voglia di vedersi con Hanna. Il romanzo racconta avvenimenti che si sviluppano in un arco di tempo di circa trent'anni. L'autore alterna in maniera ben studiata sequenze statiche ad altre descrittive e dialogiche. L'uso di espedienti letterali come l'ellissi accelerano il ritmo della narrazione, non facendo pesare al lettore la lunghezza del romanzo a I PERSONAGGI:Il protagonista indiscusso del romanzo è Michel. Non viene descritto molto fisicamente, e l'autore, scrivendo in prima persona, si immedesima nel protagonista. Hanna invece è una figura tanto indispensabile nel romanzo, quanto misteriosa, sensuale ed affascinante (almeno nel periodo precedente alla prigionia). La famiglia di Michel non è mai molto vicina al protagonista. Il padre è un docente di filosofia, serio ed erudito, e dei suoi fratelli e sorelle si parla poco a La figura di antagonista non è palesemente presente nel romanzo, ma può essere incarnata nelle imputate che, pur di discolparsi, accusano Hanna. Inoltre l'ignoranza e, nello specifico l'analfabetismo, può essere considerato l'antagonista “astratto” del romanzo, che però ha esercitato la sua funzione di antagonista in maniera assai “concreta” a TEMI SIMBOLICI: il tema della crescita viene affrontato nella sue diverse sfaccettature. Michel segue nel corso del romanzo e con l'avanzare degli anni una crescita fisica e psicologica che si riflette mano a mano nei suoi modi di comportarsi. In Hanna invece il passare degli anni degli anni in prigione porta inevitabilmente allo sciuparsi del suo fascino, e al deteriorarsi del suo profumo. “ Ora sa di vecchia” pensa Michel quando dopo anni ed anni la va a ritrovare in prigione, e rimane deluso nelle sue speranze e i suoi ricordi del fascino di Hanna così sensuale sono diventati ormai un lontano passato a MITI: Indubbiamente la trasgressione ed il voler a tutti i costi soddisfare il bisogno sessuale sono i miti che caratterizzano la prima parte del romanzo a TEMA DELLA RICERCA ESISTENZIALE: Nella prima parte del romanzo si evidenzia il tema della ricerca del piacere, dal quale deriva anche, in parte, uno stato di felicità. Il rapporto che lega Michel ad Hanna è costituito da una sorta di scambio tra i due a Miche, infatti, soddisfa i suoi desideri intrattenendo rapporti a livello sessuale con Hanna; lei invece viene ricambiata dal piacere della gioia intellettuale dell'ascolto della ad alta voce di Michel. CONCLUSIONE: Il romanzo non presenta un lieto fine. La morte inaspettata di Hanna indelebilmente il libro, definendolo un romanzo drammatico. Inoltre l'assenza di un motivo chiaro sul suo suicidio contribuisce a lasciare un so che di amaro in bocca al lettore. ANALISI DEL TITOLO: Il titolo non cela significati simbolico metaforici. Particolare è la presenza sia del titolo originale “the Reader” che della traslitterazione in lingua italiana: a voce alta. Il titolo in inglese ritengo che sia più significante che della traslitterazione, ma questa completa il significato del titolo originale rendendolo più efficace e colorandolo di diverse sfumature a LA VICENDA: Il romanzo segue un iter cronologico tendenzialmente sequenziale. Scritto in prima persone, viene presentato dall'autore come una storia da lui stesso vissuta, che ha voluto riportare per iscritto anni ed anni dopo a Michel è un ragazzo di quindici anni che, malato di itterizia, viene soccorso da un'affascinante e sensuale donna sulla trentina, di nome Hanna, che lo riporta a casa. Diagnosticata la patologia, il giovane è costretto a rimanere a casa per mesi, ma fra i suoi ricordi ritorna sempre l'immagine di quella donna che, forse un po' brutalmente, si era occupata di lui. Decide di ricambiarle il favore e, su consiglio della madre, le porta un mazzo di fiori a Ma fra i due inizia una relazione, e Michel si innamora della donna, colpìtone dal profondo e misterioso fascino. Nella loro storia, fatta soprattutto di sesso, non vi era molto spazio per il dialogo, ed Hanna, sprezzante, evitava sempre di raccontare del suo passato. Ma provava piacere a sentire il giovane Michel leggere libri ad alta voce: si dilettava a sentire le peripezie dell'uomo dal multiforme ingegno, Odisseo, oppure i romanzi di autori tedeschi contemporanei a Ma un giorno Hanna scompare, e su di lei nessuno ha più notizie. Michel la rivede per caso durante un processo nel quale lei ed altre imputate erano accusate di aver lasciato bruciare in una chiesa oltre cento donne durante il nazismo a Le altre imputate si discolpano abilmente e furbescamente, negando il vero e dimostrando che non avevano avuto la possibilità di salvarle. Lei, con un comportamento apparentemente stolto, o forse sincero e spontaneo, ammette le sue responsabilità e si autoaccusa di aver scritto un referto. In realtà lei era analfabeta e, pur di non riconoscere il suo handicap, si fa condannare all'ergastolo. La sua prigionia è lunga e, poco prima della sua scarcerazione- merito della buona condotta- decide di mettere una pietra sopra la sua vita e si impicca. 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8 MEDEA Nel mese di febbraio il Teatro delle Muse è stato sede di uno spettacolo quale "Medea", messo in scena dal gruppo teatrale "I Baraonda", i quali sono soliti firmare i propri spettacoli cantando a Molto spesso infatti, la recitazione è interrotta da intermezzi canori per sottolineare l'atmosfera delle scene. Per quanto riguarda la recitazione gli attori erano perfettamente immedesimati nel loro personaggio; in particolare, la protagonista Medea riesce al meglio a coinvolgere e a trasmettere il dolore che prova a Il dolore di Medea è il tema principale dello spettacolo ed è rappresentato anche da alcune figure simboliche presenti nella scenografia a Ad esempio all'inizio dello spettacolo Medea recita all'interno di una gabbia, segno di frustrazione, rabbia ed insofferenza. Più avanti la gabbia scompare a simboleggiare la voglia di riscatto e la grinta ritrovata della protagonista. A questo punto infatti inizia la sua vendetta, ricca di misfatti e inganni a Per sottolineare la rinascita di Medea, la protagonista inizia a recitare al centro del palco sollevata su un piano rialzato. Tutta questa vicenda è collocata nei primi del ‘900 come a paragonare Medea alle suffragette per grinta ed innovatività: infatti segni di questa trasgressione sono l'accendersi una sigaretta davanti al proprio marito Giasone e l'uso dei pantaloni all'inizio della rappresentazione a Elemento particolare che tende ad esaltare l'antichità della vicenda è l'uso delle maschere e la presenza di canti e battute in lingua greca che danno un che di "arcaico" allo spettacolo a Il gioco delle luci è organizzato in modo tale da accompagnare e rafforzare le affermazioni di Medea. I costumi, come tutta la scenografia, sono neri per evidenziare il sentimento cupo e di morte imminente dei personaggi. Nel finale però intravediamo una luce che taglia l'atmosfera tetra: solo alla fine infatti la protagonista indossa un abito bianco simbolo di rinascita e di soddisfazione per aver raggiunto il proprio obbiettivo: vendicarsi di Giasone. Carlotta Costantini & Irene Spina Torna al menù

9 “THE ROAD” JOHN HILLCOAT
Il finale però, come nel libro, lascia l’amaro in bocca, perché non dà un “the end” definitivo, ma lascia in sospeso la trama, innestando nello spettatore molte domande alle quali, con ogni probabilità, non avrà mai risposta. Purtroppo, a mio avviso, questo non si può criticare né a Mc Carthy, né a Penhall, né ad alcuno scrittore, poiché non è facile, dopo un trama geniale e da così tanti spunti brillanti come quella di The Road, uscirne con un finale di quelli alla Agatha Christie (anche perché un libro splatter è e rimane un libro splatter). Infine vorrei tornare, in seguito a tutte queste mie lodi per interpreti, autori, produttori e tecnici, alle scene tagliate da 2929, qui si apre infatti la mia unica critica negativa: non ho affatto gradito la scelta di oscurare e censurare alcune “bloody-scenes”. Io trovo assurdo ed immotivato questo tagliare, spezzettare e censurare. Chi vuole vedere un film, se rientra nella fascia di età a cui la visione è permessa (in questo caso, gli “over 14”), ha il diritto di godere di uno spettacolo completo, proietta nella sua assoluta integrità, perché solo così si può ottenere un cinema di classe, che attrae gente, che ammalia ed affascina gli spettatori. Da critico ed appassionato di cinema non posso che dire di aspettare con fervore l’edizione DVD/Blu Ray e godere delle cut-scenes. Perché un film come “The Road” è un capolavoro, che va ad incrementare il panorama cinematografico surreale e post-apocalittico, spodestando dal trono il successo mondiale “The Day After Tomorrow”, introducendo l’alternativa splatter ed horror che dà quel tocco di spessore emotivo che manca negli altri film del genere suddetto. “The Road” è quindi un film innovativo, un’esperienza del tutto nuova, che va vissuta nella sua integrità, un’esperienza davvero unica. Andrea Lambertucci In questo inizio struggente, tramite le parole del narratore, spesso riprese anche dal libro, viene presentato il mondo post-apocalittico nel quale si ambienta la trama, i suoi caratteri,gli individui che lo popolano, ma soprattutto il figlio (interpretato dal prodigio australiano Kodi Smit-Mc Phee) il co-protagonista del film, e la madre (una Charlize Theron cinica e, forse, perfetta nell’interpretazione della visione egoistica di questo personaggio che, se ad una prima e alquanto superficiale analisi potrebbe apparire secondario, diviene invece protagonista, in quanto figura che incarna il motivo del dolore e della sofferenza che turba gli animi dei due protagonisti). Il film riesce indubbiamente a trasmettere quella suspence che già si può incontrare nel libro, forse in maniera più diretta, grazie agli straordinari effetti sonori (“made by” Nick Cave e Warren Ellis) e ovunque si può ritrovare anche quell’aria pervasa di horror e splatter delle scene più cruente. Le scelte della fotografia e dei costumi sono ottime e pregnanti, gli effetti speciali delle “bloody-scenes” sono sicuramente all’altezza di alcuni fra i più grandi cult della cinematografia splatter, il cast, sicuramente non “d’eccezione”, è di certo adeguato. Ottima la regia di Hillcoat che dimostra la sua crescita cinematografica e l’indiscusso talento artistico ed interpretativo. Mortensen, che in varie interviste dimostra di aver amato questo film, co-producendolo e sacrificandosi per la sua distribuzione, porta nella sua stupenda interpretazione tutto questo ardore e questa passione. Il giovane Smit-Mc Phee si dimostra all’altezza di una trama tanto complessa e conferma di essere un vero “enfaint prodige” del panorama cinematografico internazionale. Da notare le significative partecipazioni di Michel K. Williams, il ladro del carrello, Robert Duvall, l’anziano Ely che tanto ricorda il simbolico personaggio biblico del profeta Elia e Guy Pearce, che al termine del film prospetta un florido “to be continued”. “THE ROAD” JOHN HILLCOAT Spesso non è facile riportare sugli schermi cinematografici capolavori letterali, best-sellers, cartoni animati, serie televisive o videogiochi di successo e fama mondiali, spesso si rischia di inciampare inevitabilmente nella banalità, e non poche volte il mondo della critica si è dovuto misurare con “flop” clamorosi (solo per citarne alcuni: Dragonball Evolution, che ha causato una perdita di oltre 5 milioni di dollari nelle casse della Fox, o il famoso caso del pluricriticato e screditato “Eragon”) ma, nonostante i precedenti e le molte difficoltà nella trasposizione, il film “The Road” di John Hillcoat (sottotitolo, “La Strada”, non intitolato in questo modo in Italia da 2929 per non confonderlo con il capolavoro di Fellini del 1954), che porta sul grande schermo il libro omonimo del premio Pullitzer Cormac Mc Carthy, è riuscito nell’ardua impresa. Si premette che non è un film per tutti: è vietato ai minori di 14 anni e, a mio personale giudizio, è vivamente sconsigliato a tutti coloro che hanno un cuore troppo debole. Innanzitutto, avendo letto il libro (un vero capolavoro osannato dalla critica, vincitore, come detto, del Pullitzer 2005), si possono facilmente notare le differenze, spesso dovute a necessità cinematografiche, approntate dallo sceneggiatore Joe Penhall. La scena non si apre infatti come nel libro. Mc Carthy ci proietta nella scena apocalittica, solo in seguito accenna a ciò che era successo in precedenza, con un abile flash-back. Penhall, in comune accordo con Hillcoat, ha invece optato per un susseguirsi di flash-back e flash-forward che, in modo assai efficace, riescono, anche con l’aggiunta di una voce narrante, quella del protagonista principale, il padre (nel film Viggo Mortensen), a far entrare il lettore in quella che è la vera storia, la vera trama. Torna alla home

