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Processi di innovazione culturale Laurea magistrale in Sociologia Prof. Carmen Leccardi II parte a.a. 2015-16 1.

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1 Processi di innovazione culturale Laurea magistrale in Sociologia Prof. Carmen Leccardi II parte a.a. 2015-16 1

2 2. Innovazione e senso comune. La prospettiva della vita quotidiana Vita quotidiana (Jedlowski, Un giorno dopo l’altro, 2005): ciò che appare prossimo e ricorrente, giorno dopo giorno. La routine: le situazioni che ‘tornano’, che si ripresentano con regolarità. Ma la routine non è pura e semplice ripetizione. Lo spazio per l’’invenzione’ e la vita quotidiana. 2

3 La v.q., in quanto dimensione ricorrente, ha a che fare con la dimensione del tempo ( cotidie: ogni giorno ) ( Jedlowski e Leccardi, Sociologia della vita quotidiana, 2003 ). Rinvia anche a orizzonti di senso che ci sono familiari. Più in generale può essere definita come un insieme di pratiche, di ambienti, di relazioni 3

4 Per la fenomenologia sociale la v. q. è : “ il tessuto di abitudini familiari all’interno delle quali noi agiamo e alle quali noi pensiamo per la maggior parte del nostro tempo. Questo settore dell’esperienza è per noi il più reale: è il nostro habitat usuale e ordinario”. (P. e B. Berger, Sociologia. La dimensione sociale della vita quotidiana, 1977) 4

5 L’ espressione “vita quotidiana” ha una storia recente. Innovazione lessicale che accompagna il sorgere delle società industriali europee. V.q.: da tempo senza storia, tempo del lavoro obbligato (agli albori del capitalismo), a luogo della realizzazione dei desideri e misura della qualità della vita (in modo crescente a partire dalla seconda metà del Novecento). 5

6 E’ l’ambito in cui si produce l’ordine simbolico che regola le interazioni, attraverso il quale è possibile comprendere i processi di costruzione sociale della realtà. E’ lo spazio che costruisce ‘sicurezza ontologica’ (Giddens, Le conseguenze della modernità, 1994). Si esprime attraverso una coscienza pratica (versus coscienza discorsiva) v. Giddens, La costituzione della società, 1990. 6

7 Centrale, per lo studio dei processi di innovazione culturale, è la vita quotidiana in quanto prospettiva attraverso la quale ciascuno di noi ‘guarda’ la realtà. La ‘familiarità’ e la vita quotidiana. Se si voglino analizzare i processi di innovazione è dunque necessario soffermarsi su questa prospettiva. 7

8 La v.q. è la dimensione dell’esistenza che si rende palese ogni volta che la vita assume caratteristiche ripetitive, capaci di creare familiarità ( Jedlowski, Un giorno dopo l’altro, 2005) De Martino (La fine del mondo, 2002) e l’episodio di Marcellinara 8

9 De Martino: appaesamento (legato alla familiarità) versus spaesamento. La condizione contemporanea (vedi Berger, Berger e Kellner, The Homeless Mind: Modernization and Consciousness, 1973). In un contesto di familiarità, ciò che ci circonda assume significati indiscussi. 9

10 Che cos’è la quotidianizzazione e la sua relazione con la familiarità. Relazione fra ‘quotidianizzazione’ e istituzionalizzazione (piano collettivo) Rapporto fra ‘quotidianizzazione’ come processo cognitivo e assenza di problematicità (piano individuale). 10

11 Il processo di ‘addomesticamento’ (Silverstone) Addomesticamento come creazione di nuovi significati e nuovi legami. Attraverso questo processo costruiamo forme di controllo sulla realtà in quanto la rendiamo ‘naturale’. 11

12 In che modo la sociologia fenomenologica ci ha aiutato a comprendere la struttura cognitiva della vita quotidiana (vedi le riflessioni di Berger e Luckmann, 1969). Alcuni concetti chiave: stile cognitivo; tipizzazione; struttura di plausibilità, routinizzazione. 12

13 Stile cognitivo come modo di concettualizzare il mondo. Tipizzazioni come modi di riconoscere la regolarità che si manifestano nella vita quotidiana. Struttura di plausibilità come indicazione di ciò che in una data cultura può essere considerato realistico. 13

14 Routinizzazione come stabilizzazione delle forme di interazione legate al quotidiano. relazione tipizzazione e routinizzazione. La familiarità è l’esito di questa pluralità di dimensioni e processi. La funzione della familiarità 14

15 La relazione con il concetto di istituzione come stabilizzazione nel tempo di una serie di pratiche. Routine come base dei processi di istutuzionalizzazione. 15

16 La vita quotidiana e il ‘senso comune’ Il senso comune (‘ciò che tutti sanno’, Jedlowski) può essere definito come lo specifico stile cognitivo, il modo di pensiero proprio della vita quotidiana. E’ lo ‘sfondo’ entro il quale la nostra esperienza personale si colloca. Esso appare stabile sotto il profilo cognitivo. 16

17 In accordo a questo modo di pensiero il mondo è, per così dire, dato per scontato, è esente dal dubbio che le cose possano stare diversamente da come appaiono (Schutz, Saggi sociologici). Familiarità e ‘naturalezza’ del senso comune. Il ‘modo in cui le cose stanno’. La dimensione pragmatica del senso comune. 17

18 Senso comune: credenze, visioni della realtà, modi di metterla a tema, ‘massime’ con finalità pratiche, riferite alla vita quotidiana. Il ruolo della memoria (e della tradizione: vedi Gadamer). Tutte queste dimensioni sono condivise all’interno di un gruppo sociale dato. Il ruolo delle interazioni sociali nella sua formazione. 18

19 Sotto questo profilo il s.c. è un insieme di certezze la cui verità non si lega a ragionamenti, ma ad evidenze. E’ il regno dell’ovvio, del non problematico, del familiare (Jedlowski). E’ anche, al tempo stesso, un sistema di aspettative Delimita, prima ancora che le risposte, le domande che è lecito porsi. 19

20 Secondo la prospettiva della sociologia fenomenologica questo atteggiamento assume la realtà come non problematica. Mette fra parentesi il dubbio che le cose possano essere diverse da come appaiono. 20

21 Sul piano pratico il senso comune rinvia alla formazione di routine e abitudini cognitive. Il ruolo strategico della routine - sistema di abitudini condivise - nel proteggerci dalla minaccia dell’incertezza contemporanea (vedi Berger, Berger e Kellner, The Homeless Mind: Modernization and Consciousness, 1973). 21

22 Il senso comune può essere considerato anche come una forma di memoria sociale - come un insieme di regole, precetti, aspettative – legata ad una tradizione (vedi articolo di Jedlowski, Rassegna Italiana di Sociologia, 1, 1994). Dimensione normativa del senso comune: ciò che ritenuto non solo ovvio, ma giusto. 22

23 Il carattere plurale del senso comune: non soltanto ogni società, ma anche i diversi gruppi sociali hanno e riproducono un proprio senso comune. 23

24 L’innovazione, sul piano cognitivo, corrisponde precisamente ad una rimessa in discussione del senso comune: ad una sospensione, in altri termini, dell’atteggiamento che dà il mondo per scontato. Ne derivano apertura al dubbio, all’incertezza, ma anche alla creatività. 24

25 Inoltre, l’innovazione può essere legata al confronto fra i diversi sensi comuni presenti nella società moderna. Tensione fra i sensi comuni delle diverse cerchia sociali (Simmel). Come esito viene reintrodotto il dubbio (che le cose possano stare diversamente da come il senso comune le fa apparire). 25

26 In questo senso, l’innovazione culturale problematizza aspettative e giudizi tipici del senso comune. Più precisamente, li riformula. Sul piano pratico si può dunque affermare che i processi di innovazione culturale costituiscono una rottura ed una riformulazione di pratiche routinizzate. 26

27 Si crea, in questa cornice, un’ interruzione dell’atteggiamento che dà per scontati i contenuti e le forme della realtà. 27

28 Ciò può accadere da due diversi punti di vista: a. l’ambiente materiale offre nuove opportunità; b. si manifestano nuovi punti di vista, che mettono in discussione i contenuti del senso comune. Il ruolo dei soggetti collettivi (i movimenti) sotto questo profilo. 28

29 In sostanza, l’innovazione così intesa non rinvia soltanto all’identificazione di soluzioni ad hoc per la soddisfazione dei bisogni. Rimanda anche alla capacità di formulare nuove questioni, di ridefinire le forme di costruzione sociale della realtà. 29

30 Questo processo, mentre rimette in discussione il dato per scontato, porta l’attenzione sulla dimensione della soggettività. La v.q. può, in questo quadro, essere considerata l’arena per l’esercizio della responsabilità, e per l’espressione dell’autonomia oltre che della soggettività. 30

31 In sintesi. Le tappe di de-costruzione del senso comune: A. Sospensione dell’atteggiamento di familiarità (conoscenza quotidiana) B. Ridefinizione delle tipizzazioni con cui la realtà viene intesa. Si apre in tal modo lo spazio culturale per l’avvio di processi di innovazione 31

32 3. Le minoranze attive e la rottura del senso comune La riflessione sulle minoranze attive e il tema dell’influenza sociale (S. Moscovici, psicologo sociale, Psicologia delle minoranze attive,1976). L’influenza sociale solitamente viene messa a tema in relazione ai fenomeni di conformità. Qui la prospettiva si rovescia: centralità della ‘devianza’ (forme di resistenza al controllo sociale) in relazione ai processi di innovazione. 32

33 Che cos’è una minoranza attiva. Gruppi e collettivi tradizionalmente considerati ai margini della vita sociale per le visioni del mondo e gli orientamenti valoriali di cui sono portatori. Le minoranze attive partecipano alla creazione di movimenti sociali. Da gruppi definiti in modo negativo a soggetti di innovazione. In questo passaggio, le minoranze attive diventano soggetti sociali a pieno titolo. 33

34 Dall’anomia alla nomia. Crisi del modello funzionalista. Non devianza come incapacità di adattamento, ma tensione attiva verso il mutamento. Per Moscovici, l’innovazione è «un processo fondamentale dell’esistenza sociale». Centralità del conflitto come veicolo dell’innovazione. Il gruppo innovatore è creatore di conflitti. 34

35 Conflitto come veicolo attraverso il quale passare «da un ordine sociale a un altro, da un punto di vista all’altro, da una verità a un’altra». La modalità di influenza delle minoranze attive passa attraverso il conflitto invece che attraverso la conformità. 35

36 I movimenti sociali come soggetti di innovazione Punto di partenza: la società muta attraverso i conflitti. Movimenti non come effetto della crisi, ma come segno di ciò che sta nascendo. I movimenti annunciano ciò che si sta formando, il mutamento possibile. Costringono il potere a rendersi visibile (Melucci). Centralità, per i movimenti contemporanei, della lotta per l’identità. 36

37 La vita quotidiana diventa arena privilegiata dell’espressione di conflitti. Controllo crescente sulla v.q. da parte di apparati di regolazione che richiedono consenso. La riappropriazione del senso dell’agire diventa posta in gioco nella lotta contro questi apparati. 37

38 Movimenti sociali (forme di azione collettiva) non come realtà omogenee, ma come fenomeniper natura eterogenei e frammentati. Nel mondo sociologico due sono stati gli approcci privilegiati allo studio dei movimenti: l’approccio marxista (centralità degli interessi di classe) e quello del collective behavior (Smelser: centralità dell’idea di credenza collettiva). 38

39 Gli approcci si sono via via pluralizzati. Tra gli altri: Resource mobilization theory (McCarthy-Zald; Tilly) : importanza della struttura delle opportunità politiche disponibili per la mobilitazione messa in atto dai movimenti; teoria dei nuovi movimenti sociali (Touraine; Melucci): nuovi conflitti sociali, non più legati a posizioni di classe (lotte delle donne, degli studenti, dei soggetti non eterosessuali…). Centralità degli aspetti culturali. 39

40 Il movimento del Sessantotto e l’innovazione culturale Punto di partenza della riflessione: la nuova condizione giovanile di fine anni Sessanta: separazione tra concetto giuridico di maggiore età e ingresso nella vita adulta. Che cos’è la transizione alla vita adulta. I dati demografici: tra il 1951 e il 1971 la popolazione giovanile diminuisce di oltre 650.000 unità a causa dl calo delle nascite nel periodo bellico e immediatamente post-bellico. 40

41 Processi di scolarizzazione: la scuola di massa (dal 1951 al 1961 più 10 punti percentuali di iscritti alla secondaria superiore: 21.3%). La «media unica» (1962) A scuola si apre ai giovani dei due sessi con l’implicita promessa di promozione sociale. Relazione tra la nascita dei movimenti studenteschi e la consapevolezza delle diseguaglianze delle opportunità educative. 41

42 Il ‘miracolo economico’ (1958-1963) e la nascita delle culture giovanili in Italia. I giovani diventano socialmente visibili come gruppo autonomo. Prima del Sessantotto: la cultura beat. Contro l’autoritarismo adulto; anticonformismo; spirito comunitario; sperimentazione culturale. Lo stile di abbigliamento. Cresce il conflitto tra le generazioni. Contro la tutela adulta dei giovani. 42

43 La cultura beat in Italia come antesignana del movimento del Sessantotto. La nuova centralità della vita quotidiana e del presente come cuore della biografia. Contro il ‘differimento delle gratificazioni’ I giornalini studenteschi e il caso de «La Zanzara» (1966: quest’anno è caduto il cinquantesimo anniversario). 43

44 Le culture del Sessantotto Il Sessantotto: processo e evento insieme L’abbraccio dei giovani con la politica – sulla base del rifiuto della politica istituzionale (no al principio della rappresentanza) Continuità e discontinuità tra le culture del Sessantotto e la controcultura beat (contro il ‘perbenismo’; rifiuto del consumismo; contro l’autoritarismo; ricerca di forme di socialità alternative). In più: in una parte del movimento, teatralità, sarcasmo, gusto della battuta 44

45 Riferimento bibliografico essenziale per l’analisi delle culture del Sessantotto: P. Ortoleva, Saggio sui movimenti del 68 in Europa e in America, 1988. Vedi anche A. Cavalli, C. Leccardi, Le culture giovanili, Storia dell’Italia repubblicana, vol. III, tomo 2°, 1997. 45

46 Chi sono i giovani nelle culture del Sessantotto. Giovani come soggetti dell’. Differenze con l’approccio più legato all’età della controcultura cultura beat. Centralità della condizione studentesca. La relazione con l’avvio della scuola di massa della seconda metà degli anni Sessanta. 46

47 Due aspetti delle culture del Sessantotto (e legati ai processi di innovazione culturale): Centralità del quotidiano Importanza dell’esperienza personale Quotidiano come nuovo ambito politico: le strutture di potere diventano visibili nella vita quotidiana. Costruire un modello alternativo di vita quotidiana. Rifiuto del consumismo, ma anche dell’auto-esclusione (vedi comunità hippie). 47

48 Esperienza: importanza del partire da sé come leva di politicizzazione; nuovi ambiti di condivisone e comunicazione vanno creati a partire dalla ridefinizione del quotidiano. Il collegamento tra esperienza e vita quotidiana è garantito dalla centralità della politica. La ‘politica al posto di comando’ Allargamento della politica in chiave sociale. 48

49 Al centro dell’attenzione ci sono gli studenti. Gli studenti come ‘forza lavoro in formazione’. Relazione con le forme di sfruttamento capitalistico. L’orizzonte internazionalista prima della globalizzazione contemporanea. Non c’è un altrove. Lotta nella propria università come parte delle lotte internazionali. 49

50 Che cos’è la politica per il movimento: Rifiuto degli organismi rappresentativi degli studenti; Rifiuto della delega; Contro il potere accademico Perché l’immaginazione sociologica è qui centrale (Wright Mills). Importanza di procedere dal particolare al generale, dal personale al politico. 50

51 Il divario tra principi egualitari promossi formalmente dalle istituzioni e le pratiche di discriminazione reale. L’università e il rifiuto della selezione e delle forme di diseguaglianza all’interno della scuola di massa. 51

52 Le pratiche politiche a carattere antiautoritario sono centrali per il movimento del Sessantotto. Contro i saperi accademici. Che cosa si intende per ‘saperi libreschi’. Non c’è soluzione individuale ai problemi politici (versus l’ contemporanea della politica) 52

53 La tesi: il sapere non si può trasmettere solo attraverso i libri. Importanza della relazione fra pratiche di movimento e costruzione del sapere (la vita quotidiana è al centro della scena). Critica della cultura ‘colta’. Teoria e pratica devono procedere insieme. Costruzione di ‘controcorsi’, ‘commissioni di studio’, forme seminariali. 53

54 La costruzione del sapere può essere solo collettiva. La conoscenza : per definizione sperimentale, non codificata, da costruire con e attraverso il gruppo Importanza del confronto fra saperi. L’interdisciplinarietà. I libri: ombre e luci della relazione con i saperi codificati nei libri 54

55 Il sapere ‘nasce dalle lotte’: al centro delle culture del Sessantotto. La conoscenza, per quanto individuale, è sempre espressione di una cultura di gruppo. La natura politica della conoscenza. 55

56 Le occupazioni delle università (a partire dal 1966). Esperienza comunitaria e educazione politica La ricostruzione del quotidiano come ‘quotidiano collettivo’ Occupazione come spazio di creatività; pratica di ‘democrazia diretta’ 56

57 La convivenza tra culture (laiche e religiose); la soggettività al centro della scena politica. Perde ulteriormente di consistenza l’idea di individuo isolato. 57

58 Le giovani donne e le culture dl Sessantotto: Importanza del personale; Critica al patriarcato; Il linguaggio del corpo; L’importanza delle emozioni. 58

59 Ma le culture del Sessantotto restano fondamentalmente androgine. Occorrerà attendere il decennio successivo per lo sviluppo di reti di donne. Punti di contatto e distanze tra culture del movimento delle donne e culture del Sessantotto (autrice di riferimento: Luisa Passerini) 59

60 Le culture del Sessantotto e il tempo Estensione degli orizzonti temporali del futuro e del passato. Importanza della memoria storica e del progetto collettivo. Il presente come ponte fra passato e futuro – un tempo da costruire attraverso la pratica politica. 60

61 Il movimento delle donne negli anni Settanta e l’innovazione concettuale (Vedi Jedlowski e Leccardi, Sociologia della vita quotidiana, 2003). Il quotidiano 1. Il quotidiano acquista centralità in quanto sfera strategica per la riproduzione della vita sociale. Rifiuto della dicotomia tra lavoro remunerato e non remunerato (lavoro per il mercato da un lato; lavoro di cura, dall’altro). 61

62 Il quotidiano conquista la ribalta e guadagna visibilità come spazio-tempo in cui ‘si fa storia’. Alla base di questo processo c’è il rifiuto del dualismo costitutivo dell’ordine sociale: la divisione tra pubblico e privato, e la chiusura del quotidiano all’interno del secondo polo, il privato. 62

63 Dal quotidiano come ambito per definizione dell’oppressione di genere al quotidiano come centro della critica alla contrapposizione tra i temi ‘politici’ del lavoro e del potere e quelli ‘personali’ del corpo e della sessualità. 63

64 2. Relazione tra la sfera del quotidiano e il metodo di conoscenza praticato dal movimento delle donne negli anni Settanta: l’autocoscienza. Il metodo è fondato sul ‘partire da sé’ e dalla propria esperienza. Metodo collettivo, che promuove la critica politica delle donne contro la privatizzazione delle relazioni familiari. 64

65 Nel piccolo gruppo viene collettivamente elaborato un percorso di conoscenza che mette al centro l’esperienza di ciascuna donna. I nessi tra le biografie femminili e la critica al patriarcato. Il luogo in cui l’autocoscienza si pratica sono le case, simbolo per eccellenza del ‘privato’ delle donne. 65

66 La casa, grazie alla pratica dell’autocoscienza, si trasforma in uno spazio politico, di elaborazione collettiva. Il quotidiano, anche per questa via, diventa per il movimento delle donne uno spazio politico a tutti gli effetti. 66

67 La creatività concettuale del movimento delle donne (fine anni Settanta – metà anni Ottanta). Esercizio di soggettività e di critica politica insieme. L’esperienza del GRIFF (Gruppo di Ricerca sulla Famiglia e la Condizione Femminile). Nasce nella prima metà degli anni Settanta su iniziativa di Laura Balbo a Milano (Università Statale. 67

68 Tra i concetti messi a punto: Doppia presenza (Balbo 1978): trasversalità tra mondi pubblici e privati che genera specifiche forme di conoscenza. Lavoro familiare (Bianchi 1981): ‘lavoro erogato nella e per la famiglia’. Lavoro di rapporto (garantire la qualità delle relazioni; cura; attività di socializzazione…) e lavoro burocratico (relazione con le istituzioni del welfare). 68

69 Quest’ultimo concetto getta luce sul ruolo economico della famiglia come sede di produzione e distribuzione di beni, servizi e redditi, e non solo come ambito di affettività. 69

70 Relazione tra lavoro familiare, identità delle donne e forme di responsabilità personale. Oltre l’idea di ‘sacrificio’. Il lavoro femminile svela in tal modo, attraverso i due concetti intrecciati di doppia presenza e lavoro familiare, la propria ricchezza politica e di senso. 70

71 4. Meccanismi di costruzione dell’innovazione sociale. Ermeneutica dei casi concreti L’innovazione può sorgere attraverso il compromesso fra logiche cognitive differenti (cognitive bargaining, Berger). L’esempio del ‘familismo morale’ (Turnaturi e Donolo) 71

72 Che cos’è l ‘familismo amorale’. Lo studio di Edward Banfield nella Lucania degli anni Cinquanta del Novecento (v. Le basi morali di una società arretrata, ed. or. Inglese 1957). Montegrano e la carenza di senso civico. 72

73 Il punto di partenza: moltiplicarsi, a partire dagli anni Ottanta, di associazioni di familiari (di malati, detenuti, vittime di stragi, di mafia, contro la droga). Scelta di mostrarsi in pubblico. La famiglia come base attraverso la quale richiedere una assunzione di responsabilità della parte pubblica. 73

74 Le associazioni dei familiari delle vittime di ‘mali’ socialmente prodotti. La centralità r la valorizzazione dei legami affettivi; la concezione di sé come cittadini/e. Sintesi tra sfera privata e sfera pubblica (cognitive bargaining, Berger): il ‘familiare cittadino’. 74

75 Le relazioni ‘private’, intime, come veicolo di eticità nell’arena pubblica. 75

76 L’innovazione è legata al rifiuto della contrapposizione tra pubblico e privato, affetti familiari (privati) e cittadinanza (dimensione pubblica). E, anche, al fatto che la famiglia è messa a tema a partire dalla sua dimensione affettiva (non come istituzione). 76

77 Punto di partenza delle associazioni, tra loro molto diverse, è sempre un caso concreto. Indignazione come virtù pubblica. Interlocutori sono l’opinione pubblica e lo stato. 77

78 La sfera di intervento ha a che fare con il sociale, non con il politico. Non c’è rifiuto ideologico della politica, ma la politica è altrove. Si delinea una sfera intermedia tra politico e sociale: l’individualità diventa sociale. Importanza della dimensione collettiva. 78

79 Attraverso le associazioni si creano nuove forme di legame sociale, solidarietà, relazioni sociali. Si riscoprono le basi dell’azione collettiva attraverso cause profondamente individuali. 79

80 * l’Associazione familiari delle vittime della strage della stazione di Bologna (la strage del 2 agosto 1980). Il dolore e il lutto diventano la base di azioni a carattere universalistico. 80 Esempi di ‘familismo morale’ portati da Turnaturi e Donolo:

81 L’associazione nasce in modo autonomo, non delega, costruisce nuove forme di consapevolezza civica e favorisce modalità di apprendimento sociale tra i/le partecipanti. Nuove esperienze di relazione con la sfera pubblica. “La partecipazione nasce dalla forzata pubblicizzazione di dolori privati”. Distanza dalla politica istituzionale. 81

82 * Il caso delle vedove di mafia L’associazione nasce in Sicilia (vedove di magistrati, sindacalisti, esponenti delle forze dell’ordine). L’esperienza drammatica del lutto diventa denuncia delle complicità, indignazione, richiesta di giustizia, virtù pubblica. “In quanto mogli, madri, vedove si è cittadine” (Turnaturi e Donolo) 82

83 * Le madri di Primavalle Anni Ottanta, quartiere romano, lotta contro la droga di gruppi di madri/di genitori (ma prevalente presenza femmnile). Occupazione di una palestra del quartiere. Contro gli spacciatori, aiuto a chi è in crisi di astinenza. Attenzione da parte del comune a fronte dell’attivismo dei genitori. 83

84 Il ruolo centrale delle donne in queste forme di associazionismo. ‘Femminismo’ pratico e quotidiano. La cultura delle donne: il partire da sé, il rifiuto della delega. 84

85 Il processo trasformativo generato dalla partecipazione alla vita di queste associazioni (interno/esterno). Area intermedia tra sociale e politico. Difesa di identità non delegabili; casi individuali ma soggettività sociali. 85

86 Famiglia come spazio di mediazione fra pubblico e privato. Ambito da cui nasce la spinta verso la partecipazione civica. Soggettività private (familiari), pubbliche (pratiche di cittadinanza), collettive (il gruppo, l’associazione). Il ‘familismo morale’ come realtà quotidiana. 86

87 Centralità e legittimità delle emozioni. Emozioni come veicolo etico e strumento di conoscenza (di sé, del sociale). Le emozioni aprono alla sfera pubblica nella vita quotidiana. Le analisi di Marta Nussbaum (L’intelligenza delle emozioni). Un diverso tipo di razionalità. 87

88 In un’ottica di cognitive bargaining, il familismo può trasformarsi in innovazione culturale (e politica). La stessa messa a tema di queste forme di associazione come forme di ‘familismo morale’ costituisce innovazione. Il caso concreto ‘contiene’ questioni di principio. 88

89 L’esempio del ‘carry over’ (Berger): una logica cognitiva emigra da una ‘provincia finita di significato’ (Schutz) ad un’altra. ‘Il personale è politico’: dal femminismo degli anni Settanta alle associazioni dei familiari delle vittime delle stragi. 89

90 Un esempio di ‘carry over’ e di innovazione concettuale: la categoria di ‘doppia presenza’ elaborata da Laura Balbo negli anni Settanta. 90

91 Gli attori dell’innovazione. Due figure emblematiche: lo straniero e l’’esperto’ °Lo straniero La problematizzazione di ciò che è ovvio per lo straniero. Pratiche, valori, finalità, non possono essere dati per scontati. La visione dello straniero costituisce di per sé una critica al senso comune. 91

92 Lo straniero come innovatore in nuce. Mettersi in grado di riconoscere le potenzialità contenute in situazioni di marginalità sociale. 92

93 Schutz (saggio sullo straniero in ‘Saggi sociologici’). La cultura del luogo non è entrata nella sua biografia Lo straniero condivide il presente (eventualmente il futuro), ma non il passato. Un soggetto senza storia. La mancata relazione con il senso comune. Gli schemi di interpretazione del mondo sono rimessi in gioco perché il gruppo di appartenenza non è più definito. 93

94 Per lo straniero gli attori osservati non sono tipi (esecutori di funzioni tipiche), ma individui. Non ci sono ‘ricette’ (Schutz) per la risoluzione dei problemi quotidiani. I modelli culturali del nuovo gruppo di riferimento non sono un rifugio, ma un campo d’avventura. 94

95 In generale: non ogni situazione di marginalità può tuttavia trasformarsi in contesto di effettiva innovazione. Fondamentale è la fiducia e la convinzione (collettiva in particolare) di potere produrre innovazione. 95

96 Per generare innovazione cruciale risulta la capacità di esercitare potere. Per produrre innovazione lo sguardo che si posa sulla realtà quotidiana e ne pone in discussione il carattere dato per scontato deve potersi trasformare in azione sociale. 96

97 ° L’esperto Qui l’esperto è inteso non come chi possiede uno specifico know how, ma come colui che ha esperienza. L’esperienza nasce al confine fra senso comune e rielaborazione soggettiva. L’importanza degli ‘attraversamenti’ personali (ex-per-ire) ( Jedlowski) 97

98 I contenuti del senso comune sono stati interiorizzati, ma vengono posti a confronto con i vissuti personali. Da questo intreccio può nascere esperienza. L’esperienza sedimenta nella v.q., ma comporta una presa di distanza dal senso comune che la caratterizza. 98

99 Il potere innovativo dell’esperienza: può modificare tipizzazioni legate al senso comune e alle routine quotidiane. L’esperienza personale come ‘antidoto’ al dominio del senso comune (vedi l’esperienza di relazione personale con soggetti migrati). 99

100 Tuttavia, per costruire innovazione, anche in questo caso come per lo straniero è necessario che chi possiede esperienza decida di usarla per produrre innovazione (deve possedere non solo un interesse, ma anche capacità e potere). 100

101 L’esperienza personale può smascherare il carattere ideologico di affermazioni che rivendicano il carattere innovativo di determinate azioni/situazioni (proposte come favorevoli alla collettività). 101

102 L’esperienza può ad esempio interrogare il sapere tecnologico, costringendolo a misurarsi con obiettivi che questo sapere tende a dare per scontati. 102

103 Creatività e innovazione Termine entrato nel lessico comune soprattutto a partire dagli anni Sessanta. Relazione tra interesse alla creatività e accelerazione dei processi di mutamento. Creatività come modalità di far fronte a questa accelerazione. Stretto legame con i processi di innovazione culturale e sociale. I movimenti sociali, in tal senso, possono essere considerati soggetti collettivi creativi. 103

104 Creatività come ‘termine ombrello’: contenitore culturale di una pluralità di fenomeni (processo creativo, abilità creative, esperienze creative). Il suo campo semantico è esteso. Originario interesse alla creatività da parte della psicologia (psicologia cognitiva), ma anche da parte della psicoanalisi. Oggi forte interesse da parte delle scienze dell’organizzazione. Coinvolgimento del mondo della scienza e, ovviamente, del mondo artistico. 104

105 Oggi interesse soprattutto al lato quotidiano della creatività. Oltre la coincidenza tra genio e creatività. Il problema: far incontrare un certo tipo di intelligenza personale e le condizioni esterne che ne facilitano l’espressione. Favorire l’incontro fra queste due dimensioni e dinamiche dell’innovazione. 105

106 Ansia e noia come impedimenti all’espressione della creatività. Dal punto di vista dei processi culturali e comunicativi: attenzione ai processi sociali (interazioni, dinamiche ambientali…) che facilitano o invece ostacolano l’espressione della creatività. 106

107 Dal problem solving (dimensione centrale nella vita delle organizzazioni) al problem making: il ruolo della creatività nei processi di innovazione culturale. Oltre la dimensione ‘straordinaria’ della creatività (nelle organizzazioni il leader carismatico). Coniugare creatività e vita quotidiana. 107

108 La ricerca di Alberto Melucci sulla creatvità (anni Novanta: vedi A. Melucci, a cura di, Creatività: miti, discorsi, processi, 1994). Le categorie coinvolte: artisti, scienziati, creativi in ambito pubblicitario, consulenti, manager di grandi organizzazioni). Interesse anche ai movimenti sociali e ai giovani (in specifico agli adolescenti), 108

109 Diverse accezioni di creatività per le diverse categorie sociali. Centralità del riconoscimento sociale della creatività. Creatività e trasgressione. Capacità di combinare tempi diversi come espressione di creatività. 109

110 Riferimenti bibliografici P. Jedlowski e C. Leccardi, Sociologia della vita quotidiana, Bologna, il Mulino, 2003. Una reading list, letture che completano la preparazione per le prove finali: P. Jedlowski, Quello che tutti sanno. Per una discussione sul concetto di senso comune, in Rassegna Italiana di Sociologia, XXXV/1, 1994, pp. 49-77; P. Jedlowski, Senso comune, esperienza e innovazione sociale, in Fogli nella valigia. Sociologia, cultura, vita quotidiana, Bologna, il Mulino, 2003, pp. 57-68; 110

111 C. Donolo e F. Fichera, Teorie e culture dell’innovazione, in Id. (a cura di), Le vie dell’innovazione. Forme e limiti della razionalità politica, Milano, Feltrinelli, 1988, pp. 213-236; G. Turnaturi e C. Donolo, Familismi morali, in C. Donolo e F. Fichera (a cura di) Le vie dell’innovazione. Forme e limiti della razionalità politica, Milano, Feltrinelli, 1988, pp. 164-185; A. Cavalli, La gioventù: condizione o processo?, in Rassegna Italiana di Sociologia, n. 4, 1980, pp. 519-542; 111

112 A. Cavalli e C. Leccardi, Le culture giovanili, in La Storia dell’Italia repubblicana, Einaudi, vol. III, Torino, pp. 709- 800; A. Melucci, L’invenzione del presente. Movimenti, identità, bisogni collettivi, Il Mulino, Bologna, 1982, pp. 72-83 e 161-193; A. Melucci, Creatività: miti, discorsi, processi, Feltrinelli, Milano, 1994. pp. 11-32. I. Tuomi, Networks of Innovation. Change and Meaning in the Age of the Internet, Oxford New York, Oxford University Press, 2002, introduzione, capitoli 2 e 6. 112


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