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VIVERE E’ COMUNICARE La comunicazione è una forma di azione sociale attraverso la quale l’individuo comunica le sue intenzioni, i suoi pensieri, i suoi.

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Presentazione sul tema: "VIVERE E’ COMUNICARE La comunicazione è una forma di azione sociale attraverso la quale l’individuo comunica le sue intenzioni, i suoi pensieri, i suoi."— Transcript della presentazione:

0 LA GESTIONE DEL PAZIENTE CON DEMENZA IN OSPEDALE
REGIONE DEL VENETO AZIENDA ULSS N. 7 PIEVE DI SOLIGO (TV) La comunicazione con la persona affetta da demenza Dott.ssa Mara AZZALINI

1 VIVERE E’ COMUNICARE La comunicazione è una forma di azione sociale attraverso la quale l’individuo comunica le sue intenzioni, i suoi pensieri, i suoi sentimenti, i suoi bisogni: è un tramite tra l’io e il tu, quindi presupposto fondamentale di tutte le relazioni umane. L’interazione comunicativa è molto influenzata dal contesto in cui avviene ed è molto importante che emittente e ricevente condividano lo stesso codice, perché solo così può avvenire la comprensione del messaggio.

2 I LIVELLI DELLA COMUNICAZIONE La comunicazione avviene a tre livelli:
= parole (espr. orale) 1) con quello che diciamo : = lessico (vocabolario) Livello VERBALE = comprensione = scrittura (espr. scritta) = lettura 2) con il modo in cui lo diciamo: = tono di voce = ritmo = volume Livello PARAVERBALE = silenzio 3 ) con ciò che accompagna = mimica facciale le parole: = sguardo = gesti = postura  Livello NON VERBALE = posizione = contatto

3 L’efficacia della comunicazione è data dalla coerenza tra i tre livelli è per questo che quando si comunica non ci si può preoccupare solo di che cosa si dice, ma di come questo qualcosa viene detto e degli effetti di questo nostro dire sul destinatario. Quando c’è discrepanza tra contenuto del discorso e comunicazione non verbale, il ricevente può provare una sensazione di confusione e trovarsi nella condizione di dover scegliere quale prevale: solitamente è tenuto maggiormente in considerazione il linguaggio non verbale.

4 DISTURBI DEL LINGUAGGIO E DEMENZA
AFASIA un’alterazione dell’uso dei simboli verbali che impedisce di tradurre il pensiero in parole e viceversa. Il disturbo che ne deriva consiste nella difficoltà di produzione e comprensione del linguaggio verbale ed è dovuta a lesioni di specifiche aree cerebrali. Tale termine viene usato abitualmente anche per indicare i disturbi del linguaggio dovuti a processi degenerativi cerebrali.

5 DISTURBI DEL LINGUAGGIO E DEMENZA
La produzione e la comprensione di un messaggio sono il risultato di diversi processi cognitivi: traduzione del pensiero in parola ricerca dei vocaboli nel lessico costruzione di una frase seguendo regole sintattiche, grammaticali ecc. vengono gradualmente compromessi nel corso della malattia, sia pur con relativa variabilità tra individui per quanto concerne la comparsa, la tipologia e la velocità dell’evoluzione, tuttavia in letteratura vengono descritti come un percorso relativamente standard.

6 EVOLUZIONE DEI DISTURBI DEL LINGUAGGIO
FASE INIZIALE difficoltà a concentrarsi nel tenere il filo del discorso (condizione dipendente da un deficit attentivo) nella conversazione viene avvertita una lieve difficoltà a trovare le parole giuste al momento giusto, soprattutto quelle di uso non frequente, (fenomeno della parola sulla punta della lingua), di conseguenza le frasi diventano più brevi, il vocabolario si riduce e diventa più povero le latenze e le incertezze nella costruzione sintattica della frase possono venire spontaneamente corrette e adeguatamente compensate e quindi non risultare ancora di impedimento alla comunicazione

7 FASE PIU’ AVANZATA (II, III anno di malattia)
Il linguaggio spontaneo risulta più impoverito per la difficoltà a tradurre il pensiero in parole maggiore difficoltà nella ricerca lessicale, per cui appaiono più numerose le latenze, le ripetizioni e gli inceppi più frequenti le anomie (difficoltà a produrre una parola) e le parafasie verbali, ossia sostituzione di una parola con un’altra della stessa famiglia ma con significato diverso (tavolo=sedia). Essendo in questa fase ancora consapevole, il malato per compensare i propri difetti ricorre a giri di frase e circonlocuzioni (penna= serve per scrivere), a frasi fatte, a parole passe-partout (coso, cosa..). A causa della difficoltà a tenere a mente quello che intende comunicare il discorso si estrinseca in false partenze (inizio senza fine), omissioni di informazioni cruciali, intrusioni (salta di palo in frasca) e perseverazioni. Si può manifestare un lieve deficit di scrittura, specie per perseverazioni od omissioni di lettere o di gambe (m, n, u).

8 TESTO DI CARY SMITH HENDERSON
“Non riesco proprio a conversare bene e questo è molto limitante. Non riesco a pensare a una cosa da dire prima che qualcun altro l’abbia già detta, anticipando quello che dovevo dire io. Le parole si confondono facilmente fra loro e quando non trovo una parola provo un senso di frustrazione. Ogni volta che sto conversando con qualcuno c’è sempre una parola che non riesco a ricordare.” TESTO DI CARY SMITH HENDERSON

9 FASE INTERMEDIA (III, V anno di malattia)
Il linguaggio è più chiaramente compromesso, spesso per inerzia dell’iniziativa verbale. Tende a parlare di meno. La comunicazione è gravemente ridotta per la povertà di parole a contenuto informativo, l’eloquio è vuoto (empty speech; Benson, 1979). Le anomie diventano sempre più frequenti, mentre le strategie di compenso come le circonlocuzioni meno efficaci, compaiono anche parafasie fonemiche (parole con suono simile, ad es. orologio =orelegio), o parole-frase. Il demente in questa fase non è più in grado di fare uso di una conversazione alternata e si esprime con un linguaggio egocentrico (Critchley, 1964) tornando in modo ricorrente sui propri problemi e bisogni. Progressivamente più gravi diventano anche i disturbi di comprensione e di scrittura. La ripetizione e la lettura ad alta voce possono conservarsi invece più a lungo (ma non la comprensione del testo letto).

10 FASE FINALE (dopo VI anno di malattia)
Nelle fasi avanzate della malattia la comunicazione in senso stretto risulta in genere impossibile le risposte sono spesso stereotipate, dando luogo a perseverazioni, ripetizioni di domande anziché risposte (ecolalie), ripetizione compulsiva di parole sentite nell’ambiente. L’espressione spontanea può essere caratterizzata da una produzione fluente di parole senza senso (neologismi) e frasi senza alcun significato comunicativo o da una condizione di mutismo interrotto da brevi frammenti verbali o sillabe ripetuti in modo incontrollato e inesauribile (logoclonie). La comprensione orale è gravemente compromessa e la lettura e scrittura non più possibili.

11 Nella demenza mano a mano che il malato perde la capacità di decodificare le parole,
si aggrappa sempre più alla comunicazione non verbale, modalità che viene mantenuta molto più a lungo, per questo è importante che non vi sia contrasto tra le parole e il linguaggio non verbale.

12 LINGUAGGIO NON VERBALE
rappresenta la forma più primitiva di interazione sociale, è la prima forma di comunicazione tra madre e bambino, la si impara nelle prime fasi della vita per mantenersi fino in prossimità della morte. consente l’espressione di emozioni (felicità, rabbia, tristezza, paura, disgusto, vergogna, sorpresa, ecc.) comunica atteggiamenti interpersonali (simpatia, ostilità, attrazione, sottomissione, ecc.) accompagna e sostiene il discorso (dà enfasi, esemplifica, dà importanza, attira l’attenzione) facilita la presentazione di sé.

13 LE COMPONENTI DELLA COMUNICAZIONE NON VERBALE
L’espressione del volto Il volto rappresenta l’area del corpo più espressiva e ricca sul piano comunicativo, chiunque provi un’emozione tende ad esprimerla immediatamente attraverso il viso prima che con qualsiasi altra parte del corpo. Accentuare le espressioni del viso può aiutare il malato a capire quello che diciamo. Sorriso Ogni sorriso sincero è fonte di benessere per chi lo riceve e per chi lo offre, in quanto esso è indicatore di affetti positivi. Cercare di far sorridere il malato e scherzare in modo adeguato è importante in quanto aiuta a distendere le tensioni ed aiuta a deviare l’attenzione dagli errori commessi dal malato.

14 Contatto oculare Il comportamento visivo rappresenta un elemento unico e primario delle relazioni interpersonali, (specchio dell’anima), nell’interazione sociale è costituito da: l’occhiata, lo sguardo, il contatto visivo, l’evitamento dello sguardo. E’ importante ricordare che il malato ha un campo visivo che si va via via restringendo, ha inoltre difficoltà a dirigere e mantenere lo sguardo sulla mira, pertanto è necessario muoversi adagio e porsi di fronte all’altezza dei suoi occhi.

15 I gesti e i movimenti del corpo
Un uso mirato ma espressivo del gesto, che descrive e sottolinea cose, emozioni e concetti, arricchisce la comunicazione, coinvolge l’interesse dell’interlocutore e ne facilita la comprensione. E’ molto importante che chi interagisce con un malato di demenza presti molta attenzione ai movimenti e ai gesti del proprio corpo, facendo anche attenzione però a non eccedere nella gesticolazione in quanto potrebbe distrarlo compromettendo la comprensione del messaggio, o addirittura essere interpretata come una minaccia. Allo stesso tempo è necessario prestare attenzione all’infinità di messaggi che il malato comunica con il proprio corpo, se per esempio quando ci avviciniamo per parlargli egli indietreggia con il busto o con la testa significa che lo abbiamo spaventato perché abbiamo violato la sua zona intima e di conseguenza si crea una tensione.

16 La postura (posizione del corpo)
La postura è la posizione che il corpo assume durante l’interazione, è in larga misura involontaria e può comunicare messaggi che le parole non dicono (una persona felice cammina dritta, una triste si affloscia, una arrabbiata assume una posizione tesa); spesso l’individuo parla assumendo una postura non coerente con le parole per esempio quando esprimiamo all’altro messaggi verbali di simpatia in una posizione di chiusura o isolamento, il nostro interlocutore riceverà un messaggio contraddittorio e dubiterà della nostra sincerità.

17 La distanza La scelta dello spazio tra noi e gli altri ci informa del tipo di relazione che intendiamo stabilire. Nell’interazione con il malato di demenza la vicinanza fisica permette di creare un senso di calore che facilita il rapporto. Se ci poniamo di fronte a una giusta distanza e gli prendiamo una mano, sicuramente gli trasmettiamo un senso di accoglienza. Se invece gli parliamo mantenendo le distanze e non lo sfioriamo nemmeno quasi avessimo paura di “prendere l’Alzheimer”, egli sperimenterà un sentimento di disagio, di disprezzo, di paura e si deprimerà ulteriormente.

18 Il contatto corporeo Questa forma di comunicazione è di fondamentale aiuto quando il linguaggio verbale e la comprensione sono molto compromesse. E’ una modalità particolare di comunicazione che può essere più o meno intima ed è molto influenzata da fattori culturali, sociali e di sensibilità personale, può assumere forme diverse (accarezzare, baciare, stringere, colpire) e veicola significati diversi (amichevoli, intimi, scherzosi, ostili). Va inoltre ricordato che la persona malata necessita spesso del contatto fisico in quanto deve essere visitata, lavata, vestita, è importante non essere bruschi e frettolosi e rispettarne il pudore e la dignità.

19 Volume, tono di voce e ritmo
Nell’interazione verbale il “come si dice” produce effetti al di là del “cosa si dice” per cui la stessa affermazione detta in modi differenti produce effetti diversi. La modulazione della voce, il volume e il tono possono aiutarci a rinforzare le nostre parole. Se si vogliono fare delle affermazioni si userà un tono deciso e omogeneo, se invece si vuole comunicare affetto e calore, si userà un tono calmo e modulato. Con il malato demente è necessario parlare lentamente, usando un tono di voce non troppo alto per non metterlo in agitazione e facendo spesso delle pause per permettergli di intervenire.

20 E’ IMPORTANTE TENER PRESENTE
quando si comunica con il malato, la comunicazione deve avvenire sempre e comunque a tutti i livelli (verbale, paraverbale, non verbale) ma tra questi deve esserci assolutamente coerenza.

21 COME FACILITARE LA COMUNICAZIONE
Considerate il demente come persona e non come individuo mancante: favorire la comunicazione e non parlare al posto della persona Chiamatelo per nome e trattatelo sempre con rispetto e, soprattutto, evitiamo che chiunque gli parli come se fosse un bambino (una recente ricerca americana ha riscontrato che quando il personale si rivolge ai pazienti con un linguaggio infantile, questi presentano un rischio maggiore di assumere comportamenti aggressivi durante le cure)

22 Mettevi di fronte e stabilite un contatto con lo sguardo, guardatelo negli occhi quando lo ascoltate e quando gli parlate (ciò favorisce la lettura delle labbra e l’identificazione della mimica facciale) evitate di parlargli da dove non vi può vedere (il campo visivo è molto ristretto e può avere difficoltà a individuare la sorgente dei suoni).

23 E’ fondamentale mantenere un atteggiamento disteso e calmo (l’eccessiva esuberanza può essere interpretata come aggressività e quindi spaventare o provocare resistenza e agitazione) Evitare possibilmente la presenza di rumori concomitanti allo scopo di favorire l’attenzione e la concentrazione (spesso il malato presenta ipersensibilità acustica e sopporta difficilmente i rumori di fondo; radio, TV, conversazione di altre persone aumentano le difficoltà di comprensione e possono suscitare confusione o irritazione)

24 Il malato ha difficoltà a svolgere due attività contemporaneamente (per problemi di distribuzione di risorse attentive), quindi se sta parlando è bene che non abbia da svolgere altri compiti anche semplici come mangiare, vestirsi, lavarsi. E’ assolutamente da evitare di parlare del malato con altre persone in sua presenza, convinti che non capisca (egli è in grado di percepire il tono della voce e l’espressione, ciò potrebbe umiliarlo o spaventarlo)

25 Come facilitare l’espressione e la comprensione del malato
Per compensare le difficoltà di attenzione e di memoria è bene: usare frasi brevi che prevedano risposte brevi dire o domandare una cosa alla volta, verificando ogni volta che il malato abbia capito non proporgli lunghi elenchi di cose evitare di interromperlo mentre parla (si impedisce la concentrazione)

26 Per venire incontro ai disturbi del linguaggio veri e propri è indicato indirizzarsi a lui con:
un lessico semplice: parole di uso comune e concrete nella lingua che gli è più familiare (dialetto) l’aiuto di oggetti o di gesti legati al tema della conversazione o delle domande (nel tentativo di risvegliare la memoria procedurale) formulare domande dirette che non obbligano il malato a risposte troppo elaborate (ad es., "Come?", "Perché?") ed evitare le metafore

27 Se il malato pone in continuazione le stesse domande o ripete le stesse cose, cercate di replicare con molto tatto senza perdere la pazienza. La ripetitività verbale del malato, oltre che essere un effetto della perdita di memoria, può essere il suo modo di dire che "qualcosa non va" (malessere, ansia, insicurezza, ecc.). Quindi, è bene anche cercare "la vera domanda nelle sue domande" o di individuare le emozioni che si nascondono sotto la frase che il malato ripete senza sosta. E’ consigliato non sottolineare gli errori, né correggerli (non ha la possibilità di ricordare la correzione).

28 Quando non riesce a capire un messaggio, bisogna ripeterglielo rispettando i suoi tempi di decodificazione, o riformularlo magari facendogli vedere come si fa. Pause prolungate nel malato potrebbero segnalare la difficoltà a proseguire il discorso, se non riesce a trovare una parola: lasciate che tenti di spiegare da solo ciò che vuole dire, evitando di suggerirgli subito la parola o appena si trova in difficoltà (potrebbe diventare un’imposizione) se dopo un ragionevole tempo il malato non è riuscito a dire quello che desiderava, tocca all’interlocutore indovinarlo procedendo per eliminazione e chiedendo conferma.

29 Se il malato è confuso (situazione frequente nell’ospedalizzazione)
Non contraddire o deridere ma rassicurare e cercare di comprendere lo stato d’animo Non fategli credere che abbia ragione, non rafforzare il delirio Cercate di distrarre la sua attenzione e di cambiare argomento, altrimenti aumenta lo stato confusionale

30 E’ bene osservare il comportamento non verbale del malato per comprendere il suo malessere o benessere lo sguardo (aggancia lo sguardo o lo sfugge) la mimica del volto (è disteso, sorride, contrae il volto, ha un’espressione spaventata) resistenze, contrazioni muscolari (si ritrae, si irrigidisce, si distende) scariche emozionali (grida, piange, si arrabbia, si agita)

31 TESTO DI CARY SMITH HENDERSON
“Ricordo l’ospedale universitario di – non so dove. Mi sono agitato a tal punto che hanno dovuto legarmi. Dio mio, che orrore! Ero talmente su di giri e agitato che penso di essermi anche fatto male. E’ dura se sei tu stesso a fare quest’esperienza, specialmente se le persone non comunicano con te. Non si davano molta pena di spiegare cosa loro dovevano fare e di farlo con garbo. Insomma mi trattavano solo come un caso clinico. E ricordo quella notte come una delle peggiori in assoluto della mia vita” TESTO DI CARY SMITH HENDERSON

32 CONCLUDENDO Mantenere aperta la comunicazione con il malato, adattata secondo le diverse fasi della malattia, rappresenta un modo per stimolarlo e per evitare o ridurre molti disturbi comportamentali, ma soprattutto contribuisce significativamente a dare una qualità di vita dignitosa al malato e a chi gli sta vicino

33 Grazie per l’attenzione
Dott.ssa Mara AZZALINI

34 ….QUINDI Difficoltà a seguire i dialoghi complessi e tenere a mente il pensiero Difficoltà a trovare la parola giusta Discorsi lasciati a metà o con pezzi importanti mancanti Difficoltà a raccontare gli eventi perché non riesce a metterli in ordine Ripete più volte le stesse cose, non ricordando di averle già dette Difficoltà di comprensione Risposte solo su stimolazione e quindi mutismo.


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