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ISSR “S. PAOLO” - AVERSA biennio per operatori pastorali FAMIGLIA E SESSUALITA’ Prof. Avv. Giovanni Ciccarelli Dottorando in Bioetica (Ateneo Pontificio.

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1 ISSR “S. PAOLO” - AVERSA biennio per operatori pastorali FAMIGLIA E SESSUALITA’ Prof. Avv. Giovanni Ciccarelli Dottorando in Bioetica (Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, ROMA)

2 SESSUALITA’ E MATRIMONIO NELLA SCRITTURA

3 premessa -La sessualità è una realtà complessa e articolata che attraversa tutta la condizione umana e non può essere ridotta alle strutture e alle funzioni genitali, anche se la genitalità costituisce un'espressione significativa della sessualità. -La persona, nella sua interezza, è sessuata: a livello biologico, a livello psicologico, a livello relazionale. Dal momento che la persona si autocomprende attraverso l'esperienza, fondamentale e irriducibile, della corporeità che è una corporeità sessuata, la persona non può comprendere compiutamente se stessa prescindendo dalle connotazioni sessuali del suo esistere.

4 Questo processo di autocomprensione è altamente soggettivo e si compie sempre in precisi contesti storici e culturali, attraverso i codici linguistici e simbolici propri di un dato gruppo umano e di un dato tempo storico. L'autocomprensione del proprio esistere in quanto creatura sessuata si configura, così, come un processo di mediazione e di unificazione compiuto dal soggetto fra molteplici elementi di diversa provenienza, naturali e culturali, fisici e psichici, consci e inconsci. Il vissuto della sessualità, passando attraverso un processo di mediazione, ne riflette e ne subisce le vicende, le difficoltà, i fallimenti, derivandone un'inevitabile componente di relatività.

5 Le regole che le diverse società hanno elaborato per dare ordine all'esercizio della sessualità sono diverse e riflettono sensibilità difficilmente riducibili a norme universalmente condivise. Il legame naturale fra sessualità e generazione rappresenta un'evidenza antropologica che le diverse culture hanno valorizzato e formato, data l'importanza della generazione per la vita sociale e individuale, ma il tratto tipico dell'intuizione morale originaria sulla sessualità umana prima di qualsiasi specificazione normativa è il legame fra l'esercizio della sessualità e una relazione interpersonale tendenzialmente stabile fra uomo e donna che possiamo definire coniugale

6 La comprensione cristiana della sessualità, partendo da queste intuizioni morali universali, si apre a orizzonti di ancora maggiore vastità perché il cristiano sa che, incontrando il Signore Gesù, ha fatto una singolare esperienza di vita e ha trovato una verità che illumina l'uomo e lo conduce al suo compimento autentico. Il soggetto credente si autocomprende, quindi, attraverso e in rapporto con la cultura del suo spazio storico e questo attribuisce alla forma concreta del suo comprendere un'inevitabile nota di relatività, ma nello stesso tempo l'autocoscienza della propria umanità viene illuminata dal suo incontro con il Dio di Gesù Cristo nella Chiesa e questo conferisce alla sua autocomprensione una nota di certezza. La scelta incondizionata per il Vangelo, suscitata e sostenuta dallo Spirito del Signore, plasma l’ethos del popolo di Dio, cioè il suo peculiare carattere morale. La teologia morale aiuta a comprendere che le norme morali devono essere intese come valutazioni e scelte operative prodotte dalla comunità cristiana per realizzare la vita buona del Vangelo.

7 SESSUALITÀ E MATRIMONIO NELLA SACRA SCRITTURA La sessualità e il matrimonio sono realtà mondane, ma riflettono il mistero stesso di Dio che si rivela compiutamente in Cristo. Questo porterà il popolo di Dio a leggere la sessualità e il matrimonio attraverso le categorie teologiche di alleanza e di amore e a elaborare norme che orientino i credenti a costruire, attraverso il linguaggio della sessualità, relazioni interpersonali nella luce di quella dedizione e fedeltà che Dio stesso ha mostrato con il suo popolo. 16 Perciò, ecco, la attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore. 18 E avverrà in quel giorno - oracolo del Signore - mi chiamerai: Marito mio, e non mi chiamerai più: Mio padrone. 21 Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell'amore. 22 Ti fidanzerò con me nella fedeltà e tu conoscerai il Signore. (Os 2,16.18.21.22)

8 1. R EALTÀ S ESSUALE E M ATRIMONIALE IN ISRAELE: il patriarcato e la condizione della donna La ricerca sul messaggio biblico intorno a sessualità e matrimonio parte, naturalmente, dall’Antico Testamento che ci trasmette l'esperienza del Dio dell’alleanza e della santità. Non dobbiamo tuttavia dimenticare che il popolo ebraico, pur essendo stato raggiunto da una particolare vocazione di Dio, restò immerso nella storia, condividendo con altri popoli, soprattutto circostanti, atteggiamenti mentali, modelli normativi, strutture organizzative intorno alle realtà sessuali, al matrimonio e alla famiglia. Anche il passaggio dalla vita nomadica a quella sedentaria e cittadina ebbe le sue conseguenze. Un primo elemento di continuità con molti popoli coevi è il carattere patriarcale della famiglia e della società: la casa è la casa del padre, le genealogie sono patrilineari, la famiglia ha un carattere esteso comprendendo tutti coloro che, consanguinei e non, vivono nella casa paterna sotto l'autorità del capofamiglia.

9 il patriarcato e la condizione della donna / 2 Dal carattere patriarcale della famiglia ebraica deriva il fatto che il matrimonio fosse essenzialmente un patto tra due gruppi familiari. Di per sé il matrimonio ebraico non era l'istituzione dell'amore coniugale, fondata sull'incontro anche sentimentale di due persone, ma l'accordo tra due gruppi familiari attraverso la decisione dei padri. Non mancano dati che testimoniano la posizione di prestigio di alcune donne (Maria, sorella di Mosè e di Aronne in Es 15,20-21; Debora, annoverata fra i giudici in Gdc 4,4; la profetessa Culda in 2Re 22,14 e le eroine nazionali Giuditta ed Ester protagoniste degli omonimi libri). Tuttavia, nel contesto della famiglia patriarcale, la donna occupava un ruolo subalterno e veniva tenuta in scarsa considerazione: l'attitudine misogina della mentalità ebraica si riflette in molti testi scritturistici, specialmente del genere sapienziale (ad esempio Sir 25,12-26).

10 il patriarcato e la condizione della donna / 3 Un altro aspetto che accomuna Israele con i paesi limitrofi sono la forma poligamica del matrimonio e l'istituzionalizzazione del concubinato, conseguenze dirette della supremazia maschile. In età patriarcale la poligamia era piuttosto moderata: Giacobbe aveva due mogli principali (Gen 29,21-30) ed Esaù tre (Gen 26,34; 28,9). Molto diffusa era la monogamia relativa: alla moglie principale venivano associate una o talvolta più concubine o mogli secondarie, secondo un uso normale in Mesopotamia attestato anche nel Codice di Hammurabi (§§144-146.163): questa era la situazione matrimoniale di Abramo che, accanto a Sara, moglie principale, aveva Agar come moglie secondaria (Gen 6,1-3), e di Giacobbe che genera i suoi dodici figli da due mogli principali, Lia e Rachele, e da due mogli secondarie, Zilpa e Bila (Gen 29,15-30).

11 il patriarcato e la condizione della donna / 4 Poligamia e concubinato si ampliarono progressivamente fino a raggiungere l'acme al tempo dei giudici e dei re: la Bibbia ci ha tramandato la figura di Davide circondato da mogli e concubine (2Sam 3,2-5.15; 11,2-27; 15,16) e di Salomone che, a imitazione dei grandi monarchi del tempo, possedeva un harem di 700 mogli e 300 concubine (iRe 11,3). I motivi alla base della diffusione della poligamia sono da ricercarsi nella struttura economica e sociale dell'antico Israele: molte mogli significavano molti più figli e quindi maggiori risorse umane per i lavori agricoli e la pastorizia, maggiore forza verso l'esterno, maggiore garanzia per il futuro della famiglia. Avere molte mogli significava avere rapporti con un maggior numero di gruppi familiari ed era inoltre ritenuto un indice di benessere economico e di prestigio sociale.

12 il patriarcato e la condizione della donna / 5 La pratica della poligamia incontrò in seguito crescenti opposizioni, soprattutto in ambiente profetico. La nuova mentalità si riflette in diversi testi che tramandano la storia patriarcale: Gen 2,21. 24 (uomo e donna diventano una caro); Gen 4,19 (la poligamia è introdotta da Lamech, il violento discendente di Caino), Gen 7,3-7 (gli animali entrano nell'arca due a due). Dopo il ritorno dall'esilio babilonese la poligamia declinò rapidamente: oltre ai motivi ideali e alla maturazione della consapevolezza nei riguardi del matrimonio e della dignità della donna, contribuì non poco alla sua scomparsa la disastrosa situazione economica del post-esilio che non permetteva certo alla popolazione di avvalersi di un istituto oggettivamente costoso come quello poligamico.

13 il patriarcato e la condizione della donna / 6 Ai tempi di Gesù la poligamia non era più accettata dal costume: ne è prova Erode il Grande che, avendo diverse mogli, era costretto a giustificarsi dalle accuse richiamandosi all'esempio dei patriarchi. Il ruolo subordinato della donna si rifletteva anche nel modo di considerare l'adulterio. L'adulterio è percepito come un delitto contro la giustizia o, per meglio dire, contro il diritto del marito (o fidanzato o tutore) al quale la donna appartiene. Non si configura invece tale delitto se si tratta di una donna libera da vincoli matrimoniali o priva di tutela, proprio perché lei non appartiene a nessuno e quindi non si fa torto a nessuno nell'avere un rapporto sessuale con lei.

14 il ripudio Un altro elemento che accomuna Israele alle culture limitrofe è l'istituto del ripudio. La parola "ripudio" è più corretta di divorzio, perché in Israele questo diritto era riconosciuto soltanto al marito nei confronti della moglie e, anche in questo caso, vediamo come la legislazione ebraica fosse largamente sbilanciata a favore dell'uomo. L'uso del ripudio è supposto dalla legislazione mosaica (Lv 21,7.14; 22,13; Nm 30,10) e viene regolato dal codice deuteronomico (Dt 22,13-19.28-29 e soprattutto 24,1-4). Contrariamente alle apparenze, l'intenzione del legislatore era di mettere un limite all'arbitrio del marito e di tutelare i diritti della donna ripudiata attraverso l'obbligo del libello di ripudio, una dichiarazione del marito che rendeva alla moglie la sua libertà e la possibilità di risposarsi. Si legge in Dt 24,1: Quando un uomo ha preso una donna e ha vissuto con lei da marito, se poi avviene che ella non trovi grazia ai suoi occhi, perché egli ha trovato in lei qualche cosa di vergognoso ['erwat dabar], scriva per lei un libello di ripudio e glielo consegni in mano e la mandi via di casa.

15 il ripudio / 2 L'uomo può, dunque, ripudiare la moglie se trova in essa 'erwat dabar, «qualcosa di vergognoso» (letteralmente «la nudità di una cosa»). Data la genericità dell'indicazione circa la causa che legittima il ripudio, è facile immaginare che ne venissero date interpretazioni e applicazioni diverse, più o meno restrittive. Benché la donna non avesse il diritto di ripudiare il marito, poteva però fare richiesta del libello di ripudio in alcune circostanze (ad esempio, se il marito si ammalava, se esercitava un mestiere disonorevole, se scompariva, se abbandonava la fede israelitica). Non mancarono voci di condanna del ripudio. Su tutte si eleva quella del profeta Malachia che ritiene il ripudio un comportamento iniquo e detestato da Dio (Ml 2,14-16).

16 il valore della procreazione Un tratto comune della mentalità antica è la valutazione molto positiva della fecondità: la funzione del matrimonio è quella di consentire all'uomo di conseguire una propria discendenza legittima. In Israele una grande discendenza è considerata una benedizione di Dio, soprattutto se si tratta di figli maschi che perpetuano il nome del padre: basti pensare alla promessa fatta ad Abramo (Gen 13,14-17) o all'ideale familiare descritto nel Salmo 127. Accanto ai significato sociale della procreazione, garanzia di continuità ed espansione del gruppo e immissione di braccia da lavoro nelle strutture produttive agricole, pastorali e artigianali, Israele collegava la procreazione con la continuità della benedizione. Non essendosi ancora sviluppata la fede nell'immortalità dell'anima, la trasmissione della benedizione ai figli era l'unica garanzia della propria continuità.

17 il valore della procreazione / 2 La legge tutelava la continuità della discendenza maschile anche attraverso alcuni peculiari istituti come quello del levirato (in ebraico yibbum). In base alla legge del levirato (dal latino levir, «cognato»), il fratello di un uomo sposato e morto senza figli doveva prenderne il posto accanto alla vedova per dare al fratello una discendenza. Il primogenito avrebbe preso infatti il patronimico del defunto e avrebbe avuto tutti i diritti connessi con la primogenitura (Dt 25,6-10) All'opposto, la mancanza di figli era ritenuta un grande disonore e una disgrazia (vedi: il dolore per la sterilità di Rachele in Gen 30,1 e di Anna madre di Samuele in 1Sam 1,28, o il pianto della figlia di Iefte in Gdc 11,37-38, la quale piange non per il morire, ma per il morire vergine e, quindi, senza figli) La sterilità era attribuita alla donna. Una donna esisteva per fare figli ed essere tramite della benedizione di Dio: una donna senza figli si sentiva, perciò, un inutile ramo secco.

18 2. LA SESSUALITÀ IDEALE NELL’ANTICO TESTAMENTO Pur presentando molti elementi in comune con le culture coeve, Israele, nella luce della fede jahvista e dell'alleanza, sviluppò una comprensione originale del senso della sessualità e del matrimonio che non restò senza effetti anche dal punto di vista delle strutture normative e istituzionali. Si tratta di una conquista lenta e progressiva della quale studieremo, dai testi genesiaci e profetici sino agli ultimi sapienziali, i momenti salienti: nell'ottica dell'Antico Testamento la comprensione autentica della sessualità avviene soltanto dentro un quadro di riferimento interpersonale, tra uomo e donna, dentro una legge di amore, che salvaguarda il sesso da una considerazione puramente istintuale. Un rilievo particolare rivestono i racconti di creazione in Genesi. Quando il Signore fu interrogato dai farisei intorno al divorzio, egli, fondando la sua risposta sulla parola di Dio, si riportò al principio, al progetto originario del Creatore sull'uomo e sulla donna. Anche noi dobbiamo sempre tornare a quel principio che illumina il mistero umano della sessualità e del matrimonio, «dobbiamo collocarci», come ci avverte Papa Giovanni Paolo II «nel contesto di quel principio biblico, in cui la verità rivelata sull'uomo come "immagine e somiglianza" di Dio costituisce l'immutabile base di tutta l'antropologia cristiana» ( GIOVANNI PAOLO II, lettera apostolica Mulieris dignitatem, 15 agosto 1988, n. 6)

19 la creazione dell'uomo e della donna in Genesi 2 Esistono, com'è noto, due racconti della creazione dell'uomo e della donna: uno, più recente (VI secolo a.C.), si trova in Genesi 1 ed è rappresentativo della tradizione sacerdotale; l'altro, più antico (X secolo a.C.), è contenuto in Genesi 2 e viene fatto risalire alla tradizione jahvista, così chiamata per l'uso di indicare Dio con il tetragramma sacro e impronunciabile YHWH, Jahweh. Iniziamo da quest’ultima, cioè dalla narrazione più antica che fa riferimento alla tradizione jahvista. Si tratta di una profonda riflessione sul significato della sessualità e sulla misteriosa forza di attrazione fra l'uomo e la donna espressa in forma narrativa con linguaggio immaginifico e potentemente evocativo. L'agiografo, dopo aver descritto la creazione di Adamo dalla polvere della terra (Gen 2,7) e la sua collocazione nel giardino per custodirlo e coltivarlo (Gen 2,15), ce ne rivela la nativa vocazione alla comunione e insieme la sconfinata solitudine: «Il Signore Iddio disse: "Non è bene che l'uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda"» (Gen 2,18). La creazione della donna viene vista nella luce del superamento della solitudine originaria: come risposta al bisogno insopprimibile dell'uomo di vivere entro una relazione interpersonale ed essere pienamente se stesso nella comunione con una creatura che partecipi della sua stessa realtà umana. L'uomo ha bisogno di un essere che gli corrisponda, che sia degno di lui, che possa entrare con lui in una relazione di aiuto e di sostegno, un essere che il mondo subumano non può dare perché l'uomo è radicalmente diverso e superiore a ogni creatura della terra.

20 la creazione dell'uomo e della donna in Genesi 2 (2) Il Signore infatti crea tutti gli animali conducendoli dinanzi ad Adamo perché ricevano da lui il nome (dare il nome è segno di superiorità e dominio), quasi in una sfilata davanti al sovrano della terra che è Adamo, ma le creature non umane non sono un aiuto degno di lui (Gen 2,19-20). Allora Iddio fa cadere Adamo in un sonno profondo (tardemah), e gli prende una costola, richiudendo al posto di essa la carne. Dalla costola di Adamo il Signore forma la donna e la conduce dall'uomo. Adamo vedendola prorompe in un grido gioioso di stupore riconoscendo finalmente in lei l'attesa anima gemella che sola può riempire il vuoto che egli sente dentro: Questa volta è osso delle mie ossa, carne della mia carne. La si chiamerà 'ishsha [donna], perché da 'ish [uomo] è stata tolta (Gen 2,23) La donna appartiene al mondo dell'uomo, la donna è un altro io nella comune umanità. L'etimologia popolare che riconnette 'ishsha (donna) a 'ish (uomo) permette all'agiografo di affermare l'uguaglianza naturale della donna con l'uomo. Ciò non significa che per lo Jahwista vi sia assoluta parità tra l'uomo e la donna perché, anche se è vero che l'uomo non impone il nome alla donna come aveva fatto con gli animali, tuttavia è lui a riconoscerla e a indicare quale sarà il suo nome, donna. L’imposizione del nome di Eva si trova, nel testo biblico, in Gen 3,20, dopo la cacciata dall’Eden.

21 la creazione dell'uomo e della donna in Genesi 2 (3) La narrazione si chiude spiegando, in stile sapienziale, non solo il fatto della mutua attrazione dell'uomo e della donna, ma il senso di tale attrazione. Abbiamo già notato l'esclamazione di Adamo di fronte alla donna, quando scopre la sua intima affinità con lei e si rende conto di trovarsi finalmente davanti a un tu. Questo grido di gioia introduce al movimento dell'unione e dell'integrazione di vita e ne costituisce il presupposto: l'uomo va verso la donna e viceversa, perché solo insieme essi non sono più soli: «Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due saranno un'unica carne» (Gen 2,24). L'uomo e la donna sono progettati per essere una caro, per unirsi sessualmente, ma soprattutto per unirsi nella vita e diventare, attraverso il dono del reciproco amore, una persona coniugalis. Qui possiamo ravvisare un'implicita ma radicale critica alla poligamia. L'ultimo versetto richiama la nudità della coppia primitiva. Questa nudità originaria, reciproca e insieme non turbata dalla vergogna, esprime la libertà della relazione coniugale e rivela il significato sponsale del corpo umano, che è sessuato e quindi capace di esprimere l'amore. «Si può dire», commenta Giovanni Paolo II nelle Catechesi sull'amore umano, «che, creati dall'Amore, cioè dotati nel loro essere di mascolinità e femminilità, entrambi sono nudi perché sono liberi della stessa libertà del dono» (GIOVANNI PAOLO II, Uomo e donna lo creò. Catechesi sull'amore umano, Roma 1987,77).

22 la creazione dell'uomo e della donna in Genesi 1 La narrazione di Genesi 1 offre il testo appartenente alla tradizione più recente, quella sacerdotale: in essa, attraverso il tema dell’immagine, vengono espresse in maniera solenne l'unità dell'uomo e della donna e la finalità procreativa della sessualità. Create tutte le cose in sei giorni, venne infine il momento della creazione dell'uomo e della donna, come al culmine di un crescendo, perché la creatura umana è la più importante e la più significativa dell'intero creato: Dio disse: «Facciamo l'uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza: domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutti gli animali selvatici e su tutti i rettili che strisciano sulla terra». Dio creò l'uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò. (Gen 1,26-27) In forza di un unico atto creativo, l'uomo e la donna emergono all'esistenza insieme: ambedue sono esseri umani, ambedue creati a immagine di Dio come due realizzazioni diverse, ma complementari dell'unica immagine divina: “L'uomo è immagine di Dio nella dualità di maschio e femmina: né il maschio né la femmina sono, presi isolatamente, immagine di Dio. La dialogicità dei sessi diversi già si apre al dono, all'amore, alla fecondità, riproducendo così l'immagine di Dio, che è essenzialmente amore che si dona” (S. C IPRIANI, «Matrimonio», in R OSSANO - R AVASI - G HIRLANDA (edd.), Nuovo dizionario di teologia biblica, 924.

23 la creazione dell'uomo e della donna in Genesi 1 (2) L'agiografo, utilizzando abilmente i pronomi personali, passa dal singolare «lo creò» al plurale «li creò» e sottolinea da un lato l'unità di origine e quindi la comune dignità dell'uomo e della donna, dall'altro la distinzione dei sessi e delle persone. All'uomo e alla donna, come coppia, è affidata la creazione di cui la creatura umana è il coronamento e il punto di arrivo. Ad essi si rivolge la benedizione della fecondità mediante la quale trasmetteranno l'immagine di Dio di uomo in uomo e sottometteranno a sé e ai loro discendenti tutto il cosmo: Dio li benedisse e disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra» (Gen 1,28). In conclusione, secondo Gen 1-2, la coppia umana è creata nell'uguaglianza della dignità e nella distinzione dei ruoli per un progetto di comunione e di fecondità. Sin dal principio, il matrimonio è segnato dalle due dimensioni inscindibili dell'amore: unione e procreazione.

24 il peccato dei progenitori Il progetto di Dio sulla coppia umana viene tragicamente sconvolto dall'irrompere del peccato nell'esistenza dell'umanità. Il peccato incrina profondamente l'unità originale: la divisione e la diffidenza inquinano la vita comune dell'uomo e della donna e si ripercuotono su tutta la loro discendenza, a partire dal fratricidio di cui si rende colpevole Caino. Molti commentatori antichi, come Clemente Alessandrino e Ambrogio, pensarono a una colpa sessuale, forse l'uso del matrimonio senza il permesso di Dio, e anche fra i moderni non sono mancati coloro che hanno voluto cogliere nel racconto allusioni sessuali. In effetti alcuni esegeti hanno creduto di poter riconoscere dei richiami sessuali nei simboli o nelle espressioni usati a presentarla. Il serpente sarebbe in relazione con i culti di fecondità; la manducazione del frutto proibito sembrerebbe un atto magico destinato a risvegliare la sessualità; l'uso di questa, ottenuto senza il consenso di Dio, si nasconderebbe dietro alla conoscenza del bene e del male, come indicherebbe il sorgere della vergogna e del sentimento del pudore (Gen 3,7). Questa indagine sul retroterra possibile dei simboli non è priva d'interesse; ma essa non deve coprire i legami del racconto con la letteratura sapienziale. Questo peccato-tipo, di fatto, è la trasgressione di un ordine - o piuttosto di una proibizione - posto da Dio, esattamente come ogni trasgressione di comandamenti. (P IERRE G RELOT, La coppia nella Sacra scrittura, Milano, 1987, 41).

25 il peccato dei progenitori / 2 La maggioranza degli interpreti propende invece per una interpretazione non sessuale del peccato originale, anche se vi sono simboli e allusioni ai riti di fecondità pagani. Sembra che l'atto di mangiare l'uva, le mele, i melograni in Ct 1,14; 2,15; 4,13; 7,9 alluda all'unione sessuale. Alle focacce d'uva, ricordate in Ct 2,5 (cf. Os 3,1), si annetteva una potenza afrodisiaca; cf. D. C OLOMBO, Cantico dei Cantici, Roma 1999, 61, nota. Il peccato consisterebbe più propriamente nella trasgressione, generata dal sospetto su Dio e dal desiderio magico di sostituirsi a Dio. Nel suo significato essenziale [... ] il peccato è negazione di ciò che Dio è - come creatore - in relazione all'uomo e di ciò che Dio vuole, sin dall'inizio e per sempre, per l'uomo. Creando l'uomo a sua immagine e somiglianza, Dio vuole per loro la pienezza del bene, ossia la felicità soprannaturale che scaturisce dalla partecipazione alla sua stessa vita. Commettendo il peccato l'uomo respinge questo dono e contemporaneamente vuole diventare egli stesso «come Dio conoscendo il bene e il male» (Gen 3,5), cioè decidendo del bene e del male indipendentemente da Dio suo creatore (G IOVANNI P AOLO II, Mulieris dignitatem 9). L'interpretazione data da san Francesco è molto suggestiva e si colloca su questa linea: il peccato consiste nell'appropriarsi dei doni di Dio, primo fra tutti la libertà, e nel non voler accettare di ricevere come dono quel che Dio offre, in pratica nel non voler accettare di essere creature davanti al Creatore (cf. Ammonizione 2).

26 il peccato dei progenitori / 3 La descrizione biblica del peccato originale nel drammatizzare una riflessione sapienziale distribuisce i ruoli della tragedia fra i personaggi. La precedenza della donna nel dare ascolto al serpente e nel notare la forza attrattiva del frutto, spesso letta come segno di responsabilità primaria (cf. 1Tm 2,13-14), non deve far dimenticare che nessun segno di dissenso appare nell'uomo così che, in un certo senso, la donna sembra più servire che non corrompere o sedurre l'uomo. Non c'è dubbio che, indipendentemente da questa distribuzione delle parti nella descrizione biblica, quel primo peccato è il peccato dell'uomo, creato da Dio maschio e femmina (G IOVANNI P AOLO II, Mulieris dignitatem 9). Esso fu un peccato della coppia: sono entrambi, uomo e donna, a peccare, perché essi mangiano insieme del frutto. Subito dopo il peccato originale l'uomo e la donna si scoprono nudi e si coprono (Gen 3,7). Secondo alcuni è il primo segno del pudore, allorché, in seguito al peccato, l'uomo e la donna fanno la scoperta di essere diventati oggetti l'uno per l'altro. Il coprirsi diventa un modo attraverso il quale poter dire: non sono solo oggetto, sono più del mio corpo, il mio corpo nasconde un mistero più grande. Secondo altri, forse più biblicamente, la scoperta della nudità è la scoperta dell'essere privi di protezione, ormai fragili ed esposti agli eventi e alle aggressioni. In ogni caso il primo effetto del peccato è deludente: l'uomo non solo non diventa Dio, ma diventa più cosciente del suo limite animale.

27 il peccato dei progenitori / 4 Le conseguenze del peccato sulla coppia furono disastrose, ferendo profondamente il senso originario della relazione fra uomo e donna: la coppia, creata per la comunione e per l'unità più grande, diventa luogo di conflitto e di divisione. La coppia si dissocia: l'uomo accusa la donna (e implicitamente Dio stesso che gliel'ha data come aiuto) addossandole ogni responsabilità. Invece dell'incontro, del sostegno e dell'unione, ci sono la guerra, la lotta, la competizione (Gen 3,11-12). L'agiografo riporta poi le parole divine che lanciano la maledizione sul serpente e annunciano dolori, sofferenze e fatica all'uomo e alla donna come punizione del peccato. In realtà non si tratta di punizioni: l'agiografo spiega attraverso queste parole che la dura condizione dell'uomo e della donna così come la lotta fra i sessi non fanno parte del progetto di Dio, ma sono una conseguenza del peccato, perché è stata infranta l'armonia nell'individuo, nei rapporti tra individui e nei rapporti con il cosmo. L'uomo, più forte fisicamente e più aggressivo sessualmente, è destinato a essere il dominatore: la donna solo attraverso la seduzione potrà tentare di compensare il potere dell'uomo (Gen 3,16-17): cfr. G IOVANNI P AOLO II, Mulieris dignitatem 9

28 il peccato dei progenitori / 5 Nei capitoli seguenti, la Genesi richiamerà l'attenzione sul dilagare del male nei discendenti della coppia primitiva e sugli effetti del peccato nella vita sessuale e matrimoniale dell'umanità, simboleggiati dalla poligamia che inizia con Lamech (cf. Gen 4,19) e dalle perversioni sessuali (lo si vede nel rapporto di Lot in Gen 19 e nei vizi di Sodoma in Gen 18). C'è tuttavia una speranza di riscatto e di ristabilire il progetto originario, perché Dio non abbandona le sue creature, e nella lotta tra la donna e il serpente Dio si schiera dalla parte della donna e della sua discendenza (Gen 3,15). Nonostante il peccato, Dio non ritira la sua benedizione di fecondità ed Eva genera un figlio (Gen 4,1). La benedizione sulla prima coppia verrà poi rinnovata nell'alleanza noachica: «Dio benedisse Noè ed i suoi figli e disse loro: "Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite la terra"» (Gen 9,1). Il peccato originale non ha distrutto l'immagine e la somiglianza di Dio nell'essere umano, sia donna sia uomo, ma le ha offuscate e deformate; il peccato non ha frustrato completamente il disegno divino, ma esso dovrà essere recuperato lentamente e faticosamente attraverso un cammino di guarigione e di redenzione.

29 i profeti e il matrimonio I profeti ebbero il compito di leggere e interpretare, alla luce dell'alleanza con YHWH, la storia travagliata del popolo di Israele. Essi non parlano direttamente del matrimonio, tuttavia più volte per esprimere il rapporto di amore e di fedeltà fra Dio e il suo popolo ricorrono a immagini e temi tratti dalla vita matrimoniale: Dio è lo sposo o il fidanzato fedele al patto d'amore, mentre Israele è la sposa o la fidanzata spesso infedele. L'accostamento fra il matrimonio umano e il rapporto privilegiato fra Dio e Israele serve ai profeti per superare una lettura legale dell'alleanza e sottolinearne le dimensioni intime e personali. Il profeta Osea è il primo che applica l'allegoria nuziale alla storia di Israele. Il Signore gli chiede di sposare una prostituta perché la prostituzione della moglie diventi un segno dell'infedeltà del popolo che si è dato a divinità straniere. Dio però non si arrende e progetta un nuovo fidanzamento che rinnovi la fedeltà e l'amore come nei tempi del deserto e che sia un fidanzamento eterno: «Ti fidanzerò a me per l'eternità, ti fidanzerò a me nella giustizia e nel diritto, nella tenerezza e nell'amore» (Os 2,21-22).

30 i profeti e il matrimonio / 2 Nel profeta Geremia il tema di YHWH sposo trova accenti teneri e appassionati: l'alleanza sinaitica è presentata come l'amore della giovinezza (Ger 2,2), ma poi Israele ha abbandonato YHWH e ha commesso adulterio, tanto più grave quanto più forte è l'amore dello sposo (Ger 2,32). La nuova alleanza sarà un ritorno all'amore della giovinezza da parte della vergine di Israele (Ger 31,22). Il profeta Ezechiele nel c. 16 ripercorre tutta la storia del popolo ebraico come un rapporto di attenzione e d'amore di YHWH per Israele, presentata attraverso l'immagine di una fanciulla abbandonata di cui Dio si invaghisce fino a farla sua: «Passai vicino a te e ti vidi. Ecco: la tua età era l'età dell'amore. Io stesi il lembo del mio mantello su di te e coprii la tua nudità. Ti feci un giuramento e strinsi alleanza con te - oracolo del Signore Dio - e divenisti mia» (Ez 16,8). Di nuovo l'allegoria nuziale torna nel c. 23 dove la storia di Gerusalemme e della Samaria viene descritta in termini matrimoniali. Il Deutero-Isaia, riflettendo sul dramma dell'esilio, paragona Israele a una donna infedele, ripudiata dal suo sposo offeso e sdegnato (Is 50-51). Il Signore, però, non mantiene per sempre la sua collera e ci sarà una nuova alleanza nella quale Israele, come vergine splendente e bella, potrà unirsi al suo Sposo (Is 54).

31 i profeti e il matrimonio / 3 Nell'ultima fase del movimento profetico (V secolo a.C.) si colloca la profezia di Malachia nella quale è contenuto un testo molto importante per noi. Rimproverando infatti il popolo che si lamenta di non essere ascoltato, pur offrendo sacrifici irreprensibili, Dio lo accusa di aver sposato donne pagane e di infedeltà verso le proprie spose: «E chiedete: "Perché?". Perché il Signore è testimone fra te e la donna della tua giovinezza, che hai tradito, mentre era la tua compagna, la donna legata a te da un patto [beri't]» (Ml 2,14-15). Mentre fino a quel momento i profeti avevano presentato l'alleanza in termini matrimoniali, Malachia presenterebbe il matrimonio in termini di alleanza. Anche se non tutti gli autori concordano con questa interpretazione, è indubbio che l'uso della metafora matrimoniale in riferimento all'alleanza apre la strada per comprendere il matrimonio come un'alleanza. Nel costume ebraico antico il matrimonio era concepito come uno strumento per stringere alleanze fra clan, ma ora l'alleanza fra Dio e il suo popolo diventa il modello per l'alleanza matrimoniale: il matrimonio è un'alleanza tra persone. YHWH è uno sposo innamorato e fedele, capace di gioie intense e di trasporti d'affetto, ma anche capace di provare gelosia e delusione, capace di soffrire, di attendere, di perdonare: il modello sponsale offerto da Dio mostra all'uomo a quali valori debba ispirarsi anche la sua vita matrimoniale. In conclusione, per i profeti, alleanza e matrimonio si illuminano reciprocamente e si incontrano nell'esperienza di un amore fedele e totale.

32 la letteratura sapienziale La letteratura sapienziale esalta e propone, con riferimento alla vita quotidiana, i valori del matrimonio adombrati dal grande messaggio profetico e conferma la persuasione che la sessualità è finalizzata a essere vissuta nella vita matrimoniale. Si descrivono spesso le gioie del matrimonio e della famiglia e, in particolare, il dono dei figli, si esorta a evitare la sregolatezza, si mette in guardia dal matrimonio con le straniere, si danno consigli ai giovani perché facciano una buona scelta matrimoniale, si insegna ai figli a rispettare l'autorità paterna e ad apprendere dai genitori la saggezza e il timor di Dio. Nonostante molti spunti di sapore misogino - riflesso di una mentalità diffusa nel mondo antico - i Sapienziali presentano modelli positivi di donna, dalla donna saggia e perfetta, capace di gestire la propria casa e di adempiere tutti i doveri della vita familiare, alla sposa compagna della vita.

33 la letteratura sapienziale / 2 Un'espressione significativa e poetica della visione veterotestamentaria del matrimonio è offerta dal libro di Tobia. Si tratta, secondo gli esegeti, di un racconto edificante del genere midrashico sulla base di Gen 2,1: «Non è bene che l'uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile» (cf. Tb 8,6). Nel libro di Tobia il matrimonio è un fatto eminentemente religioso: l'incontro dell'uomo e della donna è disposto dall'eternità, perché è la provvidenza che li conduce al matrimonio. La monogamia è assoluta e l'idea dell'indissolubilità del vincolo è espressa nel c. 8,7-17 dove si ricorda che l'amore coniugale è un amore che si distende nel tempo e che impegna totalmente la vita sino alla fine dei giorni. Questo libro è capace di gettare luce sul mistero nascosto in ogni incontro nuziale dell'uomo e della donna: il matrimonio risponde a un progetto di Dio e la coppia deve avvicinarvisi con un senso di rispetto e con profonda riconoscenza nei confronti del Signore, benedicendo Dio che benedice benigno i suoi fedeli.

34 la letteratura sapienziale / 3 Un posto a parte occupa il Cantico dei Cantici nell’Antico Testamento. L'opera ha origine controversa e datazione incerta. Gli esegeti la attribuiscono al V-IV secolo a.C., anche se è probabile che il redattore post-esilico rielabori testi precedenti. Il Cantico contiene un'esaltazione dell'amore fra uomo e donna. L'audacia delle immagini e del linguaggio, tipici della poesia erotica, e l'assenza di tematiche espressamente religiose, e perfino del nome di Dio, condussero alcuni, in ambiente giudaico, a ritenerlo inadatto a essere inserito nel canone. Nella tradizione esegetica ebraica e cristiana prevalse una lettura allegorica del Cantico in riferimento all'amore di YHWH per Israele o di Cristo per la Chiesa ovvero di Dio per l'anima. Senza escludere la ricchezza dei sensi spirituali, il messaggio del Cantico riguarda primariamente il valore dell'amore umano in sé. Mentre i profeti sviluppano il concetto della somiglianza tra alleanza e matrimonio, il Cantico ci porta a scorgere la misteriosa capacità dell'amore umano a significare l'amore trascendente di Dio anche senza riferirsi esplicitamente a Dio. Il Cantico è a un tempo corpo e anima, sensuale e spirituale, tenero e trascendente, umanissimo e divino. Il Cantico è un libro profondamente biblico. L'amore in esso corrisponde alla logica della incarnazione.

35 la letteratura sapienziale / 4 Quando un uomo e una donna si amano di amore autentico si manifesta in loro l'amore stesso di Dio come in un sacramento primordiale, come ebbe a dire Giovanni Paolo Il nella prima catechesi dedicata al Cantico: Non è possibile separare [il Cantico] dalla realtà del sacramento primordiale. Non è possibile rileggerlo se non sulla linea di ciò che è scritto nei primi capitoli della Genesi, come testimonianza del «principio», di quel «principio» al quale Cristo si riferì nel decisivo colloquio con i farisei (cf. Mt 19,4). Il Cantico dei cantici si trova certamente sulla scia di questo sacramento in cui, attraverso il linguaggio del corpo, è costituito il segno visibile della partecipazione dell'uomo e della donna all'Alleanza della grazia e dell'amore, offerta da Dio all'uomo. GIOVANNI PAOLO II, Uomo e donna lo creò. Catechesi sull'amore umano, 413, n. 3. Il Papa santo ha dedicato al Cantico le catechesi 108-113, alle pp. 411-433.

36 3. SESSUALITÀ E MATRIMONIO NEI VANGELI Parlando un giorno con i discepoli di Giovanni, Gesù accennò a un invito a nozze e alla presenza dello sposo tra gli invitati: «Lo sposo è con loro» (Mt 9,15). Additava così il compimento nella sua persona dell'immagine di Dio-sposo utilizzata già nel Vecchio Testamento, per rivelare il mistero di Dio come mistero di amore. Qualificandosi come sposo, Gesù svela dunque l'essenza di Dio e conferma il suo amore immenso per l'uomo. Ma la scelta di questa immagine getta indirettamente luce anche sulla verità profonda dell'amore sponsale: usandola infatti per parlare di Dio, Gesù mostra quanta paternità e quanto amore di Dio si riflettano nell'amore di un uomo e di una donna che si uniscono in matrimonio (G IOVANNI P AOLO II, Lettera alle famiglie, 2 febbraio 1994, n. 18) Nel Verbo fatto uomo tutta la realtà umana nelle sue molteplici dimensioni è redenta e messa in condizione di esprimere la sua intima verità. Egli, attraverso i misteri della sua carne, restituisce all'uomo l'immagine divina oscurata dal peccato e rivela le profondità inattese della corporeità umana come simbolo e sorgente di un amore sino alla fine. Questo è il vangelo sulla sessualità e il matrimonio, che il Signore Gesù ha annunciato con la vita e la parola, e che la Chiesa apostolica ha cercato di attuare nel suo tempo consegnandoci, negli scritti del Nuovo Testamento, la sua esperienza paradigmatica e fondante.