10 “HEAUTONTIMORUMENOS” TERENZIO
“Il punitore di se stesso” è una commedia di Terenzio rappresentata ai Ludi Megalenses del 163 a.C. in cui si contrappongono: due padri, due figli, due donne amate da due giovani, due servi e due famiglie. Nel prologo l'autore non anticipa ciò che accadrà e non parla in prima persona. La storia tratta di un uomo che vuole punirsi, di nome Menedemo, un vecchio dall'indole scontrosa e chiusa, che decide di lavorare duramente la sua terra per scontare l'errore di aver indotto il figlio Clinia ad arruolarsi nell'esercito in Asia, ostacolando le nozze con una giovane. Dall'altra parte ci sono Cremete, il vicino, uomo cordiale e disponibile e suo figlio, Clitifone, depravato e instabile. Nel testo traspare l'humanitas, una concezione etica basata sull'ideale di un'umanità positiva. Ciò che conta è che questo ideale sia valido per tutti gli uomini.; Terenzio scriverà appunto: "Homo sum, humani nihil a me alienum puto", ovvero: "Sono un uomo: nulla di umano reputo da me estraneo". E’ una commedia brillante, avvincente e coinvolgente adatta al pubblico di ogni età. Beatrice Mericone Torna alla home

11 “THE READER” STEPHEN DOLDRY
Lo sceneggiatore di "The Reader" coinvolge ancore una volta il pubblico. Michael, appena sedicenne, deve affrontare un durissimo, forse il più duro periodo della sua vita: l'adolescenza a Purtroppo un forte malanno lo costringe ad allontanarsi dalla scuola per mesi. Ma non tutti i mali vengono per nuocere! Infatti soccorso dall'affascinante Hanna, Michel trova l'amore. Destinato a durare? La maestria e la grande audacia di un cast guidato dal regista Stephen Doldry, con la straordinaria partecipazione di Ralph Fiennes e Kate Winslet, hanno permesso la realizzazione di un film di successo, sèguito dell’omonimo capolavoro letterario. Una storia carica di emozioni e sentimenti, travolgente e coinvolgente. Per scelta del regista il film non cela nulla, né lascia grande spazio all'immaginazione, come nelle scene un po' più spinte, girate fin nei minimi dettagli: visione consigliata ad un pubblico pressoché adulto. Adele Guerra Torna alla home

12 “LO SPAZIO BIANCO” FRANCESCA COMENCINI
La drammatica pellicola, tratta dal romanzo si Valeria Parrella, affronta il delicato tema della maternità, maternità sofferta perchè prematura e illeggittima (sono definiti proprio così i figli non riconosciuti dal padre) A Lo Spazio Bianco e un "limbo" in cui si trova Maria, l'attesa della seconda nascita di sua figlia (venuta al mondo solo dopo sei mesi e ora rinchiusa in un'incubatrice in attesa di capire se riuscirà a sopravvivere o no). Lo Spazio Bianco, però, è anche la vita di Maria prima della nascita di Irene, costellata di impegni quotidiani: il lavoro di insegnante, il trasferimento a Napoli, alcuni fugaci rapporti sentimentali e la forte passione per il cinema. Bisogna specificare che la Napoli della Comencini è distante e silenziosa, quasi sembra di fotografare un'altra città,diversa da quella che conosciamo; solo alcuni particolari richiamano il mondo della Napoli criminale (la scorta del magistrato che abita nel pianerottolo di Maria, accenni all'usura). L'atmosfera rarefatta e sognante rappresenta benissimo il limbo in cui galleggia la protagonista,sospesa nell'attesa della vita o della morte. Margherita Buy interpreta la protagonista Maria a La maternità è qualcosa in questo caso di non voluto o cercato, qualcosa che accade per caso; inoltre, lo stile minimalista e l'energia impressa nella rappresentazione della protagonista, dimostrano la volontà del film di rivolgersi a un pubblico variegato. Da segnalare infine l'ottima colonna sonora (che mescola i classici degli anni '80 a pezzi più melodici). Carlotta Sechi Torna alla home

13 “DAMMI MILLE BACI” EVA CANTARELLA
La terza e ultima parte di questa fonte di informazione chiude il libro narrando dieci storie d’amore più o meno conosciute, per citarne degli esempi: Enea e Didone, il trio di Lavinia, Turno ed Enea, gli amori di Cesare: Cleopatra e Servilia, Antonio e Cleopatra e altri sia divini sia terreni che concretizzano tutto ciò che è stato assimilato nelle pretendenti pagine. Sicuramente Eva Cantarella riesce a riportare in vita ciò che è ormai sepolto, anche paragonandolo con un pizzico di ironia alla nostra realtà, per renderci conto che in realtà in alcuni frangenti non siamo cresciuti come crediamo… Con estrema leggerezza e naturalezza Eva Cantarella ci trasporta indietro nel tempo, a incontrare i nostri antenati, coloro dai quali dipende il nostro presente, e bisogna dire che anche in ambito sessuale e n’è da dire. Si parte da un romantico e famoso verso del poeta latino Catullo che in breve si trasforma in un Catullo geloso, arrabbiato, insomma, diverso da quello che abitualmente si legge sui banchi di scuola. Con la poesia che scrive per Aurelio e Furio, corteggiatori del suo amato Giuvenzio, la scrittrice apre davanti ai nostri occhi il mondo virile, virtuoso, potente, ingiusto e proibito dei nostri avi. Il libro è diviso in tre parti principali: il primo capitolo offre una panoramica di quelli che saranno gli argomenti affrontati dettagliatamente in seguito: baci, stupri, matrimoni, dei, vanto, dèfaillance. Si legge che per l’uomo romano, la non riuscita del rapporto sessuale era una delle sconfitte più grandi, ma poi ci si chiede: perché oggi è diverso questo aspetto? Mentre Ovidio, tristemente, ammette la sua debolezza, e giace, non potendo, pur desiderandolo, invece Marziale, da vero macho, incolpa il partner Edilio, o l’amante, Lesbia. La seconda parte racconta dei tre differenti tipi di amore che esistevano secoli orsono: ossia amori dovuti, amori possibili e amori proibiti. Ovviamente non stupisce la discriminazione sessuale riguardo a questi, stupisce però un’inaspettata naturalezza di Eva Cantarella nel narrare fatti che il lettore medio fatica a focalizzare in pieno. Era davvero così naturale per gli antichi Romani tutto ciò che leggiamo? A quanto pare sì. In questa seconda parte supportata da ritrovamenti archeologici, soprattutto pompeiani, come scritte sui muri delle taverne o dei luoghi di prostituzione, viene descritto l’amore, o meglio il sesso, della vita quotidiana degli antenati. Ovviamente agli uomini era tutto dovuto, mentre le donne, se non prostitute, dovevano attenersi alla vita coniugale. Le prostitute infatti, cosa che può risultare leggermente difficile da apprendere, erano ben viste dalla società, obbiettivamente contribuivano al benessere dello Stato, e nessuno osava dir nulla. Per i prostituti leggiamo che la storia era ben diversa, infatti un elemento fondamentale della mentalità romana era la virilità, un uomo non doveva mai essere sottomesso, se non giovane, straniero o schiavo. Si continua con gli amori tra donne, quelli extraconiugali, la pericolosa emancipazione femminile, l’aborto. “Tu dammi mille baci, e quindi cento, poi dammene altri mille, e quindi cento, quindi mille continui, e quindi cento. E quando poi saranno mille e mille nasconderemo il loro vero numero, che non getti il malocchio l’invidioso per un numero di baci così alto.” Cecilia Gaeta Torna alla home

14 “LA STRADA” CORMAC MC CARTHY
La strada è la grande storia di un incondizionato amore reciproco tra un padre e suo figlio. La necessità di continue certezze, il quotidiano rinnovamento della speranza, il dolore causato dall’abbandono di una delle due parti, un atto tragico, indescrivibilmente toccante. Talvolta all’interno della vicenda si è colpiti da un barlume di speranza, derivata da avvenimenti che fanno pensare a una risoluzione della tragica situazione in cui i protagonisti si trovano: l’arrivo nel bunker pieno di cibo, gas, coperte e indumenti trasmette una sensazione di protezione destinata però a durare poco. L’arrivo al mare a la scoperta della barca a vela idem, anche questo non porta che a una non-fine se vogliamo. Dopo la ‘preannunciata’ morte dell’uomo il giovane è costretto a proseguire, a continuare a ‘portare il fuoco’ proprio come ha sempre fatto, senza però quella guida fondamentale quale era il padre. Il bambino si unirà nella conclusione ad altri individui, sperando che siano anch’essi buoni come dicono di essere, e che realmente anche loro non si nutrano di altri esseri umani, lo spera anche il lettore, con tutto il cuore. Contesto storico-sociale: L’intero romanzo è ambientato in un futuro imprecisabile, presumibilmente non troppo lontano. Tutta la vicenda circondata dall’atmosfera cupa della catastrofe, anch’essa inspiegata. Non esiste più alcuna forma di comunità o vita sociale, le città sono scomparse, la gente è morta, la legge del più forte governa suprema. Sistema di valori emergenti: Il valore per eccellenza è l’amore. Indiscusso e inestimabile. L’amore di un padre per un figlio e viceversa viene descritto attraverso piccoli o grandi gesti, semplici dialoghi, che fanno intendere il grande legame che può nascere tra due individui. Il vivere reciprocamente per l’altro. Un altro valore può essere quello del rispetto dell’uomo. Il cannibalismo è la totale assenza di questo aspetto. Mangiare un altro essere umano può essere considerata la forma più antica e arcaica della mancanza della fratellanza. Rapporto fra luoghi di ambientazione e mondo esterno: In questo romanzo non esiste un luogo di ambientazione che non sia lo stesso mondo esterno, se non in qualche rara occasione. La natura, ormai grigia, cupa e spoglia, è la nuova casa dei protagonisti. È una dolorosa verità, l’uomo e il bambino sono costretti ogni notte ad accamparsi “all’ombra” di qualche albero secco, riscaldati talvolta da un instabile fuoco. Una casa fredda, ostile e pericolosa. Personaggi: I due grandi protagonisti di questo romanzo sono l’uomo e il bambino, se si vuole può essere considerata una protagonista, o forse un’antagonista, la Strada.L’uomo non ha un nome, non ha un’età e ha un passato incerto. L’unica cosa di cui si è certi è il suo incondizionato amore per suo figlio, all’inizio del suo viaggio, ha promesso che non lo avrebbe mai abbandonato, che non lo avrebbe lasciato nell’oscurità da solo, e infatti mantiene la sua promessa fino al momento in cui è costretto ad andare lui stesso nell’oscurità, da solo. Più volte nel corso della vicenda cerca di rendere tutto più facile per il bambino, e più volte affronta per lui delle grandi paure e imprese. Spinto dal desiderio di poter far vedere un giorno al figlio un mondo migliore da questo che non può essere considerato tale. Disposto a fare del male a chi minaccia l’incolumità del figlio, si rivela in realtà una persona molto umana, fragile e disponibile. Il bambino, che viene definito solo con questo sostantivo, non ha anch’egli né un nome, né un’età (intorno agli otto anni, forse), né un passato. La sua salvezza è la presenza del padre, gli assicura cibo e riscaldamento, compagni e sicurezza. Il giovane è un personaggio curioso, dolce e sensibile. Non ha vissuto in altro mondo se in quello colpito dalla catastrofe e non è neanche in grado di sognare niente di più lontano di un mare blu. Ogni qual volta si incontra un personaggio positivo, vorrebbe portarlo con sé, per non lasciarlo alla dura realtà della morte, vorrebbe dividere il suo cibo con chi non ne ha, ed è convinto che da qualche parte i buoni lo stiano aspettando. Terrorizzato dalla sola idea di cannibalismo, il bambino è legato al padre in un modo che può legare solo un figlio ad un genitore, ancora una volta amore incondizionato. “LA STRADA” CORMAC MC CARTHY Si incontrano altri personaggi minori, il vecchio Ely, ad esempio, un anziano signore che si dirige inevitabilmente verso la morte; i cattivi, che cercano di catturare i protagonisti, invano; la presenza di cannibali che rinchiudono uomini in delle cantine, mangiandone pezzo per pezzo. L’antagonista principale può essere considerata la condizione di catastrofe in cui si trovano l’uomo e il bambino. L’oscura natura morta, fredda e ostile; la fame che fa morire le persone, contro la quale combattono fino alla fine i protagonisti. Temi simbolici: Il tema principale del romanzo è sicuramente quello del viaggio, come suggerisce lo stesso titolo. Un viaggio materiale e simbolico, verso un nuovo inizio, insieme con la persona più amata. Un altro tema individuabile nella vicenda può essere quello della crescita: il giovane ragazzo lo si incontra pauroso, timoroso di qualsiasi cosa, di qualsiasi azione. Successivamente spinge quasi il padre ad opere pericolose, ed è disposto a collaborare con lui, per poi dover continuare il viaggio senza la grande presenza al suo fianco. Anche l’uomo si può dire che muti, e cresca nello stesso tempo, dai dialoghi con il bambino, ogni volta c’è un po’ di fiducia in più, ogni tanto apprende dal figlio qualcosa di nuovo e sconosciuto. Miti: Un mito può essere quello dell’infanzia, incontriamo infatti un bambino, che vive come quello che oggi sarebbe considerato un ‘barbone’, o ‘homeless’, che dir si voglia. un bambino costretto nell’età infantile a dover affrontare problemi quali la fame, il freddo, la sopravvivenza stessa, un’infanzia negata, si potrebbe dire. Conclusione: Che quella scritta nelle ultime pagine si possa chiamare conclusione, bè, non si può di certo dirlo. Non si arriva infatti a un lieto fine o ad una catastrofe totale. La situazione generale rimane immutata, il grande avvenimento è la triste morte dell’uomo, che lascia il bambino a continuare da solo. Ma continuare, quindi un futuro per ora non diverso dalle vicende descritte nelle prime duecento pagine di romanzo. Messaggio dell’autore: In un romanzo del genere trovare il messaggio che McCarthy voleva trasmettere non è di certo semplice. Senza dubbio l’intero libro è incentrato su questo sproporzionato amore e sulla sua importanza, bisognerebbe cercarlo anche nella nostra vita, senza dover per forza ricorrere alla fine del mondo, probabilmente. Un altro punto fondamentale è costituito dalla descrizione minuziosa del doloro fisico e psichico che può portare la fame, la disgrazia, il pericolo di morte; anche qui non bisogna andare più lontani di una traversata in nave per vederlo anche oggi. Scelte linguistiche: L’autore utilizza un lessico piuttosto ricercato, per inserirlo in brevissimi periodi, che a volta non possono neanche essere considerati tali, semplici parole separate da un punto. Non si può dire che rispecchi le regole grammaticali di punteggiatura, ma può essere considerato intrigante proprio per questo. Curiosi i dialoghi, senza virgolette, senza punti interrogativi, risulta difficile capire chi è che parla. Cecilia Gaeta Titolo: Il titolo del romanzo è ‘La Strada’ e gli può essere attribuito tanto un valore reale quanto simbolico. La strada infatti è quella che i due protagonisti seguono per riuscire ad arrivare al Sud, al mare. È una strada pericolosa, “popolata” anche dai cattivi, cannibali, assassini, ma purtroppo per riuscire ad arrivare all’acqua non è possibile abbandonarla. La parola ‘strada’ può essere anche identificata come il ‘percorso’ del padre e del figlio verso la salvezza, verso l’apice del loro amore e verso un inizio tanto atteso dopo anni di tragedie, che però non è intenzionato ad arrivare. Trama: La trama di questo romanzo è estremamente semplice e scarna. Strutturata come un intreccio, ci sono infatti flashback che interrompono la particolare narrazione, ricordi di una vita precedente, dell’inizio della catastrofe. Aprendo il libro, siamo catapultati nelle prime pagine in un disastro mondiale, una catastrofe della quale non conosciamo cause né effetti. L’autore descrive un’America a noi sconosciuta, in un futuro non troppo lontano, grigia, polverosa, povera, senza sole e senza luna, senza popolo, senza amore e senza colori. Incontriamo subito due individui: un uomo e il suo bambino, che tentano di sopravvivere una notte, come fanno da anni e come continuano a fare ogni notte. Non si sanno nomi, età, luoghi. I dolori pensieri e ricordi dell’uomo piano piano aiutano a rispolverare uno sconosciuto passato. La catastrofe non viene minimamente descritta, non è infatti importante come si sia verificata, se per colpa dell’uomo o della perfida Madre Natura, l’importante è quello a cui ha portato: miseria e fame. Il figlio dell’uomo è nato giusto all’inizio del disastro, e si comprende che la madre, credendo di non poter vedere il mondo morire con le persone amate, decide di lasciarlo prematuramente, e convinta della sua idea, lascia al loro destino l’uomo e il bambino.I due protagonisti sono quotidianamente impegnati nella ricerca di cibo, coperte e qualsiasi tipo di materiale da poter trasportare con il carrello che li accompagna sino alla fine della loro ‘avventura’, se così si può dire, insieme. Di giorno camminano con la loro roba sulla strada principale, l’unica, accompagnati da una vecchia cartina, per cercare di raggiungere il Sud, dove l’uomo spera di trovare una situazione migliore di quella settentrionale, se non altro il mare non può che portare bene, come è sempre stato. Durante la notte sono costretti ad allontanarsi dalla strada e dopo aver nascosto il carrello, trovare un posto accettabile per cercare di dormire, accompagnati dagli abituali incubi, dopo aver mangiato, non sempre, una scatoletta riscaldata sul fuoco, o una mela marcia, o anche la stessa aria. La strada di notte potrebbe diventare pericolosa (come in realtà anche di giorno), incontrare cannibali, o assassini, o rapinatori armati non sarebbe l’aspettativa migliore. In questo romanzo si può dire che non ci sia mai fine al peggio, si indaga l’animo umano, le reazioni violente che può avere di fronte alla fame, il cannibalismo. Il tutto commentato da ‘I Buoni’, da coloro che, come viene ripetuto più volte, ‘portano il fuoco’, un bambino e suo padre. Torna alla home

15 “HEAUTONTIMORUMENOS” TERENZIO
Temi simbolici: Tema simbolico è proprio quello dell’inganno, delle beffe. Questa è una commedia interamente basata sul rapporto sbagliato tra genitori e figli. E’ palese un problema di non fiducia. Tema della ricerca esistenziale e modi in cui è affrontato: Credo che in questa commedia si nasconda proprio l’amore verso una donna sia il modo in cui amarla. C’è quindi soprattutto ricerca di fiducia, ma, dal momento che questa è assente, tutto viene risolto attraverso inganni che non sono la soluzione. Conclusione: La conclusione per Menedemo, Antifila e Clinia è a lieto fine, poiché Menedemo ha ritrovato il figlio ed è disposto a servirlo in tutti i modi e Clinia sposa la donna dei suoi sogni. Clitifone invece, ha scelto il patrimonio del padre in luogo dell’amore di Bacchide e sarà costretto a sposare la sua vicina di casa che a lui non piace affatto. Messaggio dell’autore: Il messaggio che l’autore vuole trasmetterci è che gli inganni non servono, perché anche con essi tutto si risolve come doveva risolversi dall’inizio. Serve fedeltà, fiducia e lealtà per avere qualcosa che si ama e si desidera. Scelte inguistiche: Un linguaggio elegante e raffinato, scelto perfettamente per una commedia che trae il suo soggetto dall’opera di Menandro, il grande commediografo greco di età ellenistica. Carlotta Costantini “HEAUTONTIMORUMENOS” TERENZIO Contesto storico sociale: A Questa commedia è stata rappresentata per la prima volta nel 163 a.C A Sistema di valori emergenti: A Uno dei più importanti valori emergenti è sicuramente quello dell’amore A In entrambi i casi un amore che non viene accettato e che deve essere nascosto dando vita ad una serie di intrighi ed inganni, che porteranno alla verità A Importante è anche il valore dell’amicizia tra Menedemo e Cremete che si aiutano rispettivamente e si danno consigli. Altro valore è quello della fedeltà. La fedeltà del servo Siro verso Clitifone, che non tradirebbe mai, lo assiste durante tutta la commedia A Valore invece portante della commedia è quello dell’ “humanitas terenziana”, che non è semplicemente il sentimento di reciproco aiuto e solidarietà che unisce tutti gli uomini che si trovano a condividere le difficoltà della vita, ma significa essere consapevoli che le esperienze umane sono varie A Rapporto fra luogo di ambientazione e mondo esterno: A Per quanto riguarda i luoghi, la commedia si svolge soprattutto nel campo di Menedemo o a casa di Cremete, dove avvengono la maggior parte degli inganni e l’arrivo delle due donne A Personaggi: Cremete: Uomo molto legato ai soldi, al patrimonio familiare e ai propri discendenti maschi ATiene molto all’amicizia e crede nel suo servo Siro che si rivelerà poi molto più fedele al padrone giovane, Clitifone, che a Cremete stesso A Menedemo: Uomo molto sensibile. Si vuole punire a vita molto severamente per lo sbaglio che ha commesso. Ama suo figlio ed ora che ha capito il suo errore è disposto a far di tutto pur di farlo tornare a casa A Siro: Servo poco fedele e molto astuto. Riesce a elaborare piani in breve tempo per aiutare l’unica persona a cui rimane davvero fedele durante tutta la commedia, Clitifone A Clitifone: Figlio di Cremete, poco astuto poiché si fa scoprire molto spesso amoreggiare con quella che doveva essere l’amante dell’amico nel piano A Uomo disposto a lasciare la donna che ama pur di non rinunciare a tutto il suo patrimonio A Analisi Del Titolo: A Il titolo di questa commedia è reale, poiché il libro tratta proprio tutta una serie di intrighi e beffe che nascono dal discorso principale tra Cremete e Menedemo in cui quest’ultimo narra di punirsi per aver negato al figlio di amare liberamente la donna di cui era innamorato. Il titolo in greco infatti “Heautontimorumenos” significa proprio “punitore di sé stesso”. A Vicenda nelle sue linee essenziali: A Il vecchio Cremete rimprovera il suo vicino Menedemo perchè passa tutto il tempo al lavoro nonostante sia ancora giovane. Menedemo spiega che la ragione di tutto ciò è per punirsi di ciò che ha fatto al figlio Clinia, che innamoratosi di una donna di Corinto, Antifila, la quale si è trasferita ad Atene con la madre, si comportava come se fosse stata una vera moglie e ciò lo aveva scandalizzato A Padre e figlio avevano litigato e Clinia aveva deciso di lasciare la città ed era partito per tre mesi. Tornato a casa, Cremete viene a sapere dal figlio Clitifone che Clinia è tornato in città per incontrare Antifila, temendo di non esser più amato da quest’ultima A Siro, servo di Cremete annuncia l’arrivo di Bacchide e Antifila, le donne amate da Clitifone e Clinia. Il servo vuole portare le donne in casa, ma Clitifone lo ferma temendo il giudizio del padre, poiché Bacchide è una cortigiana. Siro allora propone che Antifila, fingerà di essere l’amata di Clitifone, mentre invece Bacchide, verrà presentata a Cremete come la donna di Clinia A Quando le due donne arrivano, Sostrata, moglie di Cremete, riconosce l’anello che Antifila porta al dito. Lo stesso che lei aveva infilato al dito di una figlia che aveva affidato ad una vecchia di Corinto, perché il marito non voleva discendenti femmine. La donna capisce che Antifila è sua figlia e racconta tutto al marito. Menedemo nel frattempo è venuto a conoscenza della verità e sa che il figlio è innamorato della figlia ritrovata del vicino e la vuole sposare. Così Menedemo racconta tutto a Cremete il quale si dispera del fatto che la spendacciona e capricciosa Bacchide è in realtà l’amante del proprio figlio < Cremete teme che, se il figlio porterà in famiglia una cortigiana, finirà col consumare tutto il patrimonio per soddisfare i capricci della donna. In accordo con Menedemo finge di voler lasciare tutto il patrimonio in eredità alla figlia. Clitifone, consigliato dal servo Siro, si rivolge alla madre Sostrata credendo che il padre non vuole lasciargli il patrimonio poiché in realtà non è suo figlio. Infine padre e figlio si confrontano. Cremete promette di tornare sui suoi passi riguardo il patrimonio di famiglia a patto che Clitifone lasci Bacchide e si sposi con una donna per bene. Il figlio così accetta di sposare una ragazza del vicinato A Torna alla home

16 “ODISSEA” GIOVANNI NARDONI
La famosa Odissea di Giovanni Nardoni, rappresentata con successo per anni al Teatro dei Satiri, si ripropone in veste nuova al Teatro delle Muse. Nardoni non può fare più affidamento sui suoi storici pupilli e deve rimpiazzare la vecchia guardia con nuovi attori, scelta azzardata e riuscita solo in parte. Rispetto ai vari Ulisse che Nardoni aveva sperimentato negli anni il nuovo Odisseo, possente, barbuto e con voce baritonale, idealizza in modo al quanto realistico il ruolo che egli aveva di comandante e di assennato stratega. Purtroppo per Nardoni il discorso non vale per i tre compagni di Ulisse: uno sembra distaccato dalla scena al punto da sbagliare battuta, in modo che l’intera scena in cui i tre aprono l’anfora contenente i venti perda significato, un altro recita in modo pessimo e la sua voce, a tratti, sembra infrangersi contro l’imponente barriera della prima fila; tra i tre si salva solamente, volendo essere buoni e comprensivi (sarebbe infatti un compito arduo per qualunque attore recitare in mezzo a due non attori come quelli) il braccio destro di Ulisse, il personaggio con cui il protagonista sembra avere maggiore sintonia. Telemaco è interpretato da un ottimo ex-alunno del Giulio Cesare, un biondino acclamato dal pubblico femminile, bravo nell’immedesimazione di carattere psicologico del suo personaggio (da notare, infatti, con quale capacità interpretativa è riuscito a trasmettere il dramma interiore di un ragazzo che non ha conosciuto il padre e che lo vorrebbe finalmente al suo fianco in quella Itaca dilaniata dai Proci). Nardoni, inoltre, riafferma la sua musa, Paola Scotto di Tella, nel ruolo di Penelope e ottiene da lei la solita, egregia, interpretazione. Come ormai di norma il regista si immedesima nel ruolo di attore, interpretando Eufemio, questo cantore cieco che tanto ricorda Omero, personaggio dal nome parlante (probabile traduzione sarebbe “colui che dice bene”), un portatore di buone notizie; è lui che fa da voce fuori campo, è lui che entra in scena dialogando con Telemaco e Penelope, è lui che annuncia il ritorno di Ulisse. Oltre alle innovazioni in campo interpretativo e l’aggiunta di nuovi attori, Nardoni ripropone la formula ormai collaudata con scenografia e costumi da “teatro di strada”.Volendo muovere qualche critica riguardo proprio alla scenografia si potrebbe dire che un Polifemo rappresentato da un solo occhio mal dipinto su una tendaccia verde svilisce la scena e la ridicolizza banalmente.Le musiche sono quanto mai appropriate e si intravede lo stile classicheggiante del Nardoni formato da studi, appunto, classici. Dopo successi teatrali indiscussi come l’ “Iliade” e i “Promessi Sposi”, e brevi parentesi sul piccolo e grande schermo, uno dei migliori registi in campo teatrale di opere classiche, ripropone, con scelte rivedibili in fatto di interpreti, in una straordinaria matinèe, uno dei suoi cavalli di battaglia, la sua solita, eccellente, Odissea. Andrea Lambertucci Torna alla home

17 “ARBITRATO” MENANDRO Ed è forse per questa trama poco divertente e questa assenza di comicità che gli attori, e ancor più il regista hanno trovato opportuno, per alleviare i turbati animi degli spettatori, forzare qualche battuta, aggiungere qua e là accenti regionali attuali, volgarità e sproloqui fantasiosi, mimiche movenze ridicole. Ma se con queste forzature sulla comicità la compagnia pensava di rendere la pillola di una sceneggiatura comica lontana dal nostro modo di fare commedia e di fare teatro meno amara al povero spettatore, viene da chiedersi perché dargli il colpo di grazia con delle musiche ed effetti sonori del genere: “Oh mio Dio, perché mi hai abbandonato?” Costumi e maschere volutamente antichicizzati e per questo molto interessanti per richiamare lo splendore delle rappresentazioni classiche vanno a cozzare contro questi attualismo inutili e gratuiti. E l’ambiziosità e la pretenziosità di questa rappresentazione sono riassunti nelle parole del regista che dice di avere voluto fortemente questa scena classicheggiante e di aver voluto azzardare innovazioni e forzature comiche-stilistiche. E la scenografia? Due casette tipo quelle di un kinderhouse, quattro scalini in croce sullo sfondo, mai visto nulla di più scarno. Forzato nella sua comicità ambizioso e pretenzioso per aver voluto mischiare nuovo e classico in un mix borioso e inconcludente. Tante ombre, poche lampadine che tra l’altro vanno ad intermittenza, uno spettacolo insufficiente, inadatto e assolutamente noioso: dieci euro andati in fumo. Andrea Lambertucci Volendo scegliere degli aggettivi per descrivere l’”Arbitrato” di Menandro in scena al Teatro Greco di Roma dal 5 al 15 novembre 2009 e interpretato dalla compagnia teatrale “Teatro Politecnico” e diretto da Mario Prosperi, non si dovrebbero cercare vocaboli elevati o altisonanti, basterebbero anche i tre semplici “forzato”, “ambizioso” e “pretenzioso”. Perché forzato? Innanzitutto va detto che Menandro nelle sue opere la vis comica plautina e quindi, arrivati alla mezzora dall’inizio dello spettacolo lo spettatore può facilmente dubitare sul fatto che l’arbitrato sia una commedia. Infatti la trama di questa commedia dalla comicità sottile parla di un parto considerato extraconiugale che poi non di rivelerà essere tale tramite una lunga sequenza di colpi di scene sbalorditivi sulla carta, assolutamente campati in aria nella rappresentazione. Panfile partorisce, infatti, in assenza del marito un figlio che era stato concepito nel corso di una violenza subita durante le Tauropolie. Dopo una piccola introduzione ci troviamo proiettati a quando il bambino viene conteso, insieme ai suoi gioielli, fra due signori di campagna che nella scena divengono burberi e bifolchi, parlando in dialetto ed è Smicrine che districa la matassa a favore del carbonaro, con tanto di lamentela da parte del capraio Davo. Da qui il titolo di arbitrato. Ed è bello notare come quella dell’arbitrato sia L’unica scena convincente dell’intero spettacolo anche perché quella più importante della commedia: bella, infatti, la scelta di mettere i due contendenti ai lati e il giudice, Smicrine, in mezzo. Onesimo,però, scopre tramite un anello con cui il piccolo era stato abbandonato e che era stato affidato a Silisco, che quello è un gioiello del padrone Carisio e organizza, con Abrotono, un raggiro ai suoi danni; da qui nascono una serie di equivoci e rivelazioni che, vedendo la scena, non sono poi così clamorosi quanto ci si aspetterebbe conoscendo la sceneggiatura menandrea. Questa trama con una comicità così lontana dalla nostra assume, grazie anche a questa sciagurata reinterpretazione, più le connotazioni di un dramma che quelle di una commedia. Torna alla home

18 “INVICTUS” CLINT EASTWOOD Dalla notte che mi avvolge,
Il nuovo film del grande regista Clint Eastwood che rivive la storia di Nelson Mandela( interpretato da un immenso Morgan Freeman ) nel periodo della sua presidenza. Mandela, neo-eletto leader del Sud-Africa, deve affrontare diverse problematiche, la principale tra queste è sicuramente la divisione tra bianchi e neri, che caratterizza la storia del Sud-Africana dei primi anni di governo di Mandela, nei quali si è quasi giunti alla guerra civile. Come può il presidente risolvere una questione tanto delicata? La risposta è attraverso lo sport, il rugby precisamente. Egli sfrutta la squadra degli Springboks: i verde oro, portatori dei colori e dei simboli dell’Apartheid e dell’oppressione degli Afrikaner, odiati dalla popolazione nera, che vorrebbe loro rimossi dalla scena sportiva nazionale, salvati invece dalla lungimiranza politica del presidente, che vede in loro un punto di svolta per la riconciliazione tra bianchi e neri, assumono il ruolo di guida e con carisma, spinti finalmente dall’intera popolazione Sud-Africana, perseguono risultati insperati. Mandela, scongiurando quindi la scomparsa della squadra nazionale, capisce che non può cercare di cambiare il suo paese, talmente pieno d’ odio,paura e scetticismo, solamente con la politica, ma vuole sfruttare gli Springboks e il rugby, sport nazionale. Chiama quindi a colloquio Francois Pienaar ( interpretato da Matt Damon )e, stupendolo con le sue doti umane, lo sprona a guidare la sua squadra alla vittoria. Il capitano degli Springboks mostra un significativo cambiamento di mentalità divenendo il capitano, insieme a Mandela, dell’intera nazione( da ricordare la significativa frase :”Ora siamo molto più di una squadra”). Convinti dal presidente a sfruttare l’immagine dell’unico giocatore nero, Chester, e impegnati costantemente in campo e fuori dagli impegni sportivi e sociali, si presentano alla partita iniziale della coppa del mondo, contro i “canguri australiani” pieni di adrenalina, godendo del sostegno di milioni e milioni di tifosi. Battuta in una storica impresa l’Australia, sembra spianata la strada per la finale. Battuti nei quarti le Isole Samoa, superata la Francia in un’estenuante battaglia sotto il diluvio di Città del Capo, si apprestano ad affrontare in finale gli “All Blacks” neozelandesi, assoluti favoriti e protagonisti di primo piano della competizione. La partita, seguita da oltre un miliardo di persone in tutto il mondo, resta in bilico fino all’ultimo. Non una meta a decidere il punteggio. I nove punti del numero 10 neozelandese, pareggiati dai nove punti del mediano di apertura sud-africano, portano il match ai supplementari. La Nuova Zelanda si riporta nuovamente in vantaggio, ma gli Springboks con l’ultimo stoico sforzo, dapprima pareggiano e in seguito portano il punteggio sul definitivo Finita la partita, mentre nella nazione impazzano i festeggiamenti, la scena si chiude con un Mandela commosso perché vede realizzato il suo sogno: una nazione unita, un popolo unito, che ha fame di grandezza. Da notare sicuramente l’incredibile interpretazione del premio oscar Morgan Freeman che risulta perfetto nel ruolo del presidente; bravissimo anche il giovane Matt Damon che recita la parte del capitano della squadra. Un’ottima sceneggiatura portata sullo schermo da uno straordinario Clint Eastwood che, con questa nuova ed emozionante pellicola, si dimostra essere veramente uno dei registi più eminenti della scena cinematografica internazionale, smentendo il maestro Sergio Leone che lo aveva definito “capace solo ad interpretare film western”. Molto buoni la fotografia, gli effetti sonori e la colonna sonora. Analizzando la scelta del titolo, “Invictus”, potrebbe essere tradotto erroneamente come “Invincibile”, come tra l’altro è stato fatto, ma non è questa la giusta traslitterazione, infatti significa “non vinto, o non domato”, questa è la corretta traduzione. A “non essere vinto” è l’animo di Mandela che dopo essere stato in prigione ed aver dovuto affrontare l’astio dei bianchi continua a trovare la forza di guidare il suo paese a Fabio Napolitano Andrea Lambertucci Dalla notte che mi avvolge, Nera come la fossa dell’inferno, Rendo grazie a qualunque Dio ci sia Per la mia anima invincibile. La morsa feroce degli eventi Non m’ha tratto smorfia o grido. Sferzata a sangue dalla sorte, Non s’è piegata la mia testa. Di là da questo luogo di ira e di lacrime Si staglia solo l’orrore della fine. Ma in faccia agli anni che minacciano, Sono e sarò sempre imperturbato. Non importa quanto angusta sia la porta, Quanto impietosa la sentenza. Sono il padrone del mio destino. Il capitano della mia anima. Torna alla home

19 TRUCULENTUS Il “Truculentus” è una delle ultime commedie scritte da Plauto. Cicerone inoltre afferma che era una delle commedie di cui l’autore si gloriava. Cosa strana, essendo diversa per certi versi dalle altre commedie plautine: infatti l’opera si concentra di più nel descrivere la psiche dei vari personaggi e, pur essendo molto brillante e divertente, non possiede la “vis comica” diretta e talvolta più greve che caratterizza le restanti opere di Plauto. Il “Truculentus” d’altra parte ha in comune con le altre commedie diversi personaggi tipici e ricorrenti come il servo, la prostituta, il soldato, l’innamorato, ecc. Il titolo della commedia si riferisce infatti proprio al nome di un servo, Truculento, che significa “rozzo”, “violento”, che di fatto però avrà solo un ruolo marginale nella trama. La storia, ambientata ad Atene (infatti era d’uso tra i commediografi romani ambientare le commedie in altri paesi, e specialmente in Grecia) tratta di tre giovani, Capotremendo, Soldatillustre e Guercio, tutti e tre innamorati della stessa donna, una prostituta di nome Fronesio. Ciò darà ovviamente luogo alla classica commedia degli equivoci, in cui avranno un ruolo fondamentale i servi, tra cui soprattutto l’ancella di Fronesio, Uvapassa. Rispetto alla trama classica, la rappresentazione a cui abbiamo assistito al Teatro Arcobaleno del regista Vincenzo Zingaro presenta notevoli stravolgimenti; come ad esempio il fatto che la vicenda è trasposta in chiave moderna, nell’Italia degli anni ’30 del ‘900, in età mussoliniana. Inoltre mutano i nomi dei personaggi come ad esempio quello di Capotremendo, trasformato in Capatosta, o quello di Soldatillustre, reso come Generale. Le diverse figure della commedia utilizzano vari dialetti italiani, e tutta la ambientazione è spostata da Atene ad un paesino siciliano. Tutti questi cambiamenti nella resa della commedia sono in gran parte positivi, in quanto riescono a coinvolgere di più il pubblico e ad arricchire lo spettacolo di “vis comica”. In sostanza quest’ opera, pur differendo in molti punti dal tradizionale schema plautino, non per questo è da ritenersi inferiore o meno coinvolgente rispetto alle oltre, ed è altrettanto capace di far ridere e sorridere il pubblico. Francesco Felle Torna alla home

20 SIDDHARTA Temi simbolici:
Crescita interiore, ricerca di se stesso, di un equilibrio interno e della felicità. Messaggio dell’autore: L’autore suggerisce che, per trovare la felicità, ognuno deve prima conosce se stesso. In seguito afferma che coloro che non hanno forza d’animo si ritrovano a seguire dottrine, quando, invece, dovrebbero vagare per intraprendere qualche esperienza, solo così si raggiunge la felicità. Non bisognerebbe, inoltre, perdere di vista la propria mèta ma bisognerebbe ascoltare anche il proprio istinto. Scelte linguistiche. Il linguaggio è scorrevole, consono a lettori giovani. Mai noioso, mai ripetitivo. Titolo. Rappresenta soltanto il nome del protagonista, indirizzando subito il lettore al possibile personaggio principale. Vicenda nelle sue linee essenziali a Nell’India di un tempo sconosciuto crebbe Siddharta, figlio di un ricco Brahmino. Sin da piccolo aveva seguito tutti gli insegnamenti del padre. Era sempre accompagnato dal suo fedele amico Govinda, vissuto sempre nella sua ombra. Siddharta piaceva alle ragazze, era ammirato dalla gente e dai suoi genitori, però egli non si sentiva felice di se stesso. Per questo, un giorno decise di andare a vivere con i Samana, nel bosco, per apprendere i loro insegnamenti e rimase con loro insieme a Govinda per tre anni. Poi però, venuto a sapere che in città era arrivato il Buddha, Gotama, l’illuminato, decise di ascoltare questa nuova dottrina. Così mentre Govinda divenne discepolo del Buddha, Siddharta si convinse che l’unica dottrina da seguire fosse quella di non seguirla nessuna. Cominciò a riflettere e giunse in città dove incontrò la bella cortigiana Kamala. Con lei trascorse molti anni. La paragonò ai cosidetti uomini – bambino, capaci veramente di amare ma con molti problemi. Una volta arricchitosi, avendo imparato l’ arte della mercanzia da un ricco mercante, si accorse di aver perso la sua parte spirituale e così abbandonò tutto. Quella sera fece un sogno: immaginò se stesso mentre si lanciava in un fiume. Si destò e trovò un monaco, che si rivelò essere il suo amico Govinda. Non lo riconobbe subito. I due amici si sono rincontrati dopo tanto tempo. La scena è molto toccante. Siddharta così riconosce l’amico e con questo nuovo incontro termina il racconto. Contesto storico – sociale A La vicenda è senza tempo. Non sono date informazioni temporali. Tuttavia la presenza del Buddha può far risalire al sec. VI a.C.. La vicenda si svolge in India. Sistema di valori emergenti. Crescita interiore, ricerca della felicità, amore per la conoscenza, Categorie spaziali. La vicenda si sviluppa in India, colma di boschi e fiumi cristallini. Vi è un netto contrasto tra il verde e la natura, luogo di pace e di silenzio, e la città, luogo caotico in cui Siddharta si concentra solo sul lucro e sui beni materiali. Personaggi. Siddharta: protagonista del romanzo è un personaggio profondo e meditativo che cerca la felicità interiore. Cresce e si forma con il passare del tempo. Ha un carattere deciso e sa quello che vuole riuscendo, infine, ad ottenerlo sempre. Govinda: amico fedele di Siddharta, sembra dover la propria vita all’ombra dell’amico. Successivamente prende la decisione di seguire il Buddha, Gotama, scelta non apprezzata dall’amico. Vasuveda: è uno dei maestri di Siddharta. E’ un uomo semplice che lo aiuta e lo istruisce sulla forza del fiume. Kamala: anche lei maestra di Siddharta poiché gli insegna l’arte dell’amore. Come dice il protagonista: “Lei non ama, poiché altrimenti non avrebbe potuto fare dell’amore un’arte”. Il mercante Kamaswami: ennesimo maestro del ragazzo. Gli insegna l’rte della mercanzia, a trattare il denaro e a non cedere ai creditori. Alessio Gregori Torna alla home

21 “L’AMORE E’ UN DIO” EVA CANTARELLA
“L’amore è un dio” di Eva Cantarella è un saggio il cui scopo primario è quello di far comprendere al lettore, riportando talvolta versi di Saffo e di altri autori della Grecia antica, che cos’era l’amore per i Greci, cercando di far cogliere tutti i differenti volti di esso. “Anche l’amore è una cosa che vive nella storia”, afferma l’autrice, “Come si parla dei Greci, si dice sempre che noi dobbiamo a loro la nostra democrazia, la scienza del teatro, etc. Tutto nasce da loro, e noi siamo come la loro continuazione. C’è come un “filo” che arriva dalla Grecia verso Roma, fino a noi. Ma ci sono diverse fratture nella storia,delle diversità. Queste fratture ci sono anche nell’amore.” Grazie a questo romanzo, infatti, la Cantarella mette in evidenza come anche i Greci siano, da questo punto di vista,diversi da noi,e di come loro stessi vivessero e concepissero l’amore in un modo completamente differente dai Romani. Per esprimere questo concetto, i Greci avevano due parole: una era filia (amicizia) e l’altra era eros (amore). La prima era,fondamentalmente,l’amore coniugale, senso di rispetto,obbedienza,naturalmente da parte della moglie, e potere assoluto da parte, invece, del marito. E poi vi era l’eros, questo altro aspetto dell’amore, che era fondamentalmente desiderio sessuale,passione … che si vedeva al di fuori del matrimonio. La cosa interessante dei Greci è quindi questa: essi erano pagani anche in questo, quindi completamente diversi dai Romani che erano, invece, cristiani. Essi erano,pertanto, questa meravigliosa concezione dell’amore come libertà, anche se, come tende a sottolineare la scrittrice, anche loro avevano delle regole. Ho trovato questo libro di profondo interesse, poiché riesce a esporre, con un linguaggio chiaro, scorrevole, e con un gusto uso di vocaboli, il modo in cui l’amore era inteso dalla civiltà ellenica. L’introduzione, inoltre, di poesie di famosi verseggiatori all’interno della narrazione, tiene viva la curiosità del lettore, invogliandolo a continuare a leggere. Un romanzo, a parer mio, chiaro ed interessante. Marianna Brugnoli Torna alla home

22 “LETTERE DI ABELARDO ED ELOISA” PIETRO ABELARDO
Due anni più tardi fonda a Troyes un piccolo oratorio dove inizierà nuovamente a insegnare. Tormentato ormai dal continuo timore di nuovi concili e tribunali che lo condannassero, decide di andarsene e diventa, così, abate della corrotta comunità dei monaci di Saint – Gildas. L’abate di S. Dionigi si impadronisce del monastero di Argenteuil e scaccia la comunità di monache, della quale Eloisa era priora. Abelardo dona loro il Paracleto e Eloisa ne diventa badessa, Abelardo torna ad insegnare a S. Genevieve. Nel 1141 il sinodo di Sens candanna le sue opere come eretiche. Abelardo s’incammina verso Roma per appellarsi al papa, ma, ormai vecchio e malato, deve fermarsi a Cluny, accolto con affetto da Pietro il Venerabile, uno dei più grandi e colti abati del sec. XII. Un anno più tardi, nel 1142, Abelardo muore a Chalon – sur – Saòne. Il suo corpo viene trasportato a Paracleto, così come egli aveva chiesto. Nel 1164 Eloisa muore al Paracleto. Tramite le lettere di questo libro riusciamo a cogliere i sentimenti dei due protagonisti, che, a quell’epoca creavano addirittura scandalo; però notiamo un differente amore tra i due: quello di Eloisa, che è infinito e quello di Abelardo, invece, limitato, che scompare quasi del tutto diventando un amore fraterno. Il libro è ben organizzato nonostante la quantità di argomenti d trattare: infatti come aperture del romanzo vi è un’ introduzione che chiarisce ciò che si andrà a trattare, ma il tipo di scrittura risulta arcaico essendo una traduzione quasi del tutto letterale dall’originale latino. Tra le varie lettere, la più importante è la prima: è intitolata Historia Calamitatum Mearum. Essa consiste in una sorte di autobiografia, destinata ad un amico per consolarlo. Clara Ballerani & Flamina Spunticchia “LETTERE DI ABELARDO ED ELOISA” PIETRO ABELARDO Il libro Lettere di Abelardo ed Eloisa consiste in una raccolta parziale delle lettere che i due innamorati, dopo la separazione, si scrissero per tenersi in contatto e nelle quali, oltre a scambiarsi parole d’amore, parlano di filosofia e si scambiano pareri sul mondo. Ma chi è Abelardo? Abelardo è una delle figure più importanti del Medioevo, non solo come filosofo, ma anche per le sue idee innovatrici e per la sua personalità audace ed ambiziosa. Pietro Abelardo nasce nel 1709 a Palais. Avvicinato dal padre agli studi letterali, in breve tempo nasce in lui l’amore per la filosofia. Si trasferisce a Parigi come allievo del maestro Guglielmo di Champeaux ed in seguito diventa insegnante aprendo due scuole di dialettica: prima a Melun e poi a Corbeil. Due anni più tardi si reca a Parigi dove apre la sua terza scuola. Per un po’ tempo si stabilisce a Laon per ascoltare le lezioni del maestro Anselmo che era il più apprezzato per i suoi studi sacri. Ma le lezioni del maestro non entusiasmano Abelardo, che lo ritiene “abile con le parole, ma incapace di analizzare i significati; dice infatti: “Il suo albero sembrava molto ricco di foglie a coloro che lo vedevano da lontano, ma, se ci si avvicinava e lo si osservava con cura, si scopriva che era privo di frutti”. Per questo i suoi compagni e lo stesso maestro provano invidia e ostilità nei suoi confronti costringendolo ad andarsene. A Parigi ottiene la cattedra di teologia e dialettica a Notre Dame. E’ in questi anni che Abelardo incontra Eloisa, affidatagli dallo zio Fulberto per istruirla. La loro storia d’amore, dalla quale nascerà un figlio, Astrolabio, si trasforma presto in tragedia. Abelardo viene evirato dai sicari inviati dallo zio di Eloisa. I due sono costretti a separarsi: Eloisa si ritira nel monastero di Argenteuil, Abelardo in quello di S. Dionigi, dove si rende odioso ai suoi confratelli per i numerosi rimproveri e si ritira in un eremo dove riprende a insegnare teologia e fisica. Scrive un trattato sull’unità e la Trinità divina condannato nel Concilio di Soisson nel 1121. Torna alla home

23 “ARBITRATO” MENANDRO Le scene della commedia si aprono, a differenza del testo orignale, con un monologo di Onesimo, schiavo del protagonista, Carisio; il servo racconta le vicende che hanno portato il suo padrone a lasciare la sua casa, abbandonando la moglie amata Panfile. Questo chiarimento introduce lo spettatore nella vicenda togliendo forse la curiosità nello scoprire le vicende passo per passo. Onesimo chiarisce che il suo signore, dopo aver scoperto che la moglie, già incinta al momento del matrimonio, aveva partorito e abbandonato un bambino di un altro uomo in sua assenza, decide di andarsene, rifugiandosi dal vicino e amico Cherestrato e dalla sua etera Abrotono, con la quale cerca invano di trovare conforto. Dalle prime comparse di Carisio lo si osserva in perenne stato di ebbrezza, rappresentato con una maschera che ricorda un adolescente; le maschere, per l’appunto, sono un elemento fondamentale che richiama lo spettatore alla realtà greca per la quale sono state concepite queste commedie, siamo nel III sec a.C. e l’idea di Polis è già abbandonata, oramai l’uomo è suddito e nelle commedie di Menandro la politica non entra più; la rappresentazione viene accompagnata da un sottile sfondo comico, che in realtà non colpisce così tanto lo spettatore moderno. Altro elemento tipicamente greco e realistico è la presenza del coro, che entra ogni qual volta un atto volge al termine, elemento che può essere apprezzato o meno, comunque estremamente verosimile A Tornando alla trama le vicende continuano con la presenza quasi costante del saggio della situazione, ossia il padre di Panfile, Smicrine. Egli è giudice dell’arbitrato principale, uno dei tanti, della rappresentazione: un pastore e un carbonaio dibattono su chi avesse dovuto tenere dei gioielli trovati con un neonato dal pastore, quando il bambino era stato poi dato al carbonaio e la moglie; il giudice prende la sua decisione, e da questo momento nascono una serie di fraintendimenti ed equivoci che animano la trama di questa commedia che potrebbe risultare non troppo creativa. A rovinare forse la buona messa in scena dell’opera contribuiscono i movimenti che risultano quasi caricaturali della maggior parte dei personaggi, dei dialoghi estremamente pesanti e dei concetti ripetuti forse troppe volte. Le maschere, create su uno stampo autentico dell’antica Grecia, risultano piuttosto adeguate ai personaggi, e anche se sono certamente un elemento al quale non siamo abituati, che comporta la staticità espressiva dei personaggi, non viene assolutamente difficile apprezzarle. La scena conclusiva, ossia un lieto fine quasi eccessivamente perfetto riporta il vino nelle scene, questa volta in una situazione idilliaca, non più come un qualcosa nel quale affogarsi a causa del dolore. In conclusione, uno spettacolo senz'altro adatto per amanti della commedia greca ma meno coinvolgente per spettatori desiderosi di leggerezza ed ironia. Elena Bellocchio Torna alla home

24 “TANTO GENTILE E TANTO ONESTA PARE” DANTE ALIGHIERI
Commento della poesia : Il sonetto Dantesco è l’esempio più evidente dell’amore del poeta nei confronti di Beatrice, essere angelico, creatura del cielo, che appare come una visione agli occhi di Dante. Il poeta intende celebrare gli aspetti che lo colpiscono nell’incontro con la donna amata A Ogni strofa è composta in questo modo: Prima il poeta elenca un aspetto del carattere di Beatrice per poi indicare l’effetto che provoca in lui e in tutti coloro che si imbattono nel suo sguardo. Ad esempio è talmente tanto nobile e onesta che ogni lingua si ammutolisce per il tremore, è talmente adornata di una cortese benevolenza che pare venuta dal cielo in terra per offrire una dimostrazione della potenza di Dio, appare dotata di tanta bellezza a chi la osserva che, attraverso gli occhi, dà una dolcezza al cuore, che nessuno può comprendere se non la prova. Un altro aspetto del sonetto consiste nella scelta di alcune parole, oggi di significato comune ma che nelle scelte linguistiche dello “stil novo”un significato preciso. Ad esempio il termine “pare”non vuol dire “sembra in apparenza” bensì “si manifesta con evidenza”e il termine “gentile” non significa “cortese, di buona maniera” ma “nobile”.Il poeta fa uso in tre occasioni dell’ enjambement: “appare…la donna mia”, “Ella…d’umiltà vestuta”, “Si mova…uno spirito”, che intendono rallentare e inserire elementi di graziosità nel testo. Trattasi quindi di un sonetto a tema amoroso con due quartine con endecasillabi a rima incatenata e con due terzine finali con lo schema di rime “ABC CBA”. Leonardo Gerli Tanto gentil e tanto onesta pare la donna mia quand'ella altrui saluta, ch'ogne lingua deven tremando muta, e li occhi no l'ardiscon di guardare. Ella si va, sentendosi laudare, benignamente d'umilta' vestuta; e par che sia una cosa venuta da cielo in terra a miracol mostrare. Mostrasi si' piacente a chi la mira, che da' per li occhi una dolcezza al core, che 'ntender non la puo' chi no la prova; e par che de la sua labbia si mova uno spirito soave pien d'amore, che va dicendo a l'anima: Sospira. (Dante Alighieri da Vita Nova) Biografia dell’autore : Dante Alighieri nacque il 29 maggio 1265 a Firenze da una famiglia della piccola nobiltà. Nel 1274, secondo la Vita Nuova, vide per la prima volta Beatrice della quale si innamorò subito e perdutamente. Il giovane Alighieri seguì gli insegnamenti filosofici e teologici delle scuole francescana e domenicana. In questo periodo strinse amicizie e iniziò una corrispondenza con i giovani poeti che si facevano chiamare «stilnovisti».Inizia a comporre molte opere letterarie come “la Vita nuova” e il “Convivio”. Partecipando alla vita politica si schiera dalla parte dei Guelfi Bianchi in contrasto con i Guelfi Neri, dopo la vittoria di quest’ultimi, avvenuta nel 1300, fu costretto a lasciare Firenze e a rifugiarsi a Verona, in Lunigiana e a Ravenna. In esilio si dedicò alla scrittura, e infatti fu proprio in questo periodo che prese forma la sua opera più celebre, “La Divina Commedia”l’opera che lo fece conoscere come il “padre della letteratura italiana”.Dante morì in esilio a Ravenna nel A Torna alla home

25 “AMORE TU SEI ALTO” EMILY DICKINSON
Questa poesia è un inno all' amore, non un amore fra due persone, ma il significato e l' esperienza di questo sentimento. La Dickinson ce lo presenta come un qualcosa quasi del tutto impossibile, paragonandolo ad una scalata del Chimborazo, ad un difficile guado, anche se ,nella seconda parte delle prime due strofe, sembra possa esserci un barlume di speranza quando sono in due a cimentarsi nell' impresa di arrivare “ducali” all'amore. Nell' ultima strofa però dà un senso quasi spirituale e religioso all' amore scrivendo che senza aver provato l'amore non puoi arrivare alla Beatitudine e quindi all' Eternità. Emily usa un linguaggio semplice con termini comprensibili, pur avendo un lessico molto ricco. Ogni scelta linguistica viene fatta con scrupolosità, come l' uso di termini originali, inusuali o addirittura inventati dalla stessa poetessa. Stefano Chieli Amore, tu sei alto, e non posso scalarti, ma se fossimo in due, chissà mai, se allenandoci sul Chimborazo ducali, non potremmo alla fine raggiungerti? Amore sei profondo, e non so traversarti, ma se fossimo due invece d’uno, la barca e il rematore, una suprema estate, chissà se non potremmo toccare il sole? Amore, sei velato e ben pochi ti scorgono Sorridono, si alterano e balbettano e muoiono. Sarebbe assurda la felicità senza di te a cui Dio pose nome Eternità Emily Dickinson (da Silenzi) BIOGRAFIA: Emily nasce il 10 dicembre del 1830 ad Amherst, nello stato del Massachussets. Figlia secondogenita di Edward Dickinson, uno stimato avvocato di Washington destinato a diventare deputato al Congresso, e di Emily Norcross, una donna dalla personalità molto fragile. La poetessa statunitense è una ragazza di carattere contraddittorio ed indipendente, ma anche timida e molto sensibile, minuta e fragile. Dai dieci fino ai diciassette anni frequenta la Amherst Academy, studia poi alle scuole superiori anche se, solo dopo un anno, viene ritirata dal padre. All' età di soli venticinque anni, dopo aver fatto solo qualche viaggio a Boston, dai parenti materni, a Filadelfia ed a Washington, Emily decide di isolarsi dal resto del mondo ritirandosi nella sua stanza, dedicandosi unicamente alla famiglia ed alla poesia, quasi in segreto. Sebbene il tema principale delle sue poesie fosse l' amore, Emily non ebbe molte relazioni due dei suoi amori più importanti furono “platonici” e forse solo uno fu corrisposto, quello del 1878 verso il giudice Lord, un vedovo anziano amico del padre, l' altro uomo amato vanamente era il reverendo Charles Wadsworth, un pastore, però sposato e con figli. Così la sua stanza diventò il simbolo della sua “diversità”, aumentando anno dopo anno il suo isolamento nella totale reclusione, aggravata dai vari lutti familiari, perde infatti il padre Samuel Bowles, direttore di un giornale, che diventa un altro struggente amore vano, poi la madre nel 1882 e nei due anni successivi muoiono prima il suo amato nipotino Gilbert, poi il giudice Lord. Infine si ammala nel 1885 e muore di nefrite  ad Amherst il 15 maggio 1886 all'età di cinquantasei anni. Torna alla home

26 18 L’amore mi squassò l’anima Come il vento del monte si scaglia sulle querce. In questo frammento Saffo evidenzia come l’amore l’abbia travolta, facendo una similitudine in cui paragona l’amore al vento del monte che si scaglia sulle querce, alberi centenari, robusti e impossibili da abbattere. 26 La Luna è affondata, poi le Pleiadi, è già la mezzanotte: la mia stagione passa, io dormo tutta sola. In questo periodo della sua vita la poetessa, descrivendo il paesaggio notturno, trasmette al lettore un senso di malinconia, dovuto dal trascorrere del tempo che gli porta via la sua giovinezza. La Luna, Selene per i greci, affonda lasciano intorno al lei il buio, facendo aumentare l’angoscia della solitudine e l’ansia dell’abbandono. 30 Eros che stempra ancora mi sconvolge dolce amaro, serpente irrimediabile, Attide: e tu ti sei staccata nel tuo pensiero e voli verso Andròmeda. Qui Saffo dice che l’amore, dolce amaro, rende gli uomini deboli e vulnerabili. Inutile è tentare di scappare da Eros, un dio armato che con il proprio arco scoccava frecce spesso mortali. Chi ne veniva colpito non aveva scampo: si innamorava. In particolare la poetessa si riferisce all’amore verso una “mela del suo albero”, Attide, colei che la rifiuterà preferendo Andròmeda. Causandole grande dolore. Stefania De Rose “FRAMMENTI” SAFFO Biografia: Sulla vita di Saffo si hanno pochissime informazioni. È certo che fosse una poetessa nata nel secolo VII a.C. a Lesbo, un’isola del mare Egeo che in seguito lasciò per trasferirsi a Mitilene. Per motivi politici fu poi esiliata con la famiglia in Sicilia, dalla quale tornò poco dopo A Fu una donna di famiglia aristocratica ed ebbe tre fratelli. Si sposò ed ebbe una figlia che portò il nome Cleide A Tornata in città, grazie alla sua posizione sociale, divenne maestra di un tiaso, dove trascorse gran parte della sua vita: una scuola femminile dedicata al culto della dea Afrodite, dove si sviluppava la formazione culturale e sociale delle fanciulle di buona famiglia, che chiamava “le mele del suo albero”, dove le preparava al matrimonio e in cui l’educazione dei sentimenti e l’eros omosessuale erano parte integrante. Sulla sua figura si sono diffuse molte leggende: la più nota è quella in cui, non corrisposta dal barcaiolo Faone, si sarebbe gettata in mare da una rupe, che però sembra non essere vera perché, secondo un frammento, pare essere arrivata alle soglie della vecchiaia A Le sue composizioni furono raccolte dagli alessandrini in nove libri, di cui ci sono pervenuti circa 200 frammenti A Saffo è nota, oltre che per essere la più grande poetessa antica, per la grandezza e semplicità di accenti con cui descrive l'amore e le sue mille sfumature. Torna alla home

27 “LA PIOGGIA NEL PINETO” GABRIELE D’ANNUNZIO
Piove su le tue ciglia nere sìche par tu pianga ma di piacere; non bianca ma quasi fatta virente, par da scorza tu esca. E tutta la vita è in noi fresca aulente, il cuor nel petto è come pesca intatta, tra le pàlpebre gli occhi son come polle tra l'erbe, i denti negli alvèoli con come mandorle acerbe. E andiam di fratta in fratta, or congiunti or disciolti (e il verde vigor rude ci allaccia i mallèoli c'intrica i ginocchi) chi sa dove, chi sa dove! E piove su i nostri vólti silvani, piove su le nostre mani ignude, su i nostri vestimenti leggieri, su i freschi pensieri che l'anima schiude novella, su la favola bella che ieri m'illuse, che oggi t'illude, o Ermione. Gabriele D’Annunzio (da Alcyone) Ascolta, ascolta. L'accordo delle aeree cicale a poco a poco più sordo si fa sotto il pianto che cresce; ma un canto vi si mesce più roco che di laggiù sale, dall'umida ombra remota. Più sordo e più fioco s'allenta, si spegne. Sola una nota ancor trema, si spegne, risorge, trema, si spegne. Non s'ode voce del mare. Or s'ode su tutta la fronda crosciare l'argentea pioggia che monda, il croscio che varia secondo la fronda più folta, men folta. Ascolta. La figlia dell'aria è muta; ma la figlia del limo lontana, la rana, canta nell'ombra più fonda, chi sa dove, chi sa dove! E piove su le tue ciglia, Ermione. Odi? La pioggia cade su la solitaria verdura con un crepitío che dura e varia nell'aria secondo le fronde più rade, men rade. Ascolta. Risponde al pianto il canto delle cicale che il pianto australe non impaura, nè il ciel cinerino. E il pino ha un suono, e il mirto altro suono, e il ginepro altro ancóra, stromenti diversi sotto innumerevoli dita. E immersi noi siam nello spirto silvestre, d'arborea vita viventi; e il tuo volto ebro è molle di pioggia come una foglia, e le tue chiome auliscono come le chiare ginestre, o creatura terrestre che hai nome Ermione. Taci. Su le soglie del bosco non odo parole che dici umane; ma odo parole più nuove che parlano gocciole e foglie lontane. Ascolta. Piove dalle nuvole sparse. Piove su le tamerici salmastre ed arse, piove su i pini scagliosi ed irti, piove su i mirti divini, su le ginestre fulgenti di fiori accolti, su i ginepri folti di coccole aulenti, piove su i nostri volti silvani, piove su le nostre mani ignude, su i nostri vestimenti leggieri, su i freschi pensieri che l'anima schiude novella, su la favola bella che ieri t'illuse, che oggi m'illude, o Ermione. Commento: Questa poesia è stata composta nell’estate del Il poeta ci racconta che si trova insieme alla sua amata, Ermione, in una pineta, durante una passeggiata, e vengono sorpresi da una pioggia. In questa composizione, D’Annunzio fa capire che si unisce al paesaggio attraverso dei rapporti sensoriali. L’autore offre un esempio di Panismo D’Annunziano, ovvero il fenomeno secondo cui l’essere umano si trasformi e diventi parte del mondo vegetale. La prima tappa è quella del silenzio, fondamentale per distaccarsi dal mondo umano e percepire i suoni “non umani” della natura: infatti la poesia inizia con un imperativo: “ Taci. “ Questo è l’invito rivolto alla donna, perché in questo modo si poteva sentire meglio il rumore della pioggia. Nel corso del componimento, la natura si trasforma in una immensa orchestra: ogni tipo di vegetazione rappresenta uno strumento diverso che le gocce della pioggia suonano. Alla fine della seconda strofa, la donna si trasforma in un oggetto internamente naturale, vegetalizzandosi. Nella parte centrale della quarta strofa si dirà che entrambi i protagonisti si naturalizzano e vegetalizzano così che il loro cuore diventa come una pesca, gli occhi come sorgenti in mezzo a un prato, i denti come mandorle. La poesia è divisa in quattro strofe di trentadue versi ciascuna; i versi sono di tre, sei, sette e nove sillabe, legati da rime ed assonanze che non seguono uno schema fisso. Gianluca Vicino Gabriele D’Annunzio nasce a Pescara il Di famiglia agiata, compie i primi studi nel celeberrimo collegio Cicognini di Prato, distinguendosi per il suo carattere irrequieto e per il precoce ingegno poetico. Nel 1881 s’iscrive alla facoltà di lettere e filosofia all’università di Roma, ma non riuscirà mai a terminare gli studi. D’Annunzio si farà conoscere nei salotti aristocratici ed intellettuali di Roma grazie ai suoi gesti ed alle sue avventure amorose e da una di queste nascerà un matrimonio con Maria Hardouin, duchessa di Gallese, da cui ebbe tre figli: Mario, Gabriellino e Veniero. Il primo grande successo letterario arrivò con la pubblicazione del suo primo romanzo, il piacere, nel Venne presto a crearsi un vero e proprio "pubblico dannunziano", condizionato non tanto dai contenuti quanto dalla forma divistica, un vero e proprio star system ante litteram, che lo scrittore costruì attorno alla propria immagine. Egli inventò uno stile immaginoso e appariscente di vita da "grande divo", con cui nutrì il bisogno di sogni, di misteri, di "vivere un'altra vita", di oggetti e comportamenti-culto che stava connotando in Italia la nuova cultura di massa. Precedentemente, aveva scritto raccolte di poesie come Primo vere (1879), Canto novo (1882), L’Isottèo – La Chimera (1890) e romanzi: L’innocente (1891), Il trionfo della morte (1894), Il fuoco (1900) A Nel 1897 iniziò una nuova relazione amorosa con la famosa attrice teatrale Eleonora Duse, attraverso la quale si avvicinerà al teatro e scriverà alcuni drammi, che la Duse porterà in scena. Nello stesso anno venne eletto deputato nelle liste d’estrema destra, dopo due anni passò a Sinistra; allo scoppio della Prima Guerra Mondiale fu sostenitore dell’entrata dell’Italia nel conflitto e nel Gennaio del 1916 partì volontario per il fronte, dove sfortunatamente verrà ferito ad un occhio. Durante questi anni di convalescenza, però, l’autore non si dimenticherà della letteratura, infatti scrisse il Notturno (1921). Negli anni della guerra, fu protagonista di alcuni atteggiamenti divistici: famosi quello della beffa di Buccari, quando D’Annunzio penetra nell’omonima baia nel golfo di Fiume e vi lasciò tre bottiglie ornate di nastri tricolore, il secondo, invece, è quello del volo su Vienna, quando, violando lo spazio nemico, il poeta volò sulla capitale austriaca e fece cadere su di essa numerosi volantini che annunciavano la vittoria dell’Italia A Nel 1919 organizzò un clamoroso colpo di mano paramilitare, guidando una spedizione di "legionari", partiti da Ronchi di Monfalcone all'occupazione di Fiume, città che le potenze alleate vincitrici non avevano assegnato all'Italia. Con questo gesto D'Annunzio raggiunse l'apice del processo di edificazione del proprio mito personale e politico. A Fiume, occupata dalle truppe alleate, già nell'ottobre 1918 si era costituito un Consiglio nazionale che propugnava l'annessione all'Italia, di cui fu nominato presidente Antonio Grossich. D'Annunzio con una colonna di volontari occupò Fiume e vi instaurò il comando del "Quarnaro liberato" A Il 12 Novembre 1920 fu stipulato il trattato di Rapallo: Fiume diventò città libera e Zara passò all'Italia. Ma D'Annunzio non accettò l'accordo e il governo italiano, il 26 Dicembre 1920, fece sgomberare i legionari con la forza. Il regime fascista lo considerò il poeta per eccellenza e visse con una grandissima gloria nazionale l’ultima fase della sua vita al Vittoriale, una villa in provincia di Brescia, affacciata sul lago di Garda. Morì il 1 Marzo 1938 a causa di un’emorragia cerebrale. Il regime fascista fece celebrare, in suo onore, i funerali di stato. Fu sepolto nel mausoleo del Vittoriale A Torna alla home

28 “ERANO I CAPEI D’ORO A L’AURA SPARSI” FRANCESCO PETRARCA
Erano i capei d'oro a l'aura sparsi che 'n mille dolci nodi gli avolgea, e 'l vago lume oltra misura ardea di quei begli occhi ch'or ne son sì scarsi; e 'l viso di pietosi color farsi, non so se vero o falso, mi parea: i' che l'esca amorosa al petto avea, qual meraviglia se di subito arsi? Non era l'andar suo cosa mortale ma d'angelica forma, e le parole sonavan altro che pur voce umana; uno spirto celeste, un vivo sole fu quel ch'i' vidi, e se non fosse or tale, piaga per allentar d'arco non sana. La poesia si incentra sull’amore che Petrarca nutre per Laura. Questo amore è terreno quindi la bellezza della donna svanirà, non è un amore platonico come quello che Dante nutriva per Beatrice. Questo amore provocherà in lui anche dei ripensamenti e dei conflitti interni, ma sarà comunque infinito. Petrarca, come possiamo notare nelle prime due strofe, assume uno stile di scrittura innovativo. Non ultima fra le sue innovazioni è la soggettività del poeta, infatti lui non descrive ciò che la visione di Laura provocava alla gente, ma ciò che ha risvegliato e suscitato in lui. Nelle due terzine riappare il semplice e schematico tema del Dolce Stil Novo. La donna viene infatti descritta come un angelo e qualcosa di sopranaturale. Quel che il poeta dice di aver visto è qualcosa paragonabile ad un dea. Per approfondire: confronta questa poesia con qualche sonetto di Dante che fa riferimento ai temi del Dolce Stil Novo. Considerando il sonetto “Tanto gentile e tanto onesta pare” di Dante possiamo individuare molte differenze. L’amore che Dante prova per Beatrice è ben diverso da quello che Petrarca prova per Laura. Il primo infatti nutre un amore platonico e atemporale, infatti Alighieri cristallizza la bellezza di Beatrice che non sfiorirà mai, questo forse anche perché muore giovane; invece tetrarca descrive la sua donna in tutte le sue caratteristiche terrene, quindi la bellezza sfiorirà e questo lo capiamo anche da come ce ne parla. Inoltre per quest’ultimo il sentimento provato provocherà anche conflitti interni e ripensamenti, cosa che a Dante non succederà. Analisi e commento personale. Personalmente preferisco il sonetto di dante a quello di tetrarca, perché è, a mio avviso più passionale e sincero di quello di Dante. L’amore di Alighieri sembra quasi un amore impossibile, qualcosa di surreale, lui posiziona Beatrice su un piedistallo e l’adora, mentre Petrarca soffre per questa donna che lo rifiuta e questo suo tormento si percepisce anche nella poesia. Anche per lui Laura è qualcosa di irraggiungibile ma è qualcosa di vero, di concreto non è soltanto un sentimento platonico, è proprio una sensazione terrena, umana. Luca Bontempi “ERANO I CAPEI D’ORO A L’AURA SPARSI” FRANCESCO PETRARCA Biografia: Nacque ad Arezzo il 20 luglio 1304, da Eletta Cangiani (o Canigiani) e dal notaio ser Pietro di ser Parenzo di ser Garzo dell'Incisa (soprannominato Ser Petracco, noto nei documenti come Petraccolus o Petrarca, da cui il cognome del figliolo). Ser Petracco era militante nei guelfi bianchi[1] e fu amico di Dante Alighieri, esiliato da Firenze nel 1302 per motivi politici, legati all'arrivo di Carlo di Valois ed alle lotte tra guelfi bianchi e neri. È curioso a questo proposito notare come la sentenza del 10 marzo 1302 con la quale Cante Gabrielli da Gubbio, podestà di Firenze, condannava Ser Petrarca all'esilio, sia la stessa con la quale a Dante Alighieri veniva ingiunto di seguire lo stesso fato: una sentenza, quindi, destinata ad influenzare la storia della letteratura italiana. A causa dell'esilio paterno, il giovane Francesco trascorse l'infanzia in Toscana (prima ad Incisa e poi ad Arezzo e a Pisa), dove il padre era solito spostarsi per ragioni politico-economiche. Ma già nel 1311 la famiglia (nel frattempo era nato nel 1307 il fratello Gherardo) si trasferì a Carpentras, vicino ad Avignone (Francia), dove Petrarca sperava in qualche incarico al seguito della corte papale. Malgrado le inclinazioni letterarie, manifestate precocemente nello studio dei classici e in componimenti d'occasione, Francesco, dopo gli studi grammaticali compiuti sotto la guida di Convenevole da Prato, venne mandato dal padre prima a Montpellier e dal 1320, insieme a Gherardo, a Bologna per studiare diritto civile. Morto il padre, poco dopo il rientro in Provenza (1326), Petrarca incontrò il 6 aprile 1327, nella chiesa di Santa Chiara in Avignone, Laura e se ne innamorò. Un amore autentico per una donna reale (come insistette il poeta nelle sue confessioni), del quale non restano tuttavia dati documentati: esso non venne ricambiato e assurse tra i motivi centrali dell'esperienza umana e poetica dello scrittore. È stata proposta l'identificazione di Laura con Laura de Noves, coniugata con Ugo de Sade. Attorno al 1330, consumato il modesto patrimonio paterno, Petrarca si diede alla carriera ecclesiastica, abbracciando gli ordini minori. In questo periodo fu assunto quale cappellano di famiglia dal cardinale Giovanni Colonna, fratello di Giacomo Colonna, anch'esso amico del poeta, nominato vescovo di Lombez nel Come lui stesso scrisse in una lettera al fratello, trascorse il periodo avignonese negli studi, senza peraltro trascurare i piaceri mondani; proprio da due relazioni avute nel 1337 e nel 1343 nacquero i figli Giovanni e Francesca, che legittimò in seguito, curandone la sistemazione economica e l'educazione. Appoggiato da questa illustre e potente famiglia romana (fu amico anche di Stefano e Giovanni Colonna), compì in quegli anni numerosi viaggi in Europa, spinto dall'irrequieto e risorgente desiderio di conoscenza umana e culturale che contrassegna l'intera sua agitata biografia: fu a Parigi, a Gand, a Liegi (dove scoprì due orazioni di Cicerone), ad Aquisgrana, a Colonia, a Lione. Torna alla home

29 V°H BACKSTAGE THE END THE END ? TUTTA COLPA NOSTRA ORA
MUSICHE ANDREA LAMBERTUCCI ALESSIO GREGORI CECILIA GAETA ORGANIZZAZIONE LUCA BONTEMPI PAGINE D’AMORE UN LAVORO DEL V H A.S. 2009/10 LICEO CLASSICO GIULIO CESARE (ROMA) MONTAGGIO ANDREA LAMBERTUCCI ALESSIO GREGORI RINGRAZIAMENTI PROF.SSA MARISA PANETTA RESP.LAB.INFORMATICA TIZIANA CARBONE & A TUTTI NOI, BRAVI RAGAZZI!!! La mattina Non arrenderti... Grazie a te... Il tormento del poeta Arrivederci CLARA BALLERANI ELENA BELLOCCHIO Grazie a te... Quando guardo il cielo e fisso le stelle e mi innamoro della notte, penso a te, mamma, che mi hai mostrato la luce. Quando guardo un arcobaleno ti ringrazio, mamma, per la vita piena di colori che mi hai regalato. Quando guardo un passero in volo, penso a te, mamma, per la leggerezza nonostante le difficoltà con cui mi tiri su. Quando guardo la tempesta, penso alle lacrime che hai versato. Quando guardo una cascata, penso alla forza che mi hai trasmesso. Quando guardo una farfalla, penso alle tue carezze, ai tuoi abbracci, ai tuoi sorrisi. Quando guardo il mondo, penso a te, mamma, e penso che è grazie a te se ne faccio parte. Carlotta Costantini Quanno, me arzo dal letto alla mattina e vedo quer vecchietto su na panchina, a tirà le briciole ai piccioni, che porelli, sò un po’ brutti, ma sono paciocconi, me riviè in mente quando Roma mia me nutre co sti posti da magia. Dove vigge sempre l’armonia de sta città che te fa innamorà. Non arrenderti, non rinunciare sei ancora in tempo. Sei ancora in tempo per capire, per ricominciare, per accettare le tue ombre, per seppellire le tue paure, per riprendere il volo, per continuare il tuo viaggio, per inseguire i tuoi sogni, per girare pagina. Non arrenderti, non mollare anche se il freddo brucia, anche se la paura morde, anche se il sole si nasconde. Non arrenderti, non mollare perché è giunta l'ora di scoperchiare il cielo, di spostare le macerie, di iniziare una nuova vita. Non arrenderti perché questa è l'ora ed il miglior momento. Perchè non ci sono ferite che il tempo non curi. Perché non sei solo. Ci siamo noi con te. Perchè ti vogliamo bene, perché ti voglio bene...papà. Guardo questo foglio bianco. più lo guardo e più mi stanco. sono già in agitazione, non mi vien l'ispirazione! io non son di certo Omero, con le rime resto a zero. nè mi sento invero Dante, che di rime ne fè tante. io se proprio mi ci metto ripropongo un vecchio detto, che con la parola cuore, ci sta sempre in rima amore! è assai poco originale?? è davvero assai banale?? ci riprovo e voglio osare. che fa rima con volare?? non fa rima ma ci sta la parola libertà! di sentire e di pensiero d'esser bianco oppure nero. di sognare in girotondo tutti quanti un miglior mondo! Non arrenderti, non rinunciare, non lasciarti sommergere dalle onde. Intorno padroneggia il silenzio. Qualche rumore, qualche voce in lontananza, ma non riesci a capire, non hai abbastanza forze. Il silenzio ovattato nelle orecchie rende l'atmosfera lontana e incomprensibile. Silenzio ovunque e il tempo che scorre non spaventa più, o quasi. Sei come un burattino che sta immobile sulla cresta dell'onda ora sali e ora scendi. Sembri come addormentato, le tue membra non rispondono come vorresti, ma ora sai quello che ti sta accadendo intorno. Vedi le persone che ti vogliono bene starti accanto, preoccupate. Sono loro quel qualcosa, quel qualcuno che ti trattiene qui ? C'è ancora vita nei tuoi occhi, c'è ancora fuoco nella tua anima. Potrei parlarti d’amore, raccontarti i miei pensieri e chiedere dei tuoi. Potrei stringerti tra le mie braccia ed accarezzare quei lisci capelli color argento, nonnina mia. Potrei sorriderti mentre mi guardi con gli occhi velati dalla stanchezza, dalla voglia di lasciare questa via. Potrei aiutarti a guardarla in faccia accarezzando la tua pelle sottile e segnata dal tempo. Potrei chiederti di quando ero bambina, di quando la tua mano guidava la mia. Ed invece sono qui, sola, stupita, attonita, incapace di fermare lei che ti sta portando via. Clara Ballerani FRANCESCO FELLE ORA V°H BACKSTAGE THE END THE END ? NON FINISCE QUI... LE NOSTRE POESIE ALESSIO GREGORI CARLOTTA COSTANTINI STEFANIA DE ROSE ANDREA LAMBERTUCCI ADELE GUERRA LUCA BONTEMPI CARLOTTA SECHI FABIO NAPOLITANO MARIANNA BRUGNOLI FLAMINIA SPUNTICCHIA BEATRICE MERICONE LEONARDO GERLI CECILIA GAETA TUTTA COLPA NOSTRA SCUSATE, IL GABBIANO CI DOVEVA ESSERE… EUGENIO SANTACROCE ORA VERAMENTE GIANLUCA VICINO STEFANO CHIELI FRANCESCA FABRIZI IRENE SPINA Adele Guerra Stefano Chieli Francesca Romana Fabrizi


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