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COMUNICARE LA DIAGNOSI Dott.ssa Giovanna Pontiggia, Dirigente Psicologo Psicoterapeuta ASL BA.

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Presentazione sul tema: "COMUNICARE LA DIAGNOSI Dott.ssa Giovanna Pontiggia, Dirigente Psicologo Psicoterapeuta ASL BA."— Transcript della presentazione:

1 COMUNICARE LA DIAGNOSI Dott.ssa Giovanna Pontiggia, Dirigente Psicologo Psicoterapeuta ASL BA

2 Comunicare Informare COMUNICARE LA DIAGNOSI Passaggio di nozioni e informazioni Assenza rapporto emotivo Coinvolgimento emotivo e affettivo

3 COMUNICARE LA DIAGNOSI MALATTIA Problema che riguarda le emozioni, l’angoscia e la confusione, che devono essere fronteggiate; Problema di scelte razionali di diagnosi e prognosi.

4 Il professionista deve contenere l’ansia dei genitori ed è sottoposto a diversi limiti dati dalla realtà della patologia e dalle risorse terapeutiche. COMUNICARE LA DIAGNOSI

5 MODELLI DI RAPPORTO PROFESSIONISTA-UTENZA COMUNICARE LA DIAGNOSI PATERNALISTICO Professionista come tutore e possibilità dell’utenza di manifestare assenso verso valori e obiettivi INFORMATIVO Professionista come tecnico competente e utente come soggetto auotnomo nella scelta e controllo della cura medica INTERPRETATIVO Scopo della relazione terapeutica è di spiegare i valori all’utente e aiutarlo a selezionare l’intervento che meglio realizza questi valori DELIBERATIVO Il professionista instaura un dialogo con l’utente su quale azione potrebbe essere la migliore da intraprendere.

6 Dal punto di vista operativo i criteri generali da seguire durante una comunicazione possono essere: COMUNICARE LA DIAGNOSI Proporsi in partenza di dire la verità Pensare all’effetto che la diagnosi può avere nel mondo del paziente Non distruggere la speranza (è sempre possibile fare qualcosa di utile) Rispettare le difese del paziente

7 COMUNICARE LA DIAGNOSI FASI DELLA COMUNICAZIONE DI UNA DIAGNOSI 1 Creare un adeguato contesto; Scegliere il luogo; Decidere chi deve essere presente; Iniziare. Primo stadio, avviare il colloquio: Secondo stadio, esplorare cosa il paziente sa. Terzo stadio, capire quanto il paziente desidera sapere

8 COMUNICARE LA DIAGNOSI FASI DELLA COMUNICAZIONE DI UNA DIAGNOSI 2 Spiegare la diagnosi, pianificare il trattamento, il progetto di cura, illustrare la prognosi ed il supporto; Cominciare dalla prospettiva del paziente; Educare: dare le informazioni a piccole dosi, non parlare in gergo medico, verificare spesso la comprensione e chiarire, controllare il livello di interazione. Quarto stadio, rendere il paziente partecipe dell’informazione: Identificare e comprendere le reazioni del paziente. Quinto stadio, rispondere ai sentimenti del paziente: Organizzare e pianificare il trattamento; Stabilire un accordo e rispettarlo. Sesto stadio, pianificare e accompagnare:

9 COMUNICARE LA DIAGNOSI AUTISMO Reazioni immediate dei genitori LUTTO Stordimento e Incredulità Meccanismo di difesa contro l’angoscia derivante dalla presa di coscienza del significato della scoperta Il trauma vissuto dai genitori in questa prima fase, può essere seguito da una reazione di rifiuto che in alcuni casi può sfociare nella negazione, ma più frequentemente si traduce nella minimizzazione della gravità delle condizioni del proprio bambino fino all’emergere di fantasie riguardanti improbabili cure miracolose che sfociano in peregrinazioni. Altri vissuti sperimentati sono quelli di rabbia e senso di colpa: la prima causata dall’ingiustizia subita.

10 COMUNICARE LA DIAGNOSI DOMANDE FREQUENTI: Perché è successo proprio a me? Cosa ho fatto di male per meritarmi questo? I sentimenti di un genitore alla diagnosi di autismo del proprio figlio sono differenti sia in relazione all’esordio del disturbo che al sospetto delle prime difficoltà del bambino. I membri della famiglia possono quindi attraversare differentemente le fasi di superamento dello shock iniziale e le singole reazioni possono continuare anche in seguito ad essere differenti da quelle dell’altro coniuge.

11 COMUNICARE LA DIAGNOSI FIGLIO DISABILE FUTURO ??? I genitori non posseggono i mezzi e gli strumenti per poterlo immaginare

12 COMUNICARE LA DIAGNOSI CRONICITA’ DEL DISTURBO Amplificazione del dolore provato dalla famiglia Pensieri relativi al futuro del proprio figlio, nella prospettiva di doversene prendere cura per la vita, alla presa di decisioni finalizzate a preservarne l’esistenza dopo la loro morte

13 COMUNICARE LA DIAGNOSI VISSUTO Paralisi emotiva (si sentono incompresi, impotenti, insicuri sulle scelte da compiere) Tentativo di individuare la causa del disturbo (senso di colpa e autoaccusa a causa delle scarse conoscenze e del timore di esserne i diretti responsabili)

14 IL CAREGIVER FATTORI DI RISCHIO per la riduzione della QUALITÀ DELLA VITA: Difficoltà economiche (aumento spese per la cura, diminuzione capacità lavorativa e reddito); Bassi livelli di scolarità; Ridotto supporto sociale; Scarsa soddisfazione per il supporto sociale ricevuto; Percezione negativa della qualità delle relazioni di coppia e familiari. Malattia come occasione per mettersi alla prova e uscirne migliori; Mettere in campo una comune «ricerca di senso» affrontando insieme il trauma della malattia e trovando un nuovo scopo nel desiderio di vivere insieme oltre la malattia. COMUNICARE LA DIAGNOSI

15 IL COPING Con il termine coping si intendono gli sforzi cognitivi e comportamentali mirati alla gestione di situazioni stressanti, che comportano la percezione di minaccia, perdita o sfida. La risposta individuale è frutto di un processo di valutazione delle varie opzioni disponibili e delle possibili conseguenze. Le strategie di coping sono quindi parzialmente determinate dalla fiducia o dal dubbio sull’utilità di un comportamento rispetto agli altri. COMUNICARE LA DIAGNOSI

16 Supporto sociale ricerca di comprensione, ricerca di informazioni, sfogo emotivo Strategie di evitamento negazione, umorismo, uso di droga, distacco comportamentale, distacco mentale Attitudine positiva accettazione, contenimento, reinterpretazione positiva Orientamento al problema soppressione, pianificazione, attività Orientamento trascendente dedizione alla religione I principali meccanismi di coping COMUNICARE LA DIAGNOSI

17 LA RESILIENZA Resilienza è un termine di origine latina, che designa la “capacità di un materiale di resistere ad urti improvvisi senza spezzarsi”. In ambito psicologico la resilienza è la capacità di affrontare degli eventi traumatici e stressanti, superarli e continuare a svilupparsi riconoscendo e aumentando le proprie risorse con una conseguente riorganizzazione positiva della vita. COMUNICARE LA DIAGNOSI

18 MODALITÀ CON CUI VIENE COMUNICATA LA DIAGNOSI CHIAREZZA GRADUALITÀ Hasnat e Graves in un loro studio hanno riscontrato come al momento della diagnosi, i genitori che avevano ricevuto un ampia mole di informazioni erano maggiormente soddisfatti di coloro che giudicavano le indicazioni ricevute come semplicemente adeguate. Lo studio sembra quindi indicare come i genitori desiderino ricevere il più ampio numero di informazioni possibili, anche laddove non siano in grado di comprenderle a pieno.

19 COMUNICARE LA DIAGNOSI Comunicazione poco partecipativa della diagnosi Rischia di aggravare la durezza dell’impatto, e la sensazione di solitudine che ne consegue.

20 L’esperienza di solitudine viene incrementata spesso anche dalle istituzioni e dalle comunità, che sottolineano l’importanza dell’attivarsi, ma spesso non illustrano le vie necessarie al raggiungimento di questo obiettivo. COMUNICARE LA DIAGNOSI

21 Non sempre esiste una connessione tra i servizi diagnostici e quelli riabilitativi. La diagnosi, quindi, rappresenta spesso, l’inizio di un lungo cammino alla ricerca dell’intervento possibile. COMUNICARE LA DIAGNOSI

22 Le ricerche dimostrano che i genitori di bambini con autismo sperimentano alti livelli di stress cronico (DeMyer, 1979, Holdroyd, Brown, Wickler & Simmons, 1975) molto maggiori rispetto ai genitori di bambini con altri disturbi (Holroyd & McArthur, 1976). Da sempre si è cercato di elaborare programmi rivolti ai genitori di bambini con autismo che li aiutassero a fronteggiare le difficoltà di vita quotidiana e i comportamenti problematici dei loro figli in modo consapevole. Avere un figlio con una diagnosi di autismo rappresenta un’esperienza estremamente dolorosa per una famiglia.

23 COMUNICARE LA DIAGNOSI Grande sviluppo e importanza hanno avuto e hanno tutt’ora i PARENT TRAINING. Tali percorsi sono orientati all’insegnamento, mediante modeling, shaping, role playing e rinforzo, di abilità ai genitori per la gestione del comportamento dei loro figli.

24 Negli ultimi venti anni è venuta a delinearsi una nuova esigenza: la creazione di percorsi che non si occupassero solamente dell’aspetto comportamentale, ma anche di quello emotivo COMUNICARE LA DIAGNOSI

25 L’ ACT (Acceptance and Commitment Therapy, Hayes, Stroshal & Wilson, 1999) risulta particolarmente efficace e appropriata per il perseguimento di questo obiettivo. L’ACT è una terapia cognitivo comportamentale di terza generazione Enfatizza l’accettazione di emozioni spiacevoli e la defusione dalle stesse Aiuta le persone a fare chiarezza tra i propri valori e gli obiettiviPotenzia l’efficacia delle azioni rivolte ai valori e agli obiettivi

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28 I percorsi di integrazione socio-sanitaria DEVONO ESSERE PIANIFICATI tra rispetto della normativa e appropriatezza nella risposta ai bisogni soggettivi

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31 Tutti gli interventi avranno il fine di:  assicurare una corretta presa in carico;  realizzare una rete di assistenza generale adeguata ai bisogni emergenti e alla complessità dei trattamenti da attuare.

32 OBIETTIVI SPECIFICI Fare formazione e lavorare sull’ individuazion e precoce Assicurare presa in carico tempestiva Definire e qualificare la rete integrata Garantire la continuità dell’assistenza Sviluppare nuove sinergie e sistemi di aiuto ai familiari Migliorare e potenziare l’integrazione scolastica dei minori Garantire interventi educativi e assistenziali domiciliari e di comunità Garantire percorsi specifici

33 La struttura portante al momento più accreditata si individua all'interno di un approccio psico-educativo che preveda: la diagnosi precoce e comunicazioni chiare alla famiglia sia durante il percorso diagnostico e sia nella valutazione dell'efficacia dei progetti psico-educativi; la valutazione clinico-biologica con accertamenti laboratoristici e strumentali, con eventuale trattamento farmacologico, in particolare per i soggetti affetti da epilessia gli interventi abilitativi e educativi strutturati ed incentrati sul potenziamento delle risorse del bambino; l'aiuto pratico ed il sostegno psicologico alla famiglia;la continuità di servizi per l'intero ciclo di vita della personail collegamento e coordinamento degli interventi e dei servizi.

34 Coinvolgono la famiglia nel contesto diagnostico e terapeutico; prevedono un collegamento e un coordinamento tra interventi e servizi, scuola, famiglia; garantiscono una continuità di servizi per l’intero ciclo di vita della persona autistica; si basano sulla conoscenza della storia naturale del disturbo e sulla storia individuale di quel disturbo in quel bambino e nel suo contesto; forniscono servizi individualizzati per il bambino e il suo contesto; iniziano quanto più precocemente possibile; utilizzano insegnamenti strutturali e sistematici; si avvalgono di contesti specificamente organizzati tramite modificazioni strutturali degli ambienti di vita, che rendano il percorso terapeutico costante e leggibile per il bambino nei diversi contesti;

35 sono incentrati sul rafforzamento delle risorse presenti e sullo sviluppo delle competenze potenziali; sono in grado di incidere sull’integrazione e sullo sviluppo delle competenze cognitive, neuropsicologiche, simbolico- comunicative ed affettive compromesse nel bambino; offrono un progetto con obiettivi e breve e medio termine; indicano gli obiettivi da raggiungere attraverso una serie di semplici gradini; prevedono la programmazione di verifiche periodiche dell’efficacia degli interventi riabilitativi.

36 Nell'esperienza scientifica internazionale, la forma di intervento più utilizzata e validata è di tipo educativo- abilitativa un approccio globale alla situazione individuale, familiare, scolastica del soggetto autistico individuarne le risorse recuperabili e di facilitare cambiamenti adeguati dei contesti di vita. BASATA SU ALLO SCOPO DI

37 Gli obiettivi terapeutici e assistenziali possibili sono: rendere leggibili le routines, l’organizzazione della vita quotidiana; individuare le risorse recuperabili e quelle potenzialmente espandibili; migliorare le performances e facilitare gli apprendimenti; sostituire comportamenti disfunzionali con altri più appropriati; sviluppare le capacità comunicative; sviluppare capacità di interazione sociale; migliorare le autonomie personali; conquistare un maggior grado di indipendenza; facilitare l’integrazione sociale; raggiungere una migliore qualità della vita per i soggetti colpiti e per le loro famiglie.

38 1. Difficoltà a condividere un comune approccio all’autismo e conseguente difficoltà nel creare modelli di intervento omogenei e basati sull’evidenza dei dati; 2. Molte persone affette da autismo non hanno ancora ricevuto una diagnosi ed una valutazione funzionale precoce; nella maggior parte dei casi gli adulti non hanno ricevuto una diagnosi con conseguente mancata presa in carico riabilitativa e sociale; 3. Carenza di Centri diurni e residenziali per adulti autistici; 4. Mancanza di continuità di intervento dalla NPI alla Psichiatria per garantire la continuità della presa in carico tra l’età evolutiva e l’età adulta; Aspetti critici (1)

39 5. Carenza di formazione delle varie figure professionali, per garantire qualità ed omogeneità dei servizi, finalizzata alla condivisione di protocolli diagnostici e terapeutici validati scientificamente, ed all’acquisizione di tecniche terapeutiche specifiche; 6. Assenza di una rete integrata di servizi sanitari-sociali-educativi, con il coinvolgimento ed il coordinamento di A.O., IRCCS, scuola, servizi sociali, enti locali ASL; 7. Mancanza di figure professionali con particolari competenze nell’autismo, in grado di svolgere un efficace programma di tutoring nei diversi ambiti di socializzazione, a partire dalla scuola fino all’inserimento lavorativo; 8. Esclusione della famiglia dal progetto di presa in carico come interlocutore fondamentale e conseguente mancanza di sostegno psicologico. Aspetti critici (2)

40 Le necessita’ e la qualita’ della vita delle persone autistiche e delle loro famiglie (1) Nessuna persona con autismo dovrebbe essere privata della libertà di sviluppare le capacità indispensabili a condurre una vita indipendente nei limiti delle proprie possibilità. Il futuro delle persone con autismo dipende dalla gravità individuale della disabilità, ma anche dal livello di consapevolezza dei professionisti e dalla disponibilità di adeguati servizi sociosanitari.

41 Le persone autistiche ed i loro familiari hanno la necessità di disporre di una rete di servizi accessibili già dai primi anni di vita del bambino, specifici per patologia, rigorosi per metodologia e flessibili nell’erogazione delle prestazioni. I servizi sanitari dovrebbero fornire un supporto medico, psicologico, abilitativi, educativo e sociale in modo adeguato per fascia di età (infanzia, adolescenza ed età adulta) in stretta collaborazione con la famiglia, la scuola e se possibile il mondo del lavoro. Le necessita’ e la qualita’ della vita delle persone autistiche e delle loro famiglie (2)

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43  SOGGETTO: Bambino con diagnosi di: “Disturbo misto del linguaggio (espressivo e ricettivo), ritardo cognitivo medio-lieve, irrequietezza e stereotipie motorie”  ETA’: 5 anni giunto al Distretto con richiesta di valutazione da parte dell’UVM per l’inserimento in un centro diurno; il Servizio di Riabilitazione è stato chiamato per contribuire alla valutazione

44 AREA AFFETTIVO-RELAZIONALE  Scarse capacità adattive all’ambiente allargato;  Predilige il rapporto con la figura materna a discapito di altre figure, in presenza delle quali va contenuta l’iperattività;  Maggiore iniziativa allo scambio in seguito all’instaurarsi di una relazione AREA COMUNICATIVA E LINGUISTICA  Comprensione adeguata per ordini contestuali e lievemente deficitaria per quelli complessi e in sequenza;  Linguaggio espressivo a livello di parola-frase;  Ecolalia immediata e differita;  Gergolalia Profilo psicodiagnostico (I):

45 AREA COGNITIVA NEUROPSICOLOGICA  Attenzione labile;  Prestazioni cognitive deficitarie (Q.I. 50 Scala Leiter-R, ritardo mentale medio-lieve); AREA DELLE AUTONOMIE  Autonomie personali ed e sociali ipoevolute Profilo psicodiagnostico (II):

46 DPR n. 616/77, artt. 42 e 45 Legge Quadro104/92, art 13 M.I.U.R. nota del 30 novembre 2001 Dlds 112/98 LR n.9/2006 ASSISTENZA SPECIALISTICA

47 Dall’analisi del caso, incontri di rete, e tenuto conto di quanto espressamente specificato dalla normativa (DGR n. 691 del 12/04/2011, R.R. 18 gennaio 2007, n. 4), il minore non risulta rispondere ai criteri di eleggibilità verso la residenzialità di un centro diurno, poiché:  Trattasi di persona in età evolutiva, scolarizzato, con patologia non stabilizzata;  Vi è possibilità/opportunità di usufruire di altre forme di assistenza che stimolino un adeguato sviluppo psico-evolutivo mantenendo la permanenza nel proprio domicilio (ASSISTENZA SPECIALISTICA, M.I.U.R. nota del 30 novembre 2001);  Vi è necessità di salvaguardare e mantenere la relazione col caregiver di riferimento, al fine di promuovere il modeling e il processo identificativo;  Vi è urgenza di stimolare e promuovere l’integrazione e le abilità sociali all’interno di contesti che prevedono l’interscambio con pari normodotati che fungano da modello e stimolino i processi relazionali.

48 È necessaria:

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