37 un'attitudine positiva Il Signore Gesù ha un atteggiamento positivo nei confronti del matrimonio e della sessualità: egli non dimostra in nessuna circostanza di essere inibito o di disprezzare la corporeità e tutto ciò a essa connesso; al contrario, egli rivela un'attitudine matura e serena nei confronti del matrimonio e della sessualità e una sovrana libertà nei confronti dei pregiudizi del suo tempo. Ciò emerge in particolare nel suo comportamento verso la donna. Gesù, contrariamente alla mentalità del suo tempo, condivisa anche dai maestri e dottori della Legge, non mostra alcun tipo di disprezzo verso la donna. Si legga G IOVANNI P AOLO II, Mulieris dignitatem 12-16) Durante la sua vita Gesù ha intrattenuto molti rapporti con il mondo femminile. Parla pubblicamente con donne, anche con donne di dubbia reputazione, come nel caso della prostituta che incontra nella casa di Simone (Lc 7,37-47) o della samaritana (Gv 4,7ss). Ha donne tra i suoi seguaci, giungendo con alcune all'intimità dell'amicizia, come nel caso di Marta e Maria (Lc 10,38-42; Gv 11,1-40; 12,1-3). E ci sono donne tra coloro che lo seguono più da vicino; sappiamo anzi dal Vangelo di Luca che alcune di esse aiutavano, con i loro mezzi, la piccola comunità apostolica (Lc 8,1-3; cf. Mt 27,55). Ha avuto donne fra i discepoli - cosa davvero inaudita per un rabbi - come dimostra il tipico atteggiamento di Maria, sorella di Lazzaro, che «sedutasi ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola» (Lc 10,39).

38 un'attitudine positiva / 2 Una donna, la Maddalena, vede per prima il Risorto e lo annuncia ai discepoli increduli (Gv 20,11-18). Ma soprattutto non dobbiamo dimenticare che il Signore ha voluto nascere da donna (cf. Gal 4,4) e ha associato nella sua opera redentiva la madre. Agli occhi di Gesù la donna ha valore, e questa sua attitudine verso la donna è rivelata dal fatto che l'incontro con Gesù ha per loro un effetto liberatorio: siano prostitute (Lc 7,37-47) o adultere (Gv 8,3-11), malate nell'anima o nel corpo (Lc 13,11; Mc 1,30), siano vedove (Lc 7,13; 21,1-4) o straniere (Mt 15,28), esse ritrovano nell'incontro con lui il senso della loro dignità, della loro pienezza, della loro autonomia. L'impurità rituale delle donne è superata anch'essa: la donna colpita dalla metrorragia e quindi non solo malata, ma anche perpetuamente immonda, viene risanata per la sua fede nel Cristo (Mc 5,25-34). Ogni tabù che legava uomini e donne alla legge del puro e dell'impuro viene superato dalla purezza superiore chiesta dal Cristo, quella del cuore (cf Mt 5,8): Non ciò che entra nella bocca rende impuro l'uomo; ciò che esce dalla bocca rende impuro l'uomo [... ] Ciò che esce dalla bocca proviene dal cuore. Questo rende impuro l'uomo. Dal cuore, infatti, provengono propositi malvagi, omicidi, adultèri, impurità, furti, false testimonianze, calunnie. Queste sono le cose che rendono impuro l'uomo (Mt 15,10.18-20a)

39 un'attitudine positiva / 3 Gli evangelisti attestano anche la partecipazione del Signore alla gioia nuziale, basti pensare alla presenza di Gesù alla festa di nozze a Cana (Gv 2,1ss). Ma c'è qualcosa di più, perché il Signore Gesù presenta la sua esistenza come nuziale: egli è lo Sposo (Mt 9,15; 25,1) e l'annuncio del Regno è presentato come l'invito a un banchetto nuziale (Mt 22,2ss). Gesù introduce certamente un valore nuovo, quello della verginità, ed esalta il celibato quale segno di totale dedizione al Regno, come in Mt 19,10-12, dove si parla degli «eunuchi» per il regno dei cieli. Egli, però, non dice mai che il matrimonio è incompatibile con l'accoglienza del vangelo. A nessuno è chiesto l'abbandono o la rinuncia al matrimonio come condizione inderogabile per entrare nel Regno. È vero che si chiede agli apostoli di lasciare la famiglia per mettersi alla sequela del Signore e che in Luca troviamo passi nei quali sembra porsi una difficile compatibilità tra l'aver moglie e il rispondere all'invito del Regno, tanto per gli apostoli (Lc 18,28-30) quanto per i cristiani in generale (Lc 14,26); tuttavia, l'insieme della testimonianza evangelica converge nel confermare che la vita matrimoniale e familiare non contrasta con l'appartenenza al Regno. Gesù stesso ha voluto avere un padre e una madre e ha vissuto per trent'anni nella sua famiglia a Nazaret (Lc 2,51). L'attitudine di Gesù verso il corpo, la sessualità, il matrimonio è dunque serena e positiva: egli non disprezza né svilisce queste realtà create, ma le libera dalle deformazioni del peccato e le riporta alla loro verità fontale, al progetto originario di Dio creatore.

40 l’abolizione del ripudio e il ritorno al «principio» Nell'insegnamento di Gesù, un aspetto di discontinuità rispetto alla prassi e alla mentalità giudaica, vero segno dei tempi nuovi, è l'abolizione del ripudio. La condanna del ripudio e la proibizione delle seconde nozze tornano varie volte nei Sinottici appoggiandosi su un logion del Signore che viene presentato in contesti diversi e in forme leggermente diverse: in Mt 5,31-32 nel contesto del discorso della montagna; in Mt 19,9 e in Mc 10,11b-12 in un contesto di polemica; in Lc 16,18 incastonato fra due parabole che trattano della ricchezza, agganciato a un detto sulla legge di Dio; in 1Cor 7,10-11 nel contesto di insegnamenti su sessualità, matrimonio e verginità. In Mc 10,11b-12 si dichiara la proibizione assoluta del divorzio tanto per il marito come per la moglie: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio». La situazione prospettata in Marco presuppone che tanto il marito quanto la moglie abbiano il diritto di divorziare: questa situazione non è comprensibile per la mentalità e per la legge giudaica, ma si comprende alla luce del costume de facto vigente nel mondo greco-romano e rappresenta un'attualizzazione per i cristiani provenienti dal mondo pagano per il quale scriveva Marco.

41 l’abolizione del ripudio e il ritorno al «principio» / 2 In Lc 16,18, invece, troviamo due regole, entrambe rivolte all'uomo, e questo riflette più da vicino l'ambiente e la prassi giudaica: «Chiunque ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio; chi sposa una donna ripudiata dal marito, commette adulterio». Mt 19,3-9 e Mc 10,1-16 collocano il logion del ripudio al termine di una disputa con i farisei, e questo permette agli evangelisti di offrirci un messaggio di grandissimo valore sul matrimonio e, più in generale, sul senso della dualità sessuale. In Mc 10 si chiede a Gesù di prendere posizione sul ripudio in se stesso domandandogli «se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie» (Mc 10,2). Si tratta, in questo caso, di una vera e propria trappola: i farisei prevedono, infatti, che Gesù prenderà posizione contro il ripudio e quindi, ancora una volta, si metterà contro il costume giudaico e la legge di Mosè.

42 l’abolizione del ripudio e il ritorno al «principio» / 3 In Mt 19 la domanda posta dai farisei è meno diretta. Si chiede, infatti, a Gesù: «È lecito a un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo [katà pâsan aitìan]?». Per comprendere il senso esatto della domanda dobbiamo rifarci all'ambiente giudaico e alle dispute fra le scuole giuridiche. La legge di Mosè aveva regolato l'istituto del ripudio, come si è visto, ordinando al marito che volesse ripudiare la moglie di darle un atto o libello di ripudio (Dt 24,1-4). La motivazione che giustificava il ripudio era espressa in modo molto generico: 'erwat dabar, «qualcosa di vergognoso». La tradizione giuridica ebraica, nel tentativo di specificare il senso del generico 'erwat dabar, aveva sviluppato due tendenze, una rigorista e una lassista. La tendenza rigorista, rappresentata da rabbi Shammai, ammetteva il ripudio solo per gravi disordini morali della moglie, come per esempio l'adulterio. La tendenza lassista è rappresentata da rabbi Hillel che riteneva motivo di divorzio qualsiasi cosa nella moglie che risultasse spiacevole per il marito (ad esempio, essere una cattiva donna di casa) e da rabbi Aqiba che pensava fosse sufficiente l'aver trovato una moglie più bella. I farisei seguivano la tendenza rigorista e ammettevano il ripudio solo per motivi gravi, come l'immoralità o l'adulterio della moglie: mentre, dunque, i farisei ritenevano che potesse esserci non «qualsiasi motivo», ma almeno «qualche motivo» per il ripudio, Gesù oltrepassando la Legge, risponde che non c'è «nessun motivo».

43 l’abolizione del ripudio e il ritorno al «principio» / 4 In Mt 19 - così come nel parallelo marciano - Gesù volge lo sguardo al progetto di Dio sul matrimonio e, nella prospettiva di una giustizia superiore e della perfezione evangelica, dichiara superata la concessione mosaica del ripudio. Egli fonda il suo insegnamento sulla indissolubilità del matrimonio richiamandosi ad altri due testi della Torah, dal libro della Genesi, dal cui accostamento emerge sia il significato sponsale della sessualità umana, sia l'indissolubilità naturale dal patto coniugale: «Non avete letto che il Creatore da principio "li fece maschio e femmina" [Gen 1,27] e disse: "Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne" [Gen 2,24]? Così non sono più due, ma una sola carne» (Mt 19,4-6). Gesù conclude la sua halahkah in modo perentorio: «Dunque l'uomo non divida quello che Dio ha congiunto». La dualità sessuale è, dunque, finalizzata all'instaurarsi di una comunità di vita, e questa comunità di vita è naturalmente indissolubile. Gesù, infine, spiega la norma mosaica sul ripudio come una semplice concessione e non come un ordine. La concessione è motivata dall'amara constatazione della durezza di cuore, della sklerokardìa di Israele: il ripudio non fa parte del disegno di Dio sul matrimonio, ma Israele, ostinatamente chiuso alle esigenze dell'autentica volontà divina, non poteva comprenderlo. L'ordine riguardava, semmai, l'obbligo del marito di restituire alla donna la sua libertà attraverso un regolare atto di ripudio. Il Signore «rivela la verità originaria del matrimonio, la verità del principio e, liberando l'uomo dalla durezza del cuore, lo rende capace di realizzarla interamente» ( G IOVANNI P AOLO II, esortazione apostolica Familiaris consortio, 22 novembre 1981, 13).

44 le eccezioni matteane Confrontando i testi di Marco, Luca e Paolo con i corrispondenti di Matteo, salta agli occhi una differenza: mentre Marco, Luca e Paolo proclamano l'illiceità del ripudio in modo incondizionato, Matteo introduce, invece, nel logion quelle che sono convenzionalmente chiamate le eccezioni o clausole matteane, ovvero degli incisi che sembrano contenere eccezioni al rifiuto del ripudio o, per dirla con linguaggio successivo, eccezioni al principio dell'indissolubilità. In Mt 5,31-32, si trova questa antitesi fra la legge del Regno e la legge antica: Fu pure detto: «Chi ripudia la propria moglie le dia l'atto del ripudio» [Dt 24,1]. Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di immoralità [parektòs lògou pornèias; Vulgata: «excepta fornicationis causa»], la espone all'adulterio e chiunque sposa una ripudiata commette adulterio. In Mt 19,9, a suggello della disputa con i farisei, si legge: Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di immoralità [mé epì pornèias; Vulgata: «nisi ob fornicationem») e ne sposa un'altra commette adulterio e chi sposa una ripudiata commette adulterio. La presenza di questi incisi fa sorgere il dubbio che Matteo, pur insegnando l'indissolubilità del matrimonio, introduca eccezioni alla legge dell'indissolubilità. Sono stati versati fiumi di inchiostro su questa crux esegetica, senza trovare una soluzione soddisfacente e al di sopra di ogni contestazione.

45 le eccezioni matteane / 2 Prima di passare all'interpretazione globale degli incisi, è opportuno studiare il significato di ciascuna espressione: apolyèin, pornèia, parektòs e mé epì. Il verbo apolyèin può significare sia la «rescissione definitiva» del vincolo (ripudio/divorzio), sia la semplice «separatio a mensa et toro». Pornèia è un termine molto generico che ha ricevuto diversi significati. Nei LXX pornèia traduce spesso l'ebraico zenût, termine che designa diverse situazioni di disordine sessuale e in particolare la prostituzione e la fornicazione, anche in riferimento all'infedeltà religiosa e, più raramente, all'adulterio (cf. Sir 23,23), alle unioni proibite e ai matrimoni misti (cf. Tb 4,12). Nella letteratura intertestamentaria, zenût indica le nozze poligame, le nozze dopo il ripudio della moglie legittima e le unioni illecite per affinità. Analogamente anche nel Nuovo Testamento pornèia può indicare unioni incestuose per affinità (1Cor 5,1; cf. 1Ts 4,3) o altre unioni proibite in base alla legislazione giudaica (At 15,20-29; 21,25). Negli incisi matteani la pornèia potrebbe quindi indicare una qualsiasi impudicizia o fornicazione della moglie, o più precisamente la prostituzione o l'adulterio da parte della moglie (anche se ci si aspetterebbe il greco moicheia), o, addirittura, un'immoralità prematrimoniale che risulta in mancanza di verginità della sposa; altri, infine, pensano a un'unione illegittima per un qualche motivo.

46 le eccezioni matteane / 3 Il senso ovvio delle particelle parektòs/mé epì è quello esclusivo o eccettuativo, ma è possibile grammaticalmente, almeno per mé epì, un senso inclusivo («anche», «persino» : se si intendono le particelle mé epì e parektòs come inclusive, Gesù proibirebbe il divorzio anche nel caso di pornèia ) o anche preteritivo («a prescindere da» : Gesù tralascerebbe volontariamente di prendere in esame il caso di porrnèia, come se dicesse: «della pornèia parlerò in altra circostanza» ).Le soluzioni preteritive e inclusive, però, benché sostenute da autorevoli teologi ed esegeti sia antichi che moderni, non sono mai state prevalenti e stanno perdendo sempre più terreno. Le Chiese cristiane hanno inteso tradizionalmente gli incisi come vere eccezioni e hanno dato a pornèia il senso di un grave disordine morale di un coniuge. Mentre, però, ortodossi e protestanti hanno pensato che la pornèia fosse un motivo per divorziare e poter passare a seconde nozze, i cattolici hanno pensato che la pornéia fosse un motivo per separarsi, ma senza risposarsi. In base all'interpretazione ortodossa si riconosce che l'indissolubilità del matrimonio rappresenta la norma generale del cristiano, ma si ammette l'esistenza di casi particolari che la Chiesa può risolvere con indulgenza legittimando il passaggio a seconde nozze. Se Gesù avesse insegnato questo, non si vede, però, dove stia il motivo della disputa e la prova con i farisei, visto che questa era, in ultima analisi, l'opinione rigorista sui motivi del ripudio sostenuta anche dai farisei: l'uomo può divorziare dalla moglie solo per motivi molto gravi.

47 le eccezioni matteane / 4 I cattolici danno ad apolyèin il senso più generico di «separazione» e ammettono il valore eccettuativo delle particelle, ma l'eccezione viene riferita, appunto, alla separazione: «Chi si separa - cosa che è proibita se non in caso di pornèia - espone la donna all'adulterio». Non si tratta dunque di un'eccezione all'indissolubilità, ma si concede la separazione, senza la facoltà di accedere a seconde nozze, in certi casi di grave disordine morale del coniuge. La concessione della separazione senza la possibilità di risposarsi è chiaramente insegnata in 1Cor 7,10-11 e da essa dipende la prassi latina della separatio a mensa et toro. Il fondamento di questa prassi viene visto da Paolo nell'insegnamento del Signore stesso: «Agli sposati poi ordino, non io, ma il Signore: la moglie non si separi dal marito - e qualora si separi, rimanga senza sposarsi o si riconcili con il marito - e il marito non ripudi la moglie». Si tratta di una lettura molto antica, sostenuta da san Girolamo e, nel corso del tempo, da altri autori fra i quali san Tommaso d'Aquino e molti altri contemporanei

48 le eccezioni matteane / 5 Alcuni esegeti moderni hanno inteso l'inciso in senso eccettuativo, ma hanno svigorito la forza dell'eccezione sostenendo che la pornèia sarebbe un'unione illegittima o un concubinato e, ovviamente, unioni illegittime e concubinati non sono indissolubili. Questa tesi è stata difesa nel 1954 dal cattolico Joseph Bonsirven, per il quale pornèia indicherebbe un matrimonio in qualche modo irregolare, cioè uno pseudomatrimonio. Nel 1967 questa tesi è stata ripresa e precisata dal protestante H. Baltensweiler, il quale sostiene che le clausole siano dei ritocchi matteani per escludere dalla comunità cristiana alcuni matrimoni proibiti per «affinità» secondo Lv 18,6ss e ammessi, invece, dal diritto romano. In tal modo la Chiesa avrebbe dettato regole più severe di quelle previste dai rabbini per i proseliti che si convertivano dal paganesimo, analogamente alle disposizioni del concilio di Gerusalemme promulgate per evitare turbamento in seno alle comunità giudeo-cristiane (At 15,20-29; 21,25). Questa soluzione che dà a pornèia il senso di «unione illegittima» e, quindi, non veramente matrimoniale, è oggi accolta da un buon numero di studiosi, cattolici e non. A questa ipotesi interpretativa, per il suo carattere conciliante, si rifanno molte traduzioni sia ecumeniche sia confessionali, compresa la versione ufficiale della CEI (Nella Bibbia CEI 2008 Mt 5,32 è tradotto: «Chi ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima», mentre Mt 19,9 è tradotto: «Chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di unione illegittima». La versione CEI 1974 traduceva invece «concubinato». Sono sfumature che si muovono nella stessa linea ermeneutica)

49 le eccezioni matteane / 6 Le nuove proposte interpretative non hanno tolto valore alle interpretazioni tradizionali, quella latina della liceità della semplice separazione senza nuove nozze e quella orientale della possibilità di vere eccezioni al divieto di seconde nozze in determinati casi. Le due letture tradizionali conservano il loro valore, Comunque si risolva il problema del significato delle clausole matteane, bisogna ricordare che, se si collocano le parole del Signore nel contesto del richiamo (implicito in Mt 5,31-32 ed esplicito in Mt 19,3ss) al progetto originario di Dio sull'uomo e sulla donna, appare chiaro che il Signore pensa a un'unione definitiva e, secondo il piano divino, indissolubile. Nel tempo della Chiesa, ferma restando la misericordia per la fragilità umana, non può mancare una tensione costante di fedeltà alla volontà vera e originaria di Dio. Prima di concludere queste considerazioni sulle eccezioni matteane, si deve aggiungere qualcosa sulla questione generale posta da questi ritocchi matteani. Molti autori affermano infatti che queste eccezioni sono interventi del redattore in risposta a particolari situazioni delle comunità alle quali rivolgeva il suo vangelo, per cui le parole del Signore sarebbero state interpretate alla luce di tali situazioni. Tale operazione è del tutto possibile e non deve suscitare reazioni di scandalo: si tratta dello sforzo dell'evangelizzatore di comunicare le parole del Signore in modo che il loro senso sia adeguatamente compreso, anche all'interno di contesti molto diversi da quelli per i quali esse furono all'inizio pronunciate.

50 4. SESSUALITÀ E MATRIMONIO NEL CORPUS PAULINUM L'importanza della letteratura paolina per i temi sui quali stiamo riflettendo è grandissima. È in Paolo che si trovano alcune delle fondamentali idee sulla sessualità e sul matrimonio, idee nelle quali giungono a pienezza anche alcuni temi del Vecchio Testamento, e soprattutto quello del matrimonio come alleanza. Paolo non offre un'esposizione sistematica sulla sessualità e sul matrimonio perché le sue lettere sono legate a circostanze e a destinatari particolari, ma da quello che leggiamo più o meno sparsamente in esse è possibile trarre preziose indicazioni su ciò che Paolo pensava di questi argomenti. I cc. 5-7 della Prima lettera ai Corinzi contengono alcuni dei testi più importanti per delineare la teologia paolina intorno ai nostri temi. È ben nota la situazione di Corinto nell'antichità: città dai due porti, centro commerciale attivissimo, la corruzione e la dissolutezza erano comunemente associate alla città, al punto che il verbo korinthiazesthai applicato a una donna era ritenuto offensivo. Era celebre in tutto il Mediterraneo il tempio di Corinto dedicato ad Afrodite Pàndemos, che fu servito, a un certo momento, da mille ierodule o prostitute sacre. Questo ambiente immorale continuava a influire sullo stile della comunità, mentre dottrine devianti serpeggiavano tra i fedeli. Paolo deve intervenire per chiarire punti delicati e correggere storture e disordini.

51 dignità cristica del corpo La prima parte della lettera (cc. 1-6) è centrata su un tema molto sentito nel contesto culturale ellenistico, quello della sapienza. I corinzi pretendono di possedere una conoscenza profonda del mistero di Dio che li porrebbe su un piano di superiore perfezione spirituale. Essi invece - dice Paolo - non possiedono la vera sapienza perché la vera sapienza è quella della croce e si illudono di essere perfetti, mentre la loro comunità rivela con segni inequivocabili di essere ancora immatura nella vita cristiana (cf. 1,17-3,4). In seno alla Chiesa di Corinto ci sono fazioni e divisioni, ingiustizie clamorose e casi di scandalosa immoralità, tra cui un'inaudita pornèia che «non si riscontra neanche tra i pagani»: uno che ha preso in moglie la propria matrigna (5,1). Paolo sembra meravigliato non solo del fatto in sé, ma anche dell'indifferenza della comunità cristiana e ordina, pertanto, con molta severità, di prendere provvedimenti drastici contro l'incestuoso (5,33). I cristiani di Corinto devono vivere coerentemente la novità di vita nella quale sono stati introdotti accogliendo Cristo (5,6-8) e non possono mescolarsi con gli impudichi, i pòrnoi (5,9). Non si tratta degli immorali della città, altrimenti i cristiani avrebbero dovuto lasciare Corinto, ma dei cristiani immorali (5,9-13). I pòrnoi - si dirà nel capitolo seguente - così come idolatri, adulteri e altri peccatori, non erediteranno il Regno (6,9-10).

52 Nella seconda parte del c. 6 Paolo affronta alcune questioni di principio rifiutando opinioni inaccettabili in tema di morale sessuale che si sentivano nella comunità di Corinto. Qualcuno insegna: «Tutto mi è lecito» (pànta moi exèstin) (6,12) e qualcun altro: «I cibi sono per il ventre e il ventre per i cibi» (6,13). Sono veri e propri slogan etici ben collocabili nel variegato mondo culturale greco-romano. Il primo sembra un'affermazione di anomia gnosticheggiante che proclama la libertà del perfetto da ogni legge: «Il cristiano maturo è libero da ogni legge, anche dalle leggi morali sulla sessualità». Il secondo, di tipo naturalistico, instaura un parallelismo implicito fra cibi-ventre e sesso-corpo e insinua che la soddisfazione del desiderio sessuale è paragonabile alla soddisfazione del bisogno alimentare: «Il bisogno sessuale è un fatto naturale e non c'è niente di male a soddisfarlo». La risposta dell'apostolo è decisa. In riferimento ai primi egli osserva che se è vero che «tutto mi è lecito», «non tutto, però, è utile» e «io non mi lascerò dominare da nulla»: è quindi necessario un discernimento, giacché non ogni impulso symphèrei, è conveniente con il bene e, soprattutto, non può dirsi davvero libero chi è schiavo delle sue pulsioni (6,12). Ai secondi, egli ricorda che il corpo dei cristiani non è per la fornicazione, bensì per il Signore (6,13b): il contesto suggerisce che qui pornèia abbia il significato più comune nella lingua greca, quello di frequentazione di prostitute ovvero fornicazione (dal latino fornicatio, che deriva dall'uso delle prostitute di ricevere i clienti in giacigli sotto archi, fòrnices, ricavati nello spessore dei muri).

53 Chi si unisce a una prostituta - afferma Paolo - diventa con lei una sola carne. Attraverso il richiamo sorprendente a Gen 2,24, siamo così introdotti nella percezione paolina del corpo e della sessualità: nell'atto sessuale l'incontro non è mai puramente fisico, ma comporta sempre, in un modo o in un altro, una relazione interpersonale: «Chi si unisce alla prostituta forma con essa un corpo solo» (6,16). Il corpo non può essere considerato un semplice strumento per soddisfare l'istinto sessuale, né un'unione sessuale può essere giudicata indifferente: l'immorale pecca gravemente, perché pecca contro la dignità del corpo (6,18). Il corpo del fedele è, infatti, un tempio abitato dallo Spirito, è possesso del Signore, è membro di Cristo (6,19-20).Ogni fedele è unito al Signore e forma con lui un solo spirito e perciò, quando si unisce con una prostituta, l'immorale fa sì che «le membra di Cristo» diventino «membra di una prostituta». Riaffermata la dignità cristica del corpo, Paolo affronta, nel c. 7, diverse questioni che si raccolgono fondamentalmente intorno a due nuclei tematici, quello del matrimonio e quello della verginità, e che sembrano suscitate da un'espressione che non si capisce bene se sia sua o di fautori di tendenze ascetiche in seno alla comunità di Corinto: «È cosa buona per l'uomo non toccare donna» (7,1).

54 matrimonio e bisogno sessuale Secondo Paolo il matrimonio è connesso con la forza del bisogno sessuale: per lui, in continuità con la visione giudaica, il matrimonio è l'unico luogo in cui l'uomo e la donna possono soddisfare in modo legittimo il loro bisogno sessuale. Perciò scrive: «A motivo dei casi di immoralità [dià tàs pornèias] ciascuno abbia la propria moglie e ogni donna abbia il proprio marito» (7,2). Rispetto al soddisfacimento del bisogno sessuale nel matrimonio, l'uomo e la donna si trovano su un piano di piena reciprocità: l'uno ha un dovere da rendere fisicamente all'altra, un dovere reciproco, un debitum espresso in linguaggio giuridico (7,4: opheilén apodidòto, Vulgata: «debitum reddat») e quindi ciascuno ha una vera e propria autorità (exousiàzei) sul corpo e, quindi, sulla persona dell'altro in ordine al bisogno sessuale (7,4). Per quanto riguarda l'astinenza coniugale raccomandata - a quanto pare - da predicatori rigoristi, essa è dichiarata possibile per motivo di preghiera, ma deve essere temporanea, per evitare di dare spazio alla tentazione di Satana (7,5). Vale in generale il comando di «non astenersi l'uno dall'altro» (7,5), e l'idea che l'astinenza temporanea per la preghiera non sia un obbligo è rafforzata dal fatto che egli dice di accettarla katà syngnòmen, non katà epitagèn, «per condiscendenza e non per comando» (7,6). Paolo sostiene senza dubbio l'eccellenza del celibato e della verginità, ma è consapevole che questo dono (chò risma) non è per tutti e che alcuni hanno un dono, altri un altro (7,7; cf. Mt 19,11). Egli, perciò, consiglia come scelta preferibile per i cristiani non sposati e per quelli rimasti vedovi di restare senza sposarsi o risposarsi, ma afferma anche, molto saggiamente, che se i non sposati e le vedove non riescono a vivere in continenza (enkratèuontai), è meglio che si sposino, in quanto «è meglio sposarsi che bruciare» (7,9; cf. 7,39).

55 indissolubilità e unità del matrimonio Per Paolo le nozze sono indissolubili. È comando del Signore - dice esplicitamente Paolo - che la donna non possa separarsi dal marito e che, qualora si separi, debba rimanere sola o riunirsi a suo marito, e inoltre che il marito non possa ripudiare la moglie (7,10-11). All'inizio della Chiesa si presentava però la delicata situazione di una coppia già sposata in cui uno solo dei coniugi è diventato cristiano. Per risolvere questi casi, Paolo offre un'indicazione di cui si assume la responsabilità premettendo l'avvertimento «agli altri dico io, non il Signore» (7,12): se il coniuge non cristiano consente di vivere insieme, anche dopo il passaggio alla fede da parte del partner, allora non ci deve essere separazione. Rimanendo uniti, in qualche modo tanto il coniuge non credente quanto i figli sono resi partecipi della condizione di santità del coniuge battezzato (7,14). Se, invece, il non credente non accetta la convivenza con il cristiano e vuole separarsi, allora, secondo Paolo, il credente, tanto uomo quanto donna, non deve più ritenersi «soggetto alla schiavitù» (7,15). La prassi suggerita da Paolo in questo secondo caso non è del tutto chiara: non si capisce se, una volta abbandonato dal partner rimasto pagano, il credente sia anche libero di risposarsi. Ci sono stati dall'antichità fino a oggi autori nell'uno e nell'altro senso. Se però Paolo si limitasse ad affermare che il credente non è più tenuto alla convivenza, non si capirebbe il senso del «non essere più soggetti alla schiavitù». La prassi tradizionale della Chiesa si è strutturata nel cosiddetto privilegio paolino, secondo il quale è ammesso il passaggio a nuove nozze di un convertito sposato in precedenza il cui coniuge non accetti più la convivenza dopo la conversione (cf CIC, can. 1143). L'evoluzione della prassi e della dottrina del privilegium paulinum è stata faticosa: nel medioevo Innocenzo III e ancora nel 1886 una dichiarazione del S. Uffizio collegavano il privilegio con 1Cor 7,2-16; non così farà Pio XI nell’enciclica Casti connubii del 1930. Riguardo alle seconde nozze di persone vedove (questione che interesserà molto le prime generazioni cristiane), abbiamo già visto che Paolo consiglia di non risposarsi (7,8-9.39-40) ma, contro alcune tendenze rigoriste emergenti, afferma chiaramente che possono risposarsi (7,9) giacché, dopo la morte del coniuge, non sono più legate al vincolo matrimoniale. Le vedove sono tuttavia tenute a risposarsi «nel Signore», cioè con un cristiano (7,39).

