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Unità didattica n. 3 Il bambino e la malattia

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Presentazione sul tema: "Unità didattica n. 3 Il bambino e la malattia"— Transcript della presentazione:

1 Unità didattica n. 3 Il bambino e la malattia
Come vive il bambino la propria malattia? Che significati attribuisce al dolore, all'ospedalizzazione e alle altre limitazioni che essa comporta? Come interpreta gli eventi che si verificano in relazione alle proprie condizioni? ……….

2 La malattia si pone come un evento di rottura nella vita del bambino a seguito del quale tutto cambia: Si trasforma il modo di considerare e trattare il suo corpo; Cambiano l'ambiente fisico e relazionale, Mutano il clima emotivo e lo stile educativo usuali;

3 Tale discontinuità rappresenta di per sè un'esperienza potenzialmente traumatica per il bambino; come la sopravvivenza biologica è garantita dal mantenimento di una omeostasi interna ed esterna, così per l'equilibrio psico-emotivo è indispensabile una certa continuità o prevedibilità degli accadimenti, e le principali teorie dello sviluppo psicologico concordano sul fatto che l'esperienza della discontinuità costituisce il motore dello sviluppo se si mantiene entro i limiti della tollerabilità, superati i quali assume la valenza del trauma e diviene fonte di angoscia.

4 Nuove coordinazioni gestuali e verbali
Il supporto naturale per una crescita continua ed armonica è legato al processo che concilia gli apporti provenienti da : maturazione esperienza con gli oggetti esperienza sociale Progressive compensazioni in cui il bimbo oppone a perturbazioni esterne (ambiente) Nuovi comportamenti Nuove coordinazioni gestuali e verbali Lo stato di salute

5 Il processo è alimentato, nel bimbo piccolo, dalla costante empatia del rapporto madre-bambino
Uno dei compiti fondamentali dell’adulto è adattare l’ambiente ai bisogni e all’età del bambino (mettere a disposizione del bambino tanti oggetti da scoprire-manipolare guardare). L’attaccamento alla madre deve essere rispettato La separazione crea ANSIA nel bambino è una fase di crescita deve essere graduale il bimbo deve essere rassicurato L’ospedalizzazione spesso disorienta il bambino

6 La consapevolezza di malattia
Le reazioni che il piccolo paziente tenderà a mettere in atto di fronte a questa realtà nuova e sconosciuta saranno quindi in larga misura determinate da. dall'età dallo stadio dello sviluppo intellettivo raggiunto dalle sue esperienze precedenti dalla qualità delle relazioni che ha instaurato con le figure di riferimento dall'assetto psico-emotivo interno.

7 Reazione al dolore e alla malattia
I bambini reagiscono al dolore e alla malattia in modo molto vario, diverso da individuo a individuo e per gli adulti spesso difficilmente comprensibile. Tali differenze individuali non consistono tanto nell'esperienza del dolore in sè, quanto nel significato psicologico che vi si sovrappone. (Anna Freud) C’è una mescolanza tra componenti fisiche, psicologiche e relazionali dell'esperienza della malattia particolarmente stretta nelle fasi molto precoci dello sviluppo.

8 Reazione al dolore e alla malattia (2)
Nella prima infanzia il funzionamento del bambino è in gran parte determinato dalla condizione di simbiosi con la figura di attaccamento e dalla capacità di questa di svolgere efficacemente il ruolo di mediatore con il mondo esterno e pertanto le reazioni alla malattia saranno strettamente correlate a quelle della madre. Col procedere dello sviluppo psicologico ed il perfezionarsi della percezione del proprio corpo, l'esperienza di malattia si delinea in modo più appropriato ma si arricchisce contemporaneamente di ricordi di esperienze precedenti, di rappresentazioni e fantasie che derivano dal mondo interno del bambino.

9 Reazione al dolore e alla malattia (3)
Il bambino vive i suoi dolori fisici come la conseguenza non di accadimenti interni ma di un'aggressione, di un castigo o quantomeno di una mancanza di protezione da parte dell'esterno e perciò si sente nel dolore trattato male, minacciato, punito, in pericolo. Dolori fisici anche molto intensi vengono sopportati bene dal bambino finchè non siano investiti da angosce e da paure legate ai significati che al dolore stesso viene attribuito (abbandono, rifiuto, punizione, colpa). Quando l'angoscia aumenta, il dolore diventa per il bambino un avvenimento traumatico, del quale si ricorderà a lungo e contro la cui ripetizione cercherà di proteggersi con meccanismi di controllo, di evitamento o di tipo fobico, in misura tanto maggiore quanto più è stata impedita l'espressione dell'angoscia legata all'esperienza originaria

10 Reazioni emotive all’ospedalizzazione
BAMBINO: Tenderà a vivere tutta l'esperienza con un senso di minaccia che deriva principalmente dall'impossibilità a comprendere, a controllare e dal sentir venir meno la presenza del genitore, perché è il genitore stesso che lo affida al medico o all'infermiere o perché è troppo in ansia per essere realmente disponibile per il bambino. Se l'evento viene vissuto in un clima di dramma, di aggressività o di colpevolizzazione si può arrivare all'emergere di sintomi nevrotici.

11 Reazioni emotive all’ospedalizzazione
ADOLESCENTE: capace di comprendere gli eventi e le conseguenze della malatti/ospedalizzazione ma entrano in risonanza con i mutamenti fisici e di personalità, i dubbi relativi all'identità, i conflitti circa l'autonomia e l'indipendenza, enfatizzandoli. La situazione di malattia si caratterizza sul piano emotivo per l'aspetto della diversità, dell'estraneità dell'esperienza e per l'incomunicabilità, e tali vissuti possono complicare il già problematico confronto con gli altri, sfociando in reazioni di chiusura e isolamento, all'interno delle quali l'adolescente cerca anche di difendere il bisogno di indipendenza, minacciato dalla necessità di affidarsi alle cure esterne.

12 Effetti dell’ospedalizzazione
Sono state condotte numerose ricerche psicoanalitiche sulle implicazioni emotive della separazione precoce madre-bambino: R. Spitz(fine anni ‘50) egli riporto l’osservazione di bambini istituzionalizzati che vivevano esperienze di carenza affettiva parziale o totale i quali subivano un progressivo arresto di sviluppo della personalità. Questi disturbi di relazione passavano a stadi sempre più critici a seconda dei tempi più o meno lunghi della separazione. J. Bowlby (1969) ha dato sempre più importanza agli aspetti emozionali della ospedalizzazione, con la sua teoria psicologica sul “legame di attaccamento” e sulle conseguenze di una precoce separazione della diade madre-bambino: angoscia e depressione. Il percorso che ha condotto verso una umanizzazione sempre maggiroe delle condizioni di ricovero del bambino si muove dagli interventi del’assemblea generale delle Nazioni unite che promulgo nel 1959 la Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo, in cui si affermavano i principi volti a considerae l’unità psicofisica del bambino. I primi studi sulle implicazioni emotive della separazione precoce madre-bambino furono fatti alla fine degli anni cinquanta da Renè Spitz. Egli riportò l’osservazione di bambini istituzionalizzati che vivevano esperienze di carenza affettiva parziale o totale i quali subivano un progressivo arresto di sviluppo della personalità. Essi andavano incontro a un quadro depressivo che per le somiglianze con i segni clinici della depressione dell’adulto fu definito depressione anaclitica. Spitz evidenziò come questa progressione dei disturbi di relazione si attuasse attraverso il passaggio a stadi sempre più critici a seconda dei tempi più o meno lunghi della separazione. Successivamento, l’espandersi delle teorie psicologiche sul legame di attaccamento e sulle conseguenze di una precoce separazione della diade madre-bambino, studi centrati sula teoria di John Bowlby (1969) ha dato sempre più importanza agfli aspetti emozionali della ospedalizzazione. Per attaccamentosi intende la relazione che si crea fra chi cerca sicurezza e protezione e colui che gli offre aiuto e conforto. Il sistema di attaccamento non è sempre attivo; viene richiamato solo quando c’è una percezione di vulnerabilità e di incapacità. Nei primi anni di vita tale sistema ha la sua massima funzione poichè il bambino si percepisce vulnerabile ogni volta che di fronte a un disagio è incapace di eliminarlo. Nell’ adulto, invece, si attiva solo qundo c’è un vissuto emotivo molto traumatico.

13 Attaccamento: Il sistema di attaccamento influisce sul comportamento e fornisce l’esperienza emozionale: il bambino prova PAURA se la figura di attaccamento non è più vicina, RABBIA se essa non risponde alle sue esigenze, SODDISFAZIONE se capisce la natura delle sue richieste. Ogni abilità che il bambino possiede (linguistica, motoria, mentale) viene attivata per raggiungere lo scopo del sistema: la vicinanza alla figura di attaccamento fonte di sicurezza e serenità. Da quanto detto si può cpire quali possono essere le conseguenze emotive derivanti dal porre il bambino in una prolungata situazione di impossibilità a fruire del sistema di attaccamento. Bowlby ha descritto le forti reazioni di angoscia e depressive che il bambino esprime in seguito alla separazione dalla mamma, reazioni che possono fissarsi anche al di là del tempo di separazione, quando questa si ripete per llunghi periodi, manifestandosi con comportamenti di rifiuto o di perinvestimento. la relazione che si crea fra chi cerca sicurezza e protezione e colui che gli fornisce aiuto e conforto. Il sistema di attaccamento influisce sul comportamento e fornisce l’esperienza emozionale: il bambino prova PAURA se la figura di attaccamento non è più vicina, RABBIA se essa non risponde alle sue esigenze, SODDISFAZIONE se capisce la natura delle sue richieste.

14 Reazioni comportamentali – prima infanzia
J. Robertson (1973): individua nella ospedalizzazione due tipi di pericoli principali causati dalla separazione della madre: Traumatico: per la perdita della relazione con la madre; Deprivativo: per la perdita delle cure e dell’accudimento materni. Dall’osservazione dei bambini ospedalizzati Robertson evidenzia tre fasi di reazione: Protesta: fase iniziale. Si attua attraverso l’agitazione e il pianto Il bambino ha un forte bisogno della madre, nutre la speranza che ella risponderà al suo pianto. E’ addolorato, confuso, spaventato, spesso urla. Robertson nel 1973 individua nella ospedalizzazione due pericoli principali causati dalla separazione dalla madre: 1. traumatico: per la perdita della relazione con la mamma 2. deprivativo per la perdita delle cure e dell’accudimento materni. Dalle osservazioni svolte egli evidenziava come nell’infanzia, in particolare dai sei mesi ai tre anni, la separazione dalla madre portasse conseguenze particolarmente negative. La struttura mentale di un bambino di questa età è ancora immatura per razionalizzare ciò che sta vivendo; ricoverarlo separandolo dalla propria figura di attaccamento può incidere sull’armonico sviluppo dell’ IO. Osservando i bambini ospedalizzati robertson sottolineò come essi attuino una gradualità nella realzione all’ansia di separazione, fino ad arrivare a una fase di “assesstamento” che, come vedremo, è tale solo a una analisi superficiale. Le tre principali fasi reattive descritte da Robertson sono: 1. PROTESTA: si atta attraverso l’agitazione e il pianto, esercitato dal b. