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PubblicatoBibiana Bartolini Modificato 11 anni fa
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Terapia antitrombotica nelle Sindromi Coronariche Acute
Gragnano 16 – 18 dicembre 2010 LA TERAPIA ANTICOAGULANTE NELLE SINDROMI CORONARICHE ACUTE E LE LINEE GUIDA INTERNAZIONALI DEL 2007 Dr.ssa Maddalena Lettino 27/08/2008 Nel 2007 sono state pubblicate le nuove linee guida sul trattamento delle Sindromi Coronariche Acute (SCA) della Società Europea di Cardiologia (ESC) e dell’AHA/ACC, nelle quali sono stati considerati i risultati di tutti i trial clinici pubblicati dal 2002 al 2006 e in particolare, delle novità degli ultimi 2 anni. A questo proposito alcuni degli studi più importanti riguardavano proprio la terapia anticoagulante in fase acuta, essendo comparsi sulla scena della sperimentazione la bivalirudina, per i pazienti sottoposti alla rivascolarizzazione coronarica, e il fondaparinux per tutti i pazienti con SCA indipendentemente dal tipo di approccio invasivo o conservativo. Lo studio OASIS 5 aveva infatti arruolato pazienti con sindrome coronarica acuta a diverso profilo di rischio, randomizzati al trattamento con fondaparinux o enoxaparina, per la valutazione di efficacia dei due farmaci sull’endpoint combinato di morte, infarto e ischemia refrattaria. I risultati della sperimentazione avevano documentato la non inferiorità del fondaparinux rispetto all’eparina a basso peso molecolare sulla prevenzione degli eventi ischemici maggiori a breve termine, con un numero di complicanze emorragiche significativamente inferiori nel braccio fondaparinux e con una riduzione altrettanto significativa di mortalità, sempre da parte di quest’ultimo, a 30 giorni e a sei mesi. Né nelle linee guida americane né in quelle europee la scelta dell’anticoagulante è totalmente svincolata dalla definizione del profilo di rischio del paziente e dalla scelta di una strategia invasiva o conservativa, anche se è proprio sulla combinazione di queste componenti che si è venuta a creare per la prima volta una discrepanza tra ESC ed AHA/ACC. Le linee guida nordamericane definiscono l’alto rischio del paziente sulla base delle caratteristiche cliniche al momento della presentazione dell’evento acuto e della probabilità di avere una coronaropatia severa, intuibile a sua volta da alcune variabili clinico-anamnestiche e dai dati di laboratorio di facile raccolta e contemplati negli score più validati, come quelli proposti dal gruppo TIMI o dal registro GRACE. Mantengono peraltro la distinzione tra un approccio invasivo, destinato ai pazienti a rischio intermedio o elevato, e un approccio conservativo, destinato ai pazienti a basso profilo di rischio, per i quali viene suggerita in prima ipotesi la terapia medica e una verifica funzionale di ischemia inducibile, prima di passare all’angiografia coronarica. Le linee guida europee identificano in modo circostanziato i pazienti che si presentano con una importante instabilità del quadro clinico, indipendentemente dall’avere caratteristiche che li collocherebbero nel rischio intermedio-elevato di coronaropatia. Sono i pazienti con sintomatologia anginosa refrattaria alla terapia o con episodi recidivanti in rapida sequenza nonostante i farmaci, o con alterazioni dinamiche ed evolutive dell’elettrocardiogramma, o infine con aritmie minacciose o scompenso cardiaco. Per questi pazienti individuano un percorso di accesso al Laboratorio di Emodinamica che definiscono “invasivo urgente”, ipotizzando la necessità di procedere ad una eventuale rivascolarizzazione meccanica entro poche ore dalla presentazione. Restano poi anche per gli europei i pazienti a rischio intermedio/elevato, identificabili con gli score di rischio precedentemente citati o anche con il solo movimento della troponina, per i quali è suggerita una strategia precocemente invasiva, con rivascolarizzazione entro 72 ore, e i pazienti a rischio basso, che meritano un approccio conservativo. La scelta della terapia anticoagulante proposta dalle due linee guida è in parte influenzata da una diversa interpretazione degli studi clinici e in parte dalla diversa modalità, urgente, precocemente invasiva o conservativa, di affrontare la patologia ischemica del paziente. Le differenze maggiori riguardano sostanzialmente la classe di raccomandazione relativa alle eparine (non frazionata o UFH ed enoxaparina) e al fondaparinux. Secondo le linee guida americane le eparine e, in particolare, enoxaparina, e il fondaparinux hanno la stessa indicazione sia nei pazienti candidati ad una strategia invasiva che in quelli candidati ad un approccio conservativo, variando il livello di raccomandazione che è A per le eparine e B per il fondaparinux. Nei pazienti candidati ad una strategia conservativa il cui profilo di rischio emorragico è alto, il fondaparinux è considerato preferibile. Le evidenze della fine degli anni ‘90 nelle SCA avevano documentato la superiorità di enoxaparina rispetto all’eparina non frazionata, in una fase in cui il numero delle procedure interventistiche era ancora limitato, con esecuzione della PCI in tempi largamente superiori alle 72 ore e con uno scarso impiego della doppia antiaggregazione. Lo studio SYNERGY, che aveva successivamente arruolato oltre pazienti con SCA ad alto rischio, randomizzati a UFH versus enoxaparina, aveva peraltro documentato una sostanziale pari efficacia delle due terapie sugli eventi ischemici, al prezzo di un significativo incremento delle complicanze emorragiche con enoxaparina. I pazienti inclusi nello studio, considerato l’elevato profilo di rischio, erano candidati ad eseguire una coronarografia entro 48 ore dall’arruolamento, avevano ricevuto anche un trattamento con anti GPIIb IIIa in oltre la metà dei casi e l’associazione di ASA+ clopidogrel nel 62-63% di ciascuno dei due bracci di randomizzazione. Infine, la metanalisi di Petersen aveva riconsiderato complessivamente i trial dei primi confronti e quelli con enoxaparina e procedure invasive, SYNERGY compreso, constatando comunque che l’enoxaparina era sostanzialmente migliore dell’eparina non frazionata, con la possibilità di limitare i sanguinamenti a patto di mantenere lo stesso anticoagulante in ciascun paziente dall’inizio alla fine dell’ospedalizzazione, senza passare da uno all’altro, per esempio durante PCI E’ proprio sulla diversa importanza assegnata a studi come il SYNERGY che nasce probabilmente in parte la diversa interpretazione del livello di raccomandazione dell’anticoagulante nelle SCA tra Società Europea di Cardiologia e AHA/ACC. Gli autori americani valorizzano soprattutto i vantaggi dell’enoxaparina e delle eparine in generale, per recuperare il valore di un risparmio delle complicanze emorragiche e quindi dell’impiego preferenziale di fondaparinux nei pazienti per i quali non viene pianificata nessuna procedura interventistica, ma il rischio individuale di sanguinamento è elevato. Gli Europei, al contrario, sembrano valorizzare molto più il peso delle emorragie, dando grande importanza al rilievo che nello studio OASIS 5 il fondaparinux, non solo ha dimostrato di essere tanto efficace quanto l’enoxaparina in tutta la popolazione arruolata, ma ha determinato a 30 giorni una riduzione degli eventi ischemici e della mortalità statisticamente significativa e in qualche modo associata alla riduzione dei sanguinamenti. Le linee guida europee precisano che la scelta dell’anticoagulante deve essere guidata da una valutazione individuale sia del rischio di emorragia che di quello ischemico e assegnano al fondaparinux una classe di raccomandazione di tipo I con livello di evidenza A per i pazienti che non rientrano nella strategia invasiva urgente. Sulla scorta soprattutto dei risultati di studi come il SYNERGY e come l’OASIS 5 stesso suggeriscono una classe di raccomandazione IIa per l’enoxaparina, con un livello di evidenza B. In tutti i casi viene segnalata l’ipotesi di una limitata protezione anticoagulante da parte del fondaparinux durante PCI, a causa della riportata maggior frequenza della trombosi da catetere verificatasi negli studi OASIS con questo farmaco rispetto all’enoxaparina o all’eparina non frazionata. In modo non del tutto scientifico ciò ha portato in sede registrativa ad autorizzare l’impiego di una dose piena di eparina non frazionata durante angioplastica nei pazienti in trattamento con fondaparinux, con la motivazione che quei pochi che l’avevano fatta nello studio clinico non avevano comunque condizionato un incremento di eventi emorragici nell’intera popolazione. In un certo senso entrambe le linee guida del 2007 hanno tenuto conto del fenomeno “trombosi da catetere” associata al fondaparinux: quelle americane lo hanno fatto riconoscendo la valenza del fondaparinux nel trattamento dei pazienti candidati a strategia invasiva ma proponendolo con un livello di evidenza inferiore a quello delle eparine, e quelle europee, sconsigliandone la somministrazione nei pazienti con un percorso terapeutico di tipo invasivo urgente. Nel primo caso l’importanza della trombosi da catetere è stata in qualche modo ridimensionata, visto che non vengono suggerite cautele nei pazienti che abbiano la necessità di fare una coronarografia immediata e non si entra neanche dettagliatamente nei particolari dell’associazione peri-procedurale con UFH; nel secondo caso la trombosi da catetere sembra avere un peso maggiore, ma si suggerisce comunque di utilizzare “tranquillamente” una dose piena di UFH in corso di PCI, senza vere evidenze randomizzate in questo senso e con pochi dati assolutamente insufficienti sulla sicurezza della associazione In conclusione. La terapia anticoagulante resta un pilastro della terapia delle sindromi coronariche acute, ulteriormente validata dagli ultimi studi clinici che hanno confrontato i nuovi con i vecchi farmaci. Alcuni punti deboli dei trial, come una incompleta registrazione di fenomeni quali la trombosi da catetere, o una non pre-definita valutazione dell’efficacia e dei potenziali rischi di un farmaco in diversi sottogruppi di pazienti secondo la strategia interventistica selezionata, ha generato i presupposti per una disomogenea assegnazione delle classi di raccomandazione nelle diverse linee guida. Studi clinici prospettici volti a chiarire tali aspetti consentiranno probabilmente in un prossimo futuro un migliore allineamento di vedute tra diverse società scientifiche, nell’ottica di un’unica omogeneità di trattamento della popolazione affetta da cardiopatia ischemica acuta dott. Nicola di Martino Responsabile UTIC P.O. S. Leonardo
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La trombosi nella cardiopatia ischemica
Sindrome coronarica acuta con ST sopraslivellato Angina instabile IMA non Q Sindrome coronarica acuta senza ST sopraslivellato Complicanze dell’aterosclerosi Trombosi di STENT
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Il rischio trombotico nella cardiopatia ischemica progressione dell’aterosclerosi
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Il rischio trombotico nella cardiopatia ischemica Complicanza di placca
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Sindromi coronariche acute L’etiopatogenesi
PLACCA CHE DIVENTA INSTABILE PER Erosione dell’endotelio Lacerazione di placca Infiammazione di placca Formazione del trombo Trombo murale/occlusivo Equilibrio tra fattori pro-trombotici e fibrinolitici Rischio elevato di occlusione completa per 6-12 settimane
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Sindrome coronarica acuta
Il substrato anatomo-patologico NSTEMI
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Sindrome coronarica acuta Il substrato anatomo-patologico STEMI
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ANGINA INSTABILE NSTEMI
Calma e sangue freddo!!!
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Angina instabile – NSTEMI Stratificazione del rischio
ALTO RISCHIO Persistenza di dolore – troponina positiva – instabilità emodinamica – Diabete - ECG BASSO RISCHIO Assenza di dolore – stabilità emodinamica – troponina negativa - ECG Troponina a 6 e 12 h Inibitori GP IIb/IIIa 2 volte negativa Anche per le sindromi coronariche acute senza sopraslivellamento del tratto ST è di fondamentale importanza una accurata stratificazione prognostica che consenta di scegliere il percorso diagnostico e terapeutico più appropriato per il nostro paziente. La flow-chart indicata in diapositiva indica la terapia e il comportamento suggerito dalle linee-guida internazionali per i pazienti con Sindrome Coronarica Acuta con sottoslivellamento di ST Positiva Test da sforzo - Coronarografia Coronarografia
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Angina instabile - NSTEMI Livelli di troponina e mortalità
7.5 8 6.0 6 3.7 Mortalità a 42 giorni (%di pazienti) 3.4 4 1.7 2 1.0 0 to <0.4 0.4 to <1.0 1.0 to <2.0 2.0 to <5.0 5.0 to <9.0 >9.0 Valori di troponina Antman N Engl J Med. 335:1342, 1996
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Dosaggio Troponina Falsi positivi
Scompenso cardiaco/edema polmonare acuto Dissezione aortica, valvulopatie aortiche, cardiomiopatia ipertrofica Miocardite/Pericardite acuta Embolia polmonare/cuore polmonare cronico con ipertensione polmonare Ipotiroidismo Crisi ipertensiva/ipertrofia in cardiopatia ipertensiva Ipotensione specie se associata ad aritmie cardiache (tachi/bradiaritmie) IRC acuta o cronica Patologie ischemiche cerebrali Malattie infiltrative (amiloidosi, emocromatosi, sarcoidosi, sclerodermia) Ustioni > 30% della superficie corporea Rabdomiolisi Contusione miocardica, ablazione, cardioversione elettrica, pacing, chirurgia, biopsia miocardica Tossicità da chemioterapici Sepsi Rigetto in trapianto cardiaco ESC Guidelines NSTEMI 2007
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Angina instabile - NSTEMI L’elettrocardiogramma
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Angina instabile – NSTEMI L’elettrocardiogramma
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Angina instabile – NSTEMI Trattamento farmacologico: anticoagulanti
AT III Eparine Fondaparinux AT III Informazioni sui farmaci - 11/13/2010 Bivalirudina Angiox Nycomed Italia 10 flaconcini polvere liofilizzata 250 mg per uso endovenoso € 4.200,00 (prezzo ex-factory, IVA esclusa) Indicazioni registrate: anticoagulante in pazienti sottoposti ad intervento coronarico percutaneo (PCI). Proprietà farmacologiche La bivalirudina è un peptide sintetico di 20 aminoacidi derivato dell'irudina, proteina anticoagulante della sanguisuga, che inibisce in modo specifico la trombina, legandosi reversibilmente al sito catalitico dell'enzima. L'inibizione della trombina impedisce la conversione del fibrinogeno in fibrina e l'aggregazione piastrinica, due eventi fondamentali per la formazione e la stabilizzazione del coagulo. Studi in vitro indicano che l'inibizione avviene sia a carico della trombina libera solubile che di quella legata al coagulo1. Dopo somministrazione endovenosa, la bivalirudina non si lega alle proteine plasmatiche e viene escreta con le urine; la sua emivita di eliminazione è di circa 25 minuti e raddoppia in pazienti con insufficienza renale1. L'attività anticoagulante del farmaco è dipendente dalla concentrazione e dalla dose. Gli effetti emodinamici possono essere monitorati utilizzando indici di anticoagulazione come il tempo di coagulazione attivato (ACT). Efficacia clinica Verso eparina In un primo studio randomizzato, in doppio cieco, condotto nel 1995 su pazienti con angina instabile o postinfartuale in trattamento con aspirina ( mg/die), candidati ad un intervento di angioplastica, la bivalirudina è stata confrontata con l'eparina non frazionata ad alte dosi2. L'incidenza della principale misura di esito, un criterio composito formato da morte, infarto miocardico, improvvisa occlusione vascolare o necessità di rivascolarizzazione urgente, non è stata diversa nei due gruppi: 11,4% con bivalirudina e 12,2% con eparina. Nel sottogruppo predefinito di 704 pazienti con angina postinfartuale, il trattamento con bivalirudina ha comportato una minore frequenza cumulativa dell'end point primario (9,1% vs. 14,2%), ma la differenza non è più risultata significativa dopo 6 mesi (20,5% vs. 25,1%). I deludenti risultati dello studio, di fatto, hanno bloccato lo sviluppo del farmaco sino al momento in cui una rianalisi dei dati, effettuata diversi anni più tardi, evidenziando un vantaggio a favore della bivalirudina, riapriva "i giochi"3. In uno studio, in aperto, pazienti sono stati randomizzati a bivalirudina (0,75 mg/kg in bolo seguiti da 1,75 mg/kg/ora durante l'angioplastica) o a eparina (70 U/kg in bolo)4. Tutti i pazienti assumevano aspirina; veniva raccomandato l'uso di clopidogrel, mentre la somministrazione di un inibitore della glicoproteina IIb/IIIa era lasciata alla discrezione dei clinici. Nell'end point composito (morte, infarto miocardico e rivascolarizzazione) non sono emerse differenze tra i due gruppi dopo 48 ore dall'intervento di PCI (5,5% vs. 6,9%). Due trial randomizzati, in aperto, hanno valutato l'efficacia e la sicurezza della bivalirudina in pazienti sottoposti a bypass cardiopolmonare o a rivascolarizzazione coronarica5,6. Nel primo, condotto su 150 pazienti, non sono emerse differenze tra bivalirudina ed eparina (più protamina) nella percentuale di procedure esenti da complicazioni ischemiche (misura di esito principale) a 7 giorni (94,9% vs. 96,2%), a 30 giorni (94,9% vs. 94,2%) e a 3 mesi (94,8% vs. 92,2%)5. Nel secondo studio (n=157), dopo 30 giorni, le percentuali di successo, definite come nello studio precedente, interventi non gravati da morte, infarto, ictus e rivascolarizzazione, sono state identiche tra bivalirudina ed eparina (93% per entrambi i farmaci)6. Verso eparina più inibitore glicoproteina IIb/IIIa Lo studio pilota CACHET ha randomizzato in aperto, in 3 fasi sequenziali, 268 pazienti a bivalirudina (con o senza abciximab) o a eparina a basse dosi più abciximab7. Dopo 7 giorni dall'intervento di PCI, non sono emerse differenze significative nell'incidenza della principale misura di esito (incidenza di morte, infarto miocardico, rivascolarizzazione e sanguinamento maggiore). Nello studio randomizzato, in doppio cieco, REPLACE-2, realizzato su pazienti, la bivalirudina (0,75 mg/kg in bolo, seguiti da 1,75 mg/kg/ora durante le procedure di PCI) è stata confrontata con eparina (65 U/kg) più abciximab o eptifibatide8. Tutti i pazienti assumevano aspirina (dose non precisata) e, nell'85% dei casi, clopidogrel (300 mg prima dell'angioplastica seguiti da 75 mg/die per 30 giorni). L'efficacia veniva valutata sulla base di un criterio composito rappresentato da morte, infarto miocardico, rivascolarizzazione urgente ed emorragie maggiori. Dopo 30 giorni dall'intervento di PCI, la bivalirudina si è dimostrata "non inferiore" all'eparina nell'end point primario (9,2% vs. 10%). L'incidenza di morte è stata 0,2% contro 0,4% con eparina a 30 giorni e 1,4% contro 1% dopo 6 mesi9, infarto miocardico 7% contro 6,2% con eparina a 30 giorni e 7,4% contro 8,2% dopo 6 mesi9, rivascolarizzazione 1,2% contro 1,4% a 30 giorni e 12,1% contro 11,4% dopo 6 mesi9. Nessuna differenza è risultata significativa. Un recente trial randomizzato, condotto su 857 pazienti con sindrome coronarica acuta senza innalzamento del tratto ST, ha confrontato la bivalirudina con l'eptifibatide associata a eparina non frazionata o a enoxaparina a basse dosi10. Tra i pazienti valutabili angiograficamente (n=756), la bivalirudina si è dimostrata superiore nel migliorare la riserva di flusso coronarico dopo angioplastica, mentre l'eptifibatide ha migliorato la perfusione miocardica e ha ridotto la durata dell'ischemia post-PCI in misura maggiore; non sono emerse differenze nella incidenza di eventi ischemici e dei sanguinamenti maggiori. Effetti indesiderati Il rischio principale di un trattamento anticoagulante è l'emorragia grave. Nel primo studio di confronto con l'eparina non frazionata, la percentuale di sanguinamenti maggiori è stata inferiore con bivalirudina (3,8% contro 9,8% con eparina)2. Una incidenza significativamente più bassa di emorragie gravi è stata rilevata anche nello studio di maggiori dimensioni, il REPLACE-2: 2,4% vs. 4,1% con eparina associata ad un inibitore glicoproteina IIb/IIIa8. L'altro effetto indesiderato più importante osservato nel REPLACE-2 è stata la trombocitopenia che ha interessato lo 0,7% dei pazienti trattati con bivalirudina (vs. 1,7% con eparina)8. Nei due studi realizzati in pazienti sottoposti a bypass cardiopolmonare e coronarico, non sono emerse differenze con l'eparina nella quantità totale di sangue perso, nella incidenza di emorragie richiedenti un secondo intervento, nella richiesta di emotrasfusioni5,6. Secondo l'Agenzia Europea per la valutazione dei farmaci (EMEA), i dati sull'impiego della bivalirudina in pazienti con trombocitopenia (HIT) o trombocitopenia con sindrome trombotica (HITTS) indotte da eparina sono ancora pochi11. In uno studio in aperto, 52 pazienti con HIT o HITTS, candidati ad un intervento di angioplastica, sono stati trattati con bivalirudina (27 pazienti con 1 mg/kg in bolo seguiti da 2,5 mg/kg/ora per 4 ore; 25 con 0,75 mg/kg in bolo seguiti da 1,75 mg/kg/ora)12. Un solo sanguinamento maggiore (end point principale) si è verificato con bivalirudina ad alta dose, mentre non si sono registrati casi di trombocitopenia. Avvertenze In caso di sovradosaggio o di emorragia grave non esiste un antidoto; la bivalirudina è emodializzabile (80%). Dosaggio Un bolo endovenoso di 0,75 mg/kg peso corporeo, seguito immediatamente da una infusione endovenosa di 1,75 mg/kg peso corporeo/ora per la durata della procedura. L'infusione può essere continuata fino a 4 ore dopo la PCI, come da esigenze cliniche. Costi La somministrazione di bivalirudina (0,75 mg/kg in bolo e.v., seguiti da 1,75 mg/kg/ora) in un paziente di 70 kg sottoposto ad una procedura di PCI della durata di un'ora ha un costo di 420 € (1 flacone), il doppio rispetto a eparina (65 U/kg prima della PCI) più eptifibatide (2 boli e.v. da 180 mcg/kg, seguiti da 2 mcg/kg/minuto per 18 ore, pari a 3 flaconi da 100 ml) (195 €) e la metà circa rispetto a eparina (65 U/kg) più abciximab (250 mcg/kg in bolo e.v. seguiti da 0,125 mcg/kg/minuto per 12 ore, pari a 3 flaconi (771 €). I dosaggi sono quelli utilizzati nello studio REPLACE-2. La bivalirudina è un anticoagulante, inibitore diretto della trombina. Gli studi disponibili indicano che nei pazienti sottoposti ad intervento di angioplastica, la bivalirudina non possiede un profilo beneficio/rischio migliore rispetto all'associazione tra eparina ed eptifibatide, ma potrebbe utilmente sostituire l'eparina nei pazienti affetti da trombocitopenia e trombocitopenia e sindrome trombotica indotte da eparina; i dati sono, però, ancora pochi. In caso di emorragia grave non esiste un antidoto specifico. Bibliografia 1. Angiox. Riassunto delle caratteristiche del prodotto. 2. Bittl JA et al. Treatment with bivalirudin (Hirulog) as compared with heparin during coronary angioplasty for unstable or postinfarction angina. N Engl J Med 1995; 333: Bittl JA et al. Bivalirudin versus heparin during coronary angioplasty for unstable or postinfarction angina: final report reanalysis of the Bivalirudin Angioplasty Study. Am Heart J 2001; 142: Lincoff AM et al. Comparison of bivalirudin versus heparin during percutaneous coronary intervention (the Randomized Evaluation of PCI Linking Angiomax to Reduce Clinical Events [REPLACE]-1 trial). Am J Cardiol 2004; 93: Dyke CM et al. A comparison of bivalirudin to heparin with protamine reversal in patients undergoing cardiac surgery with cardiopulmonary bypass: The EVOLUTION-ON study. J Thorac Cardiovasc Surg 2006; 131: Smedira NG et al. Anticoagulation with bivalirudin for off-pump coronary artery bypass grafting: the results of the EVOLUTION-OFF study. J Thorac Cardiovasc Surg 2006; 131: Lincoff AM et al. Bivalirudin with planned or provisional abciximab versus low-dose heparin and abciximab during percutaneous coronary revascolarization: results of the Comparison of Abciximab Complications with Hirulog for Ischemic Events Trial (CACHET). Am Heart J 2002; 143: Lincoff AM et al. Bivalirudin and provisional glycoprotein IIb/IIIa blockade compared with heparin and planned glycoprotein IIb/IIIa blockade during percutaneous coronary intervention: REPLACE-2 randomized trial. JAMA 2003; 289: Lincoff AM et al. Long-term efficacy of bivalirudin and provisional glycoprotein IIb/IIIa blockade vs heparin and planned glycoprotein IIb/IIIa blockade during percutaneous coronary revascularization: REPLACE-2 randomized trial. JAMA 2004; 292: Gibson CM et al. A randomized trial to evaluate the relative protection against post-percutaneous coronary intervention microvascular dysfunction, ischemia, and inflammation among antiplatelet and antithrombotic agents: the PROTECT-TIMI-30 trial. Am J Coll Cardiol 2006; 47: EMEA. European Public Assessment Report (EPAR). Angiox-Scientific Discussion 2005 (32 pages) Mahaffey KW et al. The anticoagulant therapy with bivalirudin to assist in the performance of percutaneous coronary intervention in patients with heparin-induced thrombocytopenia (ATBAT) study: main results. J Invasive Cardiol 2003; 15: Data di redazione 06/2006 06/2006 Bivalirudina
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Angina instabile – NSTEMI Eparina non frazionata
Peso molecolare 2000 – Da Si lega con AT III e inattiva il fattore Xa Inattiva il fattore IIa Infusione venosa continua PTT target 50 – 75 (1.5 – 2.5 il valore di riferimento) 5000 UI in bolo/80 Kg UI/h con aggiustamenti Possibile effetto rebound alla sospensione Problemi con paziente mobilizzato AT III
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Angina instabile/NSTEMI Eparina a basso peso molecolare
Peso molecolare 2000 – Da Si lega con AT III e inattiva il fattore Xa Minore inattivazione di IIa Somministrazione sottocutanea Minore legame alle proteine plasmatiche Maggiore inibizione della aggregazione piastrinica Minor rischio di trombocitopenia indotta da eparina per < interazione FP4 Non richiede controllo PTT Eliminazione renale 1 mg/Kg 2 volte al giorno (Enoxaparina) AT III
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Angina instabile/NSTEMI
Fondaparinux inibitore f. Xa Analogo sintetico della catena pentasaccaridica dell’eparina Si lega solo all’AT III e inibisce il fattore Xa Previene in maniera dose dipendente la formazione di trombina senza inattivarla Iniezione sottocutanea Biodisponibilità del 100% Unica somministrazione giornaliera Eliminazione renale Non induce trombocitopenia Non influenza il PTT 2,5 mg/die miglior profilo efficacia/sicurezza AT III
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Angina instabile – NSTEMI Bivalirudina
Bivalirudina si lega direttamente alla Trombina (Fattore IIa) e inibisce fibrinogeno fibrina indotta da trombina Non lega alle proteine plasmatiche Prolunga PTT Bivalirudina + GP IIb - IIIa non inferiorità rispetto a ENF + GP IIb - IIIa e minori complicanze emorragiche Bivalirudina raccomandata quale farmaco anticoagulante alternativo per la PCI d’urgenza ed elettiva Bivalirudina è stata utilizzata per il trattamento della HIT complicata da eventi trombotici
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Angina instabile – NSTEMI Raccomandazioni terapia anticoagulante
Raccomandata in tutti i pazienti in aggiunta a quella antipiastrinica (I-A) Il tipo di terapia deve essere stabilito in base al rischio di eventi ischemici ed emorragici (I-B) L’uso di ENF, EBPM, Fondaparinux e Bivalirudina dipende da strategia invasiva di urgenza, invasiva precoce, o conservativa (I-B) ESC Guidelines NSTEMI 2007
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Angina instabile – NSTEMI Raccomandazioni terapia anticoagulante
Strategia invasiva di urgenza Strategia di non urgenza in attesa di decisione ENF (I C) Enoxaparina (IIa – B) Bivalirudina (I-B) Fondaparinux per miglior profilo efficacia/sicurezza (I-A) Enoxaparina solo in caso di rischio emorragico basso (IIa – B) Durante PCI deve essere proseguita terapia anticoagulante iniziale mentre nel caso del Fondaparinux deve essere aggiunta ENF (60 – 100 U.I /Kg (IIa-C) ESC Guidelines NSTEMI 2007
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Inibitori della Gp IIb/IIIa
Angina instabile – NSTEMI Trattamento farmacologico – Gli antiaggreganti Clopidogrel Prasuguel Ticlopidina Aspirina Ciclossigenasi ADP Inibitori della Gp IIb/IIIa GP IIb/IIIa (fibrinogeno)
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Angina instabile – NSTEMI
ASA + CLOPIDOGREL 0.14 ASA (75-325mg) (n=6.303) 0.12 0.10 20% Riduzione del Rischio Relativo p=0,00009 0.08 Tasso cumulato di rischio Clopidogrel + ASA* (n=6.259) 0.06 I benefici comparivano nel giro di ore e diventavano più manifesti nel giro dei 12 mesi 0.04 0.02 0.00 3 3 3 6 6 6 6 9 9 9 9 9 12 12 12 12 12 12 Mesi di follow up * In aggiunta ad altre terapie standard The CURE Trial Investigators. N Engl J Med. 2001;345: 22
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Angina instabile – NSTEMI Raccomandazioni terapia antiaggregante
ASA in assenza di controindicazioni è raccomandata in tutti I pazienti con SCA/NSTE ad una prima dose di carico di 160/325 mg (I-A), seguita da una dose di mantenimento di mg (I-A). Per tutti i pazienti è raccomandata immediatamente una dose di carico di 300mg di clopidogrel, seguita da 75 mg/die (I-A). Nei pazienti candidati a procedura invasiva (PTCA) può essere utilizzata una dose di carico di 600 mg di clopidogrel per ottenere una inibizione più rapida della funzione piastrinica (IIa-B). In pazienti a medio-alto rischio soprattutto se diabetici, gli anti GP IIb-IIIa (eptafibatide e tirofiban)sono raccomandati come trattamento precoce in aggiunta alla terapia orale con ASA e clopidogrel (IIa-A) Gli inibitori della GP IIb/IIIa devono essere associati ad un anticoagulante (IA) La Bivalirudina può essere impiegata in sostituzione dell’associazione inibitori GP IIb/IIIa + ENF/EBM (IIa-B) La scelta dell’associazione deve avvenire tenendo conto del rischio emorragico (I-B) ESC Guidelines NSTEMI 2007
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Angina instabile – NSTEMI Raccomandazioni per Clopidogrel
PPI inibiscono l’isoenzima 2C19 del CYP 450 e non dovrebbero essere usati in associazione a Clopidogrel. In alternativa a PPI come gastroprotettore può essere somministrata Ranitidina. I FANS e gli inibitori selettivi della COX-2 non devono essere somministrati in associazione ad ASA e Clopidogrel (III C) Clopidogrel può essere associato a qualsiasi statina *2009 Focused update: ACC/AHA Guidelines STEMI
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INFARTO MIOCARDICO CON SOVRASLIVELLAMENTO DI ST (STEMI)
E’ questione di tempo: fare presto le cose giuste!!!
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Infarto miocardico acuto (STEMI) Il substrato anatomo-patologico
Rottura – fissurazione – erosione della placca Infiammazione – infezione Trombosi Aggregazione piastrinica Emostasi secondaria Vasocostrizione coronarica Trombo occludente: piastrine, fibrina, eritrociti, leucociti.
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Infarto miocardico STE
Obiettivi e strategia operativa Aumentare il numero di pazienti con IMA che arrivano vivi in ospedale Arrivare il più precocemente possibile ad una adeguata terapia di riperfusione, tenendo conto che sia la mortalità che la quantità di tessuto miocardico che può venire salvato sono direttamente proporzionali ai tempi di intervento Per i pazienti che non muoiono nei primissimi minuti le probabilità di sopravvivenza sono strettamente legate alla precocità della riperfusione. Il Documento di Consenso dell’AMCO-SIC del 2002 auspica innanzitutto che sia sempre maggiore il numero di pazienti che arrivano vivi in ospedale e che a questi pazienti sia somministrata il più precocemente possibile una adeguata terapia riperfusiva. Tavazzi L, Chiariello M, Scherillo M et al. Federazione Italiana di Cardiologia (ANMCO/SIC). Documento di Consenso. Infarto miocardico acuto con ST elevato persistente: verso un appropriato percorso diagnostico-terapeutico nella comunità. It Heart J Suppl 2002; 3: Documento di Consenso ANMCO-SIC, 2002 La terapia riperfusiva è indicata in tutti i pazienti con dolore toracico < 12 h e con persistenza di ST SOPRA o BBS di recente insorgenza. La riperfusione andrebbe considerata anche nei pazienti con dolore insorto > 12 ore ma con ischemia persistente in evoluzione ESC Guidelines 2008 27
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Il substrato anatomo-patologico STEMI
L’Evento acuto Il substrato anatomo-patologico STEMI
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Infarto miocardico acuto (STEMI) L’elettrocardiogramma
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Infarto miocardico acuto (STEMI) L’elettrocardiogramma
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STEMI Strategie di riperfusione
H - PCI exper Ambulanza No H PCI exper Tempo 2 ore PCI Primaria PCI < 2h possibile PCI < 2 h non possibile Trombolisi pre-ospedaliera 12 ore PCI Rescue Insuccesso Successo 24 ore Coronarografia PCM ESC Guidelines STEMI 2008
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STEMI Terapia riperfusiva: Obiettivo primario
Riperfusione in tutti i pazienti con sintomi da < 12 ore e ST sopra persistente o BBS di nuova insorgenza IA IIa C Riperfusione se persiste ischemia e ST sopraslivellato anche se paziente riferisce inizio sintomi > 12 ore ESC Guidelines STEMI 2008
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STEMI Terapia riperfusiva – PCI PRIMARIA
La PCI primaria è il trattamento elettivo se effettuato da un team esperto appena possibile dal P.C.M. (IA) Il tempo dal P.C.M. al gonfiaggio del pallone dovrebbe essere < 2 ore e < 90’ nei pazienti che si presentano precocemente con infarto di grandi dimensioni (IB) Nei pazienti con shock e in quelli con controindicazioni alla terapia fibrinolitica indipendentemente dal tempo trascorso (IB) La definizione di team esperto non è chiaramente espressa ma il riferimento bibliografico rimanda ad un lavoro che ha usato 33 PTCA primarie/anno come limite accettabile per un Centro per essere definito “ad alto volume” ESC Guidelines STEMI 2008
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STEMI PCI PRIMARIA – Terapia antipiastrinica
ASA (I B) Clopidogrel carico 300/600 mg (I C) / Prasuguel 60 mg (I B)* Abciximab (IIa A) Tirofiban (IIb B) Eptafibatide (IIb C) FANS e anticox2 inibitori (III B) ESC Guidelines STEMI 2008 *2009 Focused update: ACC/AHA Guidelines STEMI
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STEMI PCI PRIMARIA - Terapia anticoagulante
Eparina sodica (I C) Bivalirudina (IIa B) (I B)* Fondaparinux (III B) ESC Guidelines STEMI 2008 *2009 Focused update: ACC/AHA Guidelines STEMI
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STEMI Terapia riperfusiva - TROMBOLISI
In assenza di controindicazioni e quando la PCI primaria non può essere eseguita entro i limiti di tempo raccomandati (I A) La trombolisi dovrebbe essere pre-ospedaliera iniziata in ambulanza (IIa A) ESC Guidelines STEMI 2008
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STEMI TROMBOLISI - Terapia antipiastrinica
Aspirina carico +mantenimento (I B) Clopidogrel nei pz < 75 a. carico + mantenimento (I B) Clopidogrel nei pz > 75 a. solo mantenimento (IIa B) ESC Guidelines STEMI 2008
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STEMI TROMBOLISI - Terapia anticoagulante
Enoxaparina bolo i.v seguito dopo 15’ da somministrazione s.c. (I A) – Nei pz > 75 a. non somministrare bolo e usare dosi ridotte Eparina sodica se non disponibile Enoxaparina (I A) Fondaparinux bolo i.v. seguito dopo 24 ore da somministrazione s.c. (I B) ESC Guidelines STEMI 2008
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STEMI Nessun trattamento riperfusivo
Aspirina (I A) Clopidogrel (I B) Fondaparinux bolo i.v. seguito dopo 24 ore da somministrazione s.c. (I B) Se Fondaparinux non disponibile: Enoxaparina bolo i.v seguito dopo 15’ da somministrazione s.c.– Nei pz > 75 a. non somministrare bolo e usare dosi ridotte (I B) Eparina sodica (I B) ESC Guidelines STEMI 2008
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Infarto miocardico acuto (STEMI) Quale strategia nella nostra realtà?
Per chi intraprende cose belle è bello soffrire, qualsiasi cosa gli tocchi. (Fedro)
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Le Linee Guida ESC Il mondo ideale dei Trials
PTCA primaria nei pazienti con STEMI purché eseguita entro 90 minuti dal primo contatto medico, da un team esperto Le linee-guida della Società Europea di Cardiologia esprimono preferenza, nei casi di infarto del miocardio con ST sopraelevato, la PTCA primaria, purché eseguita entro 90 minuti dal “First Medical Contact” (FMC). Questo concetto rimane effettivamente un pochino fumoso, e molti gruppi sostengono, non senza qualche ragione, che in realtà sarebbe più giusto fare partire il cronometro al momento in cui la diagnosi viene fatta, cioè dal momento dell’ECG. In realtà il problema della definizione del FMC resta tutto sommato abbastanza agevole per i pazienti che si presentano da soli in Ospedale, diventando invece nebbiosa quando invece è il 118 ad uscire a soccorrere il paziente. Circulation ospita un interessante resoconto di una Contea del North Carolina, che ci permette di fare qualche riflessione sul problema dei tempi e delle performance delle nostre Reti. Gli obiettivi dello studio erano sostanzialmente due: Descrivere gli intervalli di tempo che vanno dal FMC alla riperfusione e correlarli con la probabilità di avere una PCI in 90 minuti Derivare dei “benchmark” di riferimento e valutare come il rispetto di tali valori si associasse alla probabilità di ottenere una PCI in 90 minuti MATERIALI I tempi valutati sono stati cinque: . Dalla chiamata al 118 all’arrivo dell’ambulanza sulla scena (Response Time) I. Dall’arrivo sulla scena all’esecuzione dell’ECG (ECG Time) II. Dall’arrivo sulla scena alla partenza (Scene Time) III. Dall’ECG alla notifica allo STEMI Team (Notification Time) IV. Dalla partenza all’arrivo sul tavolo operatorio (Table Time) PROCEDIMENTO lo studio ha incluso 165 pazienti soccorsi a domicilio e trasportati in Ospedale per una PCI primaria per uno STEMI. Il tempo mediano alla PCI in questi pazienti è stato di 82.9 minuti, e il 90% di questi pazienti è stato trattato entro 118 minuti. In totale il 66% dei pazienti è stato sottoposto a PCI entro 90 minuti e il 33% è stato trattato in ritardo. Come si vede un sistema estremamente efficiente, francamente difficilmente paragonabile a quello che succede nel mondo reale. Il lavoro descrive il funzionamento quasi perfetto di una rete. Fossero tutte così sarebbe veramente possibile fare la PCI a quasi tutti i pazienti. Purtroppo non è così e quindi, mentre dobbiamo comunque fare ogni sforzo per migliorare l’efficienza delle nostre reti, non dobbiamo però dare per scontato che questi risultati siano immediatamente ottenibili e trasferibili nelle nostre realtà. Un merito questo studio però lo ha, ed è quello di aver fatto partire il cronometro al momento della chiamata al 118 e non al momento della diagnosi. Questo momento, secondo loro, è il vero “First Medical Contact”. Entro 90’ dalla telefonata bisognerebbe eseguire la PCI. Tale scelta viene giudicata da molti (in particolare dagli emodinamisti) non corretta perchè, dicono, non si può scegliere quale terapia riperfusiva fare finché non è stata fatta la diagnosi. In realtà il tempo di risposta, pur essendo tempo pre-diagnostico, fa comunque parte del tempo di ischemia e finchè i nostri sistemi non saranno veramente efficienti (arrivando rapidamente ed altrettanto rapidamente eseguendo l’ECG) questi saranno minuti che noi regaliamo all’ischemia semplicemente per delle nostre mancanze. Per farci perdonare non dovremmo aggiungere ritardo a ritardo, a meno che non ci fosse una assoluta certezza che tutto il successivo processo possa essere fatto rapidamente e senza ulteriori intoppi. 41
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Le Linee Guida dell’ESC Nel “nostro” mondo reale
Ciò significa Che la PTCA non può essere erogata in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale ma che solo Centri con un programma consolidato di PTCA primaria possono trasformare questa indicazione in trattamento di routine. La maggior parte dei pazienti con STEMI è candidata a trombolisi Ciò significa che, nella nostra realtà locale ma anche nella realtà di molti altri Ospedali italiani, non è possibile erogare in maniera omogenea quello che, negli Studi clinici viene indicato come il trattamento ottimale per il paziente infartuato in quanto solo gli Ospedali con un programma consolidato di PTCA primaria possono trasformare questa raccomandazione in trattamento di routine mentre la maggior parte dei pazienti con STEMI è candidato alla trombolisi. 42
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Il “nostro” mondo reale Una strategia praticabile
Trombolisi a tutti in assenza di controindicazioni Trombolisi presto entro 1 – 2 ore dall’inizio dei sintomi Questi dati devono farci riflettere sulla importanza di trattare il più presto possibile con trombolisi quante più persone possibile. E’ necessario che aumenti il numero di pazienti che giunge in ospedale entro 1 – 2 ore dall’inizio dei sintomi in modo da assicurare una terapia riperfusiva il più precoce possibile ad un numero sempre maggiore di pazienti. Documento di Consenso FIC IMA ST elevato 43
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TROMBOLISI PRESTO!!! Mortalità a 35 giorni in relazione al tempo di somministrazione della trombolisi FTT Collaborative Group (Lancet 1994; 343: ) Metanalisi di 22 studi clinici (Boersma et al. Lancet 1996; 348: ) 50 40 30 20 10 100 80 60 40 20 35/1000 65/1000 25/1000 Vite salvate per pazienti trattati Vite salvate per pazienti trattati 37/1000 16/1000 D’altra parte l’efficacia di un intervento precoce evidenziata dalla metanalisi del FTT, evidenzia che il trattamento effettuato entro la prima ora consente di salvare 35 vite per 1000 pazienti trattati, mentre se la trombolisi viene praticata dopo 2-3 ore il guadagno è di 25 vite per 1000 trattati. Un intervento più tardivo riduce il beneficio, che comunque rimane significativo almeno fino alle 12 ore dall’inizio dei sintomi, con 16 vite salvate ogni 1000 pazienti trattati. In una successiva metanalisi, pubblicata su Lancet nel ’96, che comprendeva 22 studi clinici, per un numero complessivo di oltre pazienti, evidenziava addirittura un numero di vite salvate su 1000 pazienti trattati entro la prima ora (“golden hour”), quasi doppio rispetto a quello evidenziato nella metanalisi FTT (65 vs. 35). Il beneficio scendeva poi in modo non lineare a 37 vite salvate/1000 pazienti trattati se la trombolisi veniva effettuata entro 1-2 ore e a 29 vite salvate/1000 trattati se era praticata entro 3-6 ore. 29/1000 ore dall’esordio dei sintomi ore dall’esordio dei sintomi 44
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Trombolisi presto!! CAPTIM Study - mortalità
Esordio < 2 h 5,7% 2,2 Nello Studio CAPTIM sulla trombolisi pre-ospedaliera, i pazienti trattati con trombolisi entro le 2 ore dall’inizio dei sintomi, ha una mortalità inferiore rispetto a quelli trattati con PTCA primaria…. Steg PG. Circulation 2003; 108 45
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Trombolisi presto!!! CAPTIM Study - shock
Esordio < 2 h 5.3 1.3 … e una minore incidenza di shock cardiogeno. C.Cuccia 60 minuti 46
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Trombolisi presto Infarto abortito 17.1% 4.5% 17.1 4.5 2.2%
20 15 10 5 Mortalità a 1 anno 2.2% 11.6% Trombolisi preospedaliera (86’) Trombolisi ospedaliera (123’) Pazienti (%) 17.1 17.1% p<0.05 4.5% 4.5 E una conseguenza della trombolisi preospedaliera è anche una maggiore percentuale di infarti abortiti. In questo studio, pubblicato su Heart nel 2003, la trombolisi preospedaliera (86 minuti) ha permesso di far abortire un infarto nel 17.1% dei pazienti rispetto al 4.5% di chi riceveva il trattamento in ospedale (123 minuti), con una significativa riduzione della mortalità ad 1 anno del 2.2%, significativamente più bassa dell’11.6% dei pazienti con IMA confermato (p<0.01). Questo per un risparmio di tempo di 40 minuti. Infarto abortito: Successione di elevazione e depressione di ST a > 50% del livello di presentazione associato ad aumento di CK < 2 volte i livelli normali. Lamfers EJ, Hooghoudt TE, Hertzberger DP et al. Abortion of acute ST segment elevation myocardial infarction after reperfusion: incidence, patients’ characteristics, and prognosis. Heart 2003; 89: 496–501 n=468 n=264 Lamfers EJ et al. Heart 2003; 89: Esperienza di Nijmegen-Arnhem, Olanda 47
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STEMI PCI RESCUE In caso di fallimento della trombolisi nei pazienti con infarti estesi entro 12 ore dall’inizio (IIa A) ESC Guidelines STEMI 2008
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Mondo reale: TBL a tutti (in assenza di controindicazioni) nel più breve tempo possibile
Trombolisi e stabilizzazione del paziente PTCA di salvataggio E fare la trombolisi a tutti, nel più breve tempo possibile, in assenza di controindicazioni, è sicuramente una cosa giusta in quanto lascia aperta la possibilità di seguire, comunque, strategie diverse, adattabili alle condizioni cliniche dei singoli pazienti, senza precludere il ricorso alla PTCA di salvataggio o facilitata, di cui dirò qualcosa successivamente, ma soprattutto perché risolve il grande problema etico, personalmente molto sentito, che è quello di assicurare comunque un trattamento a quei pazienti che pur giungendo in ospedale entro le prime ore dall’insorgenza dei sintomi, vengono trasferiti presso altri ospedali, per mancanza di posti letto, senza ricevere alcun trattamento. Trombolisi pre-trasferimento 49
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Trombolisi Pazienti anziani
I pazienti più anziani, in assenza di controindicazioni, devono ricevere la trombolisi quando la riperfusione meccanica non sia eseguibile in tempi utili I pazienti più anziani non dovrebbero essere esclusi da questo tipo di atteggiamento. Essi, in assenza di controindicazioni, devono ricevere la trombolisi quando la riperfusione meccanica Un discorso a parte riguarda i pazienti anziani che spesso vengono penalizzati e non ricevono il trattamento. Questi pazienti, in assenza di controindicazioni, dovrebbero essere sottoposti a trombolisi soprattutto quando la riperfusione meccanica non sia possibile o non sia eseguibile in tempi utili. Linee Guida ESC pag ESC Guidelines STEMI 2008 50
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Trombolisi Pazienti anziani 76-86 anni sopravvivenza si TRx no TRx
I primi dati sulla trombolisi erano poco rassicuranti, tanto che sembrava che la terapia fibrinolitica, oltre i 75 anni, aumentasse la mortalità. gg (Thiemann, Circ 2000) 51
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Conclusioni (mondo reale)
Garantire a tutti TBL a PZ con STEMI in cui non vi siano controindicazioni possibilmente entro 1-2 ore dall’inizio dei sintomi. TBL pre-trasferimento. P PTCA presenza di shock cardiogeno o controindicazioni alla TBL I modelli organizzativi devono necessariamente tenere conto del contesto socio-sanitario in cui viviamo e quindi devono quindi porsi degli obiettivi realmente realizzabili. Il primo obiettivo è quello di garantire, in assenza di controindicazioni, la trombolisi a tutti il più rapidamente possibile facendo emergere un discorso culturale di coinvolgimento di tutti gli operatori sanitari ospedalieri e territoriali e di informazione al paziente. Questo modello va garantito a tutti ma appare ormai insufficiente. Un rapido trasferimento ad un Centro di III livello dovrà essere considerato in caso di trombolisi inefficace per una PTCA di salvataggio, o in caso di shock cardiogeno o controindicazioni alla trombolisi. La strategia della PTCA facilitata rappresenta una strategia che offre consistenti vantaggi e che permette di guadagnare tempo in modo da trasferire il paziente presso una Struttura ad alto volume di attività. Essa necessita comunque di una rete interospedaliera ben organizzata e soprattutto di collegamenti rapidi tra Centri di I o II livello e Centri di III livello. PTCA di salvataggio per pazienti con trombolisi inefficace da garantire ovunque 52
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Il rischio trombotico nella cardiologia invasiva
Sindrome coronarica acuta con ST sopraslivellato Angina instabile IMA non Q Sindrome coronarica acuta senza ST sopraslivellato Complicanze dell’aterosclerosi PTCA + STENT
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PTCA e prevenzione della trombosi
Informazioni sui farmaci - 11/13/2010 Bivalirudina Angiox Nycomed Italia 10 flaconcini polvere liofilizzata 250 mg per uso endovenoso € 4.200,00 (prezzo ex-factory, IVA esclusa) Indicazioni registrate: anticoagulante in pazienti sottoposti ad intervento coronarico percutaneo (PCI). Proprietà farmacologiche La bivalirudina è un peptide sintetico di 20 aminoacidi derivato dell'irudina, proteina anticoagulante della sanguisuga, che inibisce in modo specifico la trombina, legandosi reversibilmente al sito catalitico dell'enzima. L'inibizione della trombina impedisce la conversione del fibrinogeno in fibrina e l'aggregazione piastrinica, due eventi fondamentali per la formazione e la stabilizzazione del coagulo. Studi in vitro indicano che l'inibizione avviene sia a carico della trombina libera solubile che di quella legata al coagulo1. Dopo somministrazione endovenosa, la bivalirudina non si lega alle proteine plasmatiche e viene escreta con le urine; la sua emivita di eliminazione è di circa 25 minuti e raddoppia in pazienti con insufficienza renale1. L'attività anticoagulante del farmaco è dipendente dalla concentrazione e dalla dose. Gli effetti emodinamici possono essere monitorati utilizzando indici di anticoagulazione come il tempo di coagulazione attivato (ACT). Efficacia clinica Verso eparina In un primo studio randomizzato, in doppio cieco, condotto su pazienti con angina instabile o postinfartuale in trattamento con aspirina ( mg/die), candidati ad un intervento di angioplastica, la bivalirudina (1 mg/kg in bolo e.v. prima della PCI, seguiti da 2,5 mg/kg/ora per 4 ore, poi da 0,2 mg/kg/ora per ore) è stata confrontata con l'eparina non frazionata ad alte dosi (175 U/kg in bolo, seguite da 15 U/kg/ora per ore)2. L'incidenza della principale misura di esito, un criterio composito formato da morte, infarto miocardico, improvvisa occlusione vascolare o necessità di rivascolarizzazione urgente, non è stata diversa nei due gruppi: 11,4% con bivalirudina e 12,2% con eparina. Nel sottogruppo predefinito di 704 pazienti con angina postinfartuale, il trattamento con bivalirudina ha comportato una minore frequenza cumulativa dell'end point primario (9,1% vs. 14,2%), ma la differenza non è più risultata significativa dopo 6 mesi (20,5% vs. 25,1%). I deludenti risultati dello studio, di fatto, hanno bloccato lo sviluppo del farmaco sino al momento in cui una rianalisi dei dati, effettuata diversi anni più tardi, evidenziando un vantaggio a favore della bivalirudina, riapriva "i giochi"3. In uno studio, in aperto, pazienti sono stati randomizzati a bivalirudina (0,75 mg/kg in bolo seguiti da 1,75 mg/kg/ora durante l'angioplastica) o a eparina (70 U/kg in bolo)4. Tutti i pazienti assumevano aspirina; veniva raccomandato l'uso di clopidogrel, mentre la somministrazione di un inibitore della glicoproteina IIb/IIIa era lasciata alla discrezione dei clinici. Nell'end point composito (morte, infarto miocardico e rivascolarizzazione) non sono emerse differenze tra i due gruppi dopo 48 ore dall'intervento di PCI (5,5% vs. 6,9%). Due trial randomizzati, in aperto, hanno valutato l'efficacia e la sicurezza della bivalirudina in pazienti sottoposti a bypass cardiopolmonare o a rivascolarizzazione coronarica5,6. Nel primo, condotto su 150 pazienti, non sono emerse differenze tra bivalirudina ed eparina (più protamina) nella percentuale di procedure esenti da complicazioni ischemiche (misura di esito principale) a 7 giorni (94,9% vs. 96,2%), a 30 giorni (94,9% vs. 94,2%) e a 3 mesi (94,8% vs. 92,2%)5. Nel secondo studio (n=157), dopo 30 giorni, le percentuali di successo, definite come nello studio precedente, interventi non gravati da morte, infarto, ictus e rivascolarizzazione, sono state identiche tra bivalirudina ed eparina (93% per entrambi i farmaci)6. Verso eparina più inibitore glicoproteina IIa/IIIb Lo studio pilota CACHET ha randomizzato in aperto, in 3 fasi sequenziali, 268 pazienti a bivalirudina (con o senza abciximab) o a eparina a basse dosi più abciximab7. Dopo 7 giorni dall'intervento di PCI, non sono emerse differenze significative nell'incidenza della principale misura di esito (incidenza di morte, infarto miocardico, rivascolarizzazione e sanguinamento maggiore). Nello studio randomizzato, in doppio cieco, REPLACE-2, realizzato su pazienti, la bivalirudina (0,75 mg/kg in bolo, seguiti da 1,75 mg/kg/ora durante le procedure di PCI) è stata confrontata con eparina (65 U/kg) più abciximab o eptifibatide8. Tutti i pazienti assumevano aspirina (dose non precisata) e, nell'85% dei casi, clopidogrel (300 mg prima dell'angioplastica seguiti da 75 mg/die per 30 giorni). L'efficacia veniva valutata sulla base di un criterio composito rappresentato da morte, infarto miocardico, rivascolarizzazione urgente ed emorragie maggiori. Dopo 30 giorni dall'intervento di PCI, la bivalirudina si è dimostrata "non inferiore" all'eparina nell'end point primario (9,2% vs. 10%). L'incidenza di morte è stata 0,2% contro 0,4% con eparina a 30 giorni e 1,4% contro 1% dopo 6 mesi9, infarto miocardico 7% contro 6,2% con eparina a 30 giorni e 7,4% contro 8,2% dopo 6 mesi9, rivascolarizzazione 1,2% contro 1,4% a 30 giorni e 12,1% contro 11,4% dopo 6 mesi9. Nessuna differenza è risultata significativa. Un recente trial randomizzato, condotto su 857 pazienti con sindrome coronarica acuta senza innalzamento del tratto ST, ha confrontato la bivalirudina con l'eptifibatide associata a eparina non frazionata o a enoxaparina a basse dosi10. Tra i pazienti valutabili angiograficamente (n=756), la bivalirudina si è dimostrata superiore nel migliorare la riserva di flusso coronarico dopo angioplastica, mentre l'eptifibatide ha migliorato la perfusione miocardica e ha ridotto la durata dell'ischemia post-PCI in misura maggiore; non sono emerse differenze nella incidenza di eventi ischemici e dei sanguinamenti maggiori. Effetti indesiderati Il rischio principale di un trattamento anticoagulante è l'emorragia grave. Nel primo studio di confronto con l'eparina non frazionata, la percentuale di sanguinamenti maggiori è stata inferiore con bivalirudina (3,8% contro 9,8% con eparina)2. Una incidenza significativamente più bassa di emorragie gravi è stata rilevata anche nello studio di maggiori dimensioni, il REPLACE-2: 2,4% vs. 4,1% con eparina associata ad un inibitore glicoproteina IIb/IIIa8. L'altro effetto indesiderato più importante osservato nel REPLACE-2 è stata la trombocitopenia che ha interessato lo 0,7% dei pazienti trattati con bivalirudina (vs. 1,7% con eparina)8. Nei due studi realizzati in pazienti sottoposti a bypass cardiopolmonare e coronarico, non sono emerse differenze con l'eparina nella quantità totale di sangue perso, nella incidenza di emorragie richiedenti un secondo intervento, nella richiesta di emotrasfusioni5,6. Secondo l'Agenzia Europea per la valutazione dei farmaci (EMEA), i dati sull'impiego della bivalirudina in pazienti con trombocitopenia (HIT) o trombocitopenia con sindrome trombotica (HITTS) indotte da eparina sono ancora pochi11. In uno studio in aperto, 52 pazienti con HIT o HITTS, candidati ad un intervento di angioplastica, sono stati trattati con bivalirudina (27 pazienti con 1 mg/kg in bolo seguiti da 2,5 mg/kg/ora per 4 ore; 25 con 0,75 mg/kg in bolo seguiti da 1,75 mg/kg/ora)12. Un solo sanguinamento maggiore (end point principale) si è verificato con bivalirudina ad alta dose, mentre non si sono registrati casi di trombocitopenia. Avvertenze In caso di sovradosaggio o di emorragia grave non esiste un antidoto; la bivalirudina è emodializzabile (80%). Dosaggio Un bolo endovenoso di 0,75 mg/kg peso corporeo, seguito immediatamente da una infusione endovenosa di 1,75 mg/kg peso corporeo/ora per la durata della procedura. L'infusione può essere continuata fino a 4 ore dopo la PCI, come da esigenze cliniche. Costi La somministrazione di bivalirudina (0,75 mg/kg in bolo e.v., seguiti da 1,75 mg/kg/ora) in un paziente di 70 kg sottoposto ad una procedura di PCI della durata di un'ora ha un costo di 420 € (1 flacone), il doppio rispetto a eparina (65 U/kg prima della PCI) più eptifibatide (2 boli e.v. da 180 mcg/kg, seguiti da 2 mcg/kg/minuto per 18 ore, pari a 3 flaconi da 100 ml) (195 €) e la metà circa rispetto a eparina (65 U/kg) più abciximab (250 mcg/kg in bolo e.v. seguiti da 0,125 mcg/kg/minuto per 12 ore, pari a 3 flaconi (771 €). I dosaggi sono quelli utilizzati nello studio REPLACE-2. La bivalirudina è un anticoagulante, inibitore diretto della trombina. Gli studi disponibili indicano che nei pazienti sottoposti ad intervento di angioplastica, la bivalirudina non possiede un profilo beneficio/rischio migliore rispetto all'associazione tra eparina ed eptifibatide, ma potrebbe utilmente sostituire l'eparina nei pazienti affetti da trombocitopenia e trombocitopenia e sindrome trombotica indotte da eparina; i dati sono, però, ancora pochi. In caso di emorragia grave non esiste un antidoto specifico. Bibliografia 1. Angiox. Riassunto delle caratteristiche del prodotto. 2. Bittl JA et al. Treatment with bivalirudin (Hirulog) as compared with heparin during coronary angioplasty for unstable or postinfarction angina. N Engl J Med 1995; 333: Bittl JA et al. Bivalirudin versus heparin during coronary angioplasty for unstable or postinfarction angina: final report reanalysis of the Bivalirudin Angioplasty Study. Am Heart J 2001; 142: Lincoff AM et al. Comparison of bivalirudin versus heparin during percutaneous coronary intervention (the Randomized Evaluation of PCI Linking Angiomax to Reduce Clinical Events [REPLACE]-1 trial). Am J Cardiol 2004; 93: Dyke CM et al. A comparison of bivalirudin to heparin with protamine reversal in patients undergoing cardiac surgery with cardiopulmonary bypass: The EVOLUTION-ON study. J Thorac Cardiovasc Surg 2006; 131: Smedira NG et al. Anticoagulation with bivalirudin for off-pump coronary artery bypass grafting: the results of the EVOLUTION-OFF study. J Thorac Cardiovasc Surg 2006; 131: Lincoff AM et al. Bivalirudin with planned or provisional abciximab versus low-dose heparin and abciximab during percutaneous coronary revascolarization: results of the Comparison of Abciximab Complications with Hirulog for Ischemic Events Trial (CACHET). Am Heart J 2002; 143: Lincoff AM et al. Bivalirudin and provisional glycoprotein IIb/IIIa blockade compared with heparin and planned glycoprotein IIb/IIIa blockade during percutaneous coronary intervention: REPLACE-2 randomized trial. JAMA 2003; 289: Lincoff AM et al. Long-term efficacy of bivalirudin and provisional glycoprotein IIb/IIIa blockade vs heparin and planned glycoprotein IIb/IIIa blockade during percutaneous coronary revascularization: REPLACE-2 randomized trial. JAMA 2004; 292: Gibson CM et al. A randomized trial to evaluate the relative protection against post-percutaneous coronary intervention microvascular dysfunction, ischemia, and inflammation among antiplatelet and antithrombotic agents: the PROTECT-TIMI-30 trial. Am J Coll Cardiol 2006; 47: EMEA. European Public Assessment Report (EPAR). Angiox-Scientific Discussion 2005 (32 pages) Mahaffey KW et al. The anticoagulant therapy with bivalirudin to assist in the performance of percutaneous coronary intervention in patients with heparin-induced thrombocytopenia (ATBAT) study: main results. J Invasive Cardiol 2003; 15: Data di redazione 06/2006 06/2006
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PTCA e prevenzione della trombosi
Lesione di parete Mitosi CML Farmaco (Sirolimus – Paclitaxel) 2 – 4 mesi Polimero Endotelizzazione con disfunzione endoteliale prolungata?
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ASA + Clopidogrel per quanto tempo?
Dopo STENT ASA + Clopidogrel per quanto tempo?
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Dopo STENT ASA + Clopidogrel per quanto tempo?
Nei pazienti trattati con BMS or DES, clopidogrel 75 mg (I B) o prasuguel 10 mg (I B), dovrebbero essere somministrati per almeno 12 mesi a meno che non vi sia rischio di sanguinamento. Può essere preso in considerazione un ulteriore prolungamento della terapia fino a 15 mesi (IIb C) Nei pazienti con anamnesi positiva per ictus o TIA il prasuguel non è raccomandato nei pazienti sottoposti a PCI primaria (III C) Nei pazienti candidati alla PTCA in cui è probabile un intervento chirurgico che richiede l’interruzione della doppia antiaggregazione nei successivi 12 mesi, dovrebbe essere preso in considerazione l’uso di uno stent metallico o di una PTCA senza stent. *2009 Focused update: ACC/AHA Guidelines STEMI
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STENT THROMBOSIS
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STENT THROMBOSIS
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CONCLUSIONI Nella SCA NSTEMI utilizzare anticoagulanti e antiaggreganti associati alla terapia convenzionale, cercare di stabilizzare il paziente e stratificare il rischio Nella SCA STEMI trombolisi o PTCA primaria presto + terapia anticoagulante e convenzionale Nella prevenzione della trombosi intrastent utilizzare la doppia antiaggregazione il più a lungo possibile.
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