56 matrimonio e verginità nei tempi ultimi Paolo presenta un atteggiamento complesso a proposito di matrimonio e di continenza: se da una parte insegna il valore del matrimonio, dall'altra proclama l'eccellenza della verginità. In 1Cor 7,28 si afferma che le vergini che si sposano non peccano, ma che esse con i loro mariti avranno thlipsin té sarkì, «tribolazione nella carne» (7,28b). Con queste parole Paolo caratterizza quella tensione religiosa che sperimentano i coniugi cristiani, i quali si sentono divisi tra le esigenze della vita di famiglia e le istanze della fede, particolarmente l'istanza escatologica. Con il termine carne l'apostolo indica per così dire l'uomo esterno, l'uomo cioè che, vivendo a contatto con le realtà terrene perché sposato e vincolato ad una famiglia, avverte come cristiano la tensione interna tra i doveri imposti dal suo stato e le istanze escatologiche della fede. Perciò nelle risposte sulle vergini (7,25ss), sui fidanzati (7,36-38) e sulle vedove (7,39-40), senza proibire il matrimonio egli consiglia che «ognuno rimanga nella condizione nella quale è stato chiamato» (7,24). Paolo dà per verginità e celibato motivazioni cristologiche. Il primo motivo è quello della totale e indivisa dedizione al Signore: «Chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore, come possa piacere al Signore; chi è sposato invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere alla moglie, e si trova diviso [kaì meméristai]» (7,32-34). Il secondo motivo è quello dell'imitazione di Cristo. In 1Cor 7,7 e 11,1 Paolo chiede ai corinzi di imitarlo, perché egli stesso sta imitando Cristo: «Diventate miei imitatori come io lo sono di Cristo» (11,1). Non sappiamo quale fosse la sua condizione, se celibe o vedovo o separato dalla moglie rimasta ebrea (quest’ultima tesi illuminerebbe il cosiddetto privilegio paolino con la vicenda personale dell'apostolo: 1Cor 7,12.16), ma è chiaro che Paolo non è vincolato di fatto da un legame coniugale e desidera che tutti possano vivere come lui: il non sposato è nella condizione di imitare più pienamente e più radicalmente l'esistenza terrena di Cristo, proprio come sta facendo Paolo. La vita celibataria viene giudicata preferibile, non per una valutazione negativa del matrimonio o per una disistima ascetica della sessualità, ma per il riconoscimento del suo valore evangelico. La vita celibataria rappresenta una condizione migliore rispetto al matrimonio perché l'imminente ritorno del Signore e l'afflizione che lo prepara - «le presenti difficoltà» (7,26) - rendono preferibile uno stile di vita che preservi dalle preoccupazioni mondane (7,29-34) e che conservi l'intimità conil Signore (7,35).

57 La vita matrimoniale per Paolo è buona, ma è difficile. Il matrimonio per sua natura porta a dedicare attenzione al mondo, alle cose della vita quotidiana, ai bisogni del coniuge, e sono proprio queste caratteristiche della vita matrimoniale a far sì che essa non sia la condizione più favorevole all'attesa del Signore. Il matrimonio non è un male, ma i tempi spingono a concentrarsi «senza deviazioni» nelle cose del Signore (7,35). Il matrimonio appartiene all'economia di questo mondo (eone) transitorio e ne condivide in qualche modo la provvisorietà: di qui l'invito agli sposati di vivere come se non fossero sposati, cioè distaccati dalle preoccupazioni della vita matrimoniale, giacché «passa la figura di questo mondo» e «il tempo si è fatto breve» (1Cor 7,29-31). La percezione dell'urgenza dei tempi spiega, infine, perché Paolo, nelle lettere a lui direttamente ascrivibili, non si soffermi sulla generazione dei figli: egli, pur mostrando di considerare i figli parte integrante della famiglia cristiana (cf. Ef 6,1-4; Col 3,20-21), non mette mai in relazione l'atto sessuale e il matrimonio con la procreazione: proprio perché l'imminenza dell'èschaton indebolisce il senso del procreare. Nelle lettere pastorali invece, anche a motivo della polemica antignostica, si insiste sul dovere di procreare, come mostrano 1Tm 2,15 (la donna si salva attraverso la teknogonìa) e 1Tm 5,14 (in cui si chiede che le giovani vedove si sposino e abbiano figli).

58 il «grande mistero» nella Lettera agli Efesini Il c. 5 della Lettera agli Efesini è una pietra miliare nella comprensione del senso della dualità sessuale e del matrimonio, stabilendo un rapporto tra il matrimonio e il mistero di Cristo e della Chiesa. L'epistolario paolino anche altrove aveva presentato il rapporto dei fedeli con Cristo in forma nuziale (cf. 2Cor 11,2) e aveva instaurato un'analogia tra il ruolo di capo, dell'uomo verso la donna, e il ruolo di Cristo verso l'uomo (cf 1Cor 11,2), ma qui la dottrina giunge a maturazione. La lettera si apre con la proclamazione del grande mistero della volontà del Padre (1,9) e della ricapitolazione di tutte le cose in Cristo (1,10). Questa ricapitolazione si attua con l'unità degli uomini nella Chiesa, nella quale viene sanata e superata ogni divisione (cc. 2-3). I cristiani, costituiti nell'unità in Cristo, sono chiamati a vivere secondo tale unità, nell'amore reciproco (4,1-6). L'esistenza cristiana è un'imitazione di Dio e un camminare nella carità al modo di Cristo (5,1-2) e la forma concreta di questa esistenza è la sottomissione reciproca «nel timore di Cristo» (5,21). Il concetto di sottomissione reciproca viene quindi esemplificato in tre aree della vita ordinaria dei cristiani del tempo: la relazione marito-moglie (5,22-33); il rapporto genitori-figli (6,14) e quello padroni-schiavi (6,5-9). In Ef 5,22-33 si ha, quindi, l'applicazione di un principio generale al caso specifico della vita matrimoniale. In essa la sottomissione reciproca si realizza come sottomissione della donna all'uomo («come al Signore»: l'uomo simboleggia il Signore) e come amore dell'uomo verso la donna («come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato la sua vita per lei»: la donna simboleggia la Chiesa).

59 Sottomissione e amore indicano qui la modalità reciproca del donarsi in Cristo tra marito e moglie. Non è dunque intenzione di Paolo dare norme sulla gerarchia intrafamiliare, egli vuole - più radicalmente - rileggere la relazione coniugale «in Cristo». Di fatto questa prospettiva scardina la struttura coniugale improntata alla subordinazione femminile e la supera attraverso il principio cristiano della sottomissione reciproca. Una questione rilevante è quella della sacramentalità del matrimonio. Si è a lungo pensato, infatti, che Efesini attestasse la sacramentalità o, almeno, vi si alludesse, come dice il Concilio Tridentino. La Scolastica, nell'elaborare la sua sacramentaria, fece ricorso a tale testo anche perché il greco mystèrion era stato tradotto dalla Vulgata con sacramentum. Al v. 31 si cita Gen 2,24: «Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due formeranno una sola carne». La lettera quindi aggiunge, al v. 32: «Questo mistero è grande: io lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa», «Tò mysterion toùto mèga estin, egò de lègo eis Christòn kài [eis] ten Ekklesìan». Il testo può ricevere diverse spiegazioni. Prima di tutto si può intendere mystèrion come il senso occulto del passo citato di Gen 2,24: l'unione di Adamo ed Eva narrata nella Genesi è come un'anticipazione, una figura dell'unione di Cristo e della Chiesa. Una seconda spiegazione ritiene che il matrimonio, già sul piano creaturale, abbia un senso nascosto corrispondente al progetto divino (mystèrion starebbe per l'ebraico oz e indica qualcosa di arcano che rimane sconosciuto se non viene manifestato da qualcuno). Paolo vi aggiungerebbe una connotazione cristiana, affermando che tale densità di senso appare ancora più vera se vista nella luce non solo della coppia archetipa (Adamo ed Eva) ma anche in quella della coppia escatologica (Cristo-Chiesa). Un'ultima possibilità riconosce il mysterion nel legame di Cristo e della Chiesa: l'unione uomo-donna viene qui considerata in Cristo e nella Chiesa, all'interno cioè del grande mistero della salvezza. In questa prospettiva il matrimonio cristiano viene a porsi come realtà misterica: il matrimonio è una rivelazione, un segno visibile dell'invisibile mistero che si attua in Cristo e nella Chiesa. Questa interpretazione orienterebbe il testo a una più diretta preparazione della dottrina cattolica sulla sacramentalità del matrimonio cristiano.

60 Tutte le ipotesi convergono nell'idea che per Paolo l'unione uomo-donna di Gen 2,24 abbia un rapporto con l'unione Cristo-Chiesa: il progetto genesiaco acquista nuova profondità e rivela un'intima connessione con il mistero di Cristo. Il mystèrion fondante, mistero nascosto nei secoli, è l'unità fra Dio e il mondo in Cristo. Ogni matrimonio nell'ordine creaturale è un mystèrion naturale che si radica nel mystèrion fondante e ne diventa symbolon o sacramento primordiale; ma solo il matrimonio dei cristiani è mystèrion salvifico, partecipazione piena al mystèrion fondante. Queste riflessioni saranno importanti per elaborare una teologia della sessualità e per argomentare la qualitas heterosexualis del matrimonio. Bisogna certamente evitare di imporre al testo sacro categorie teologiche che non gli appartengono: Paolo non poteva pensare con le categorie elaborate dalla Scolastica, né quindi poteva affermare che il matrimonio fosse «un segno efficace di grazia». D'altra parte, gli studi esegetici hanno confermato quanto sia appropriata l'asserzione del Tridentino che Ef 5,31-32 «innuit», «fa pensare» alla sacramentalità. Secondo Efesini il matrimonio è una realtà umana che rivela la pienezza del suo significato guardando a Cristo e alla Chiesa. Gli sposi cristiani non solo partecipano del mistero naturale del matrimonio, ma essendo «membra del corpo di Cristo» (Ef 5,29) sono la concreta realizzazione della relazione fra Cristo e la Chiesa. Non possiamo, infine, trascurare il messaggio di Ef 5 per quanto concerne la visione cristiana della vocazione coniugale. Gli sposi cristiani devono sapere che sono non solo chiamati, ma costituiti ontologicamente come visibilità del rapporto Cristo-Chiesa; la loro verità è dunque in una vita che sia pienamente attraversata dall'agàpe dell'unità e della riconciliazione, dalla donazione di Cristo e della Chiesa.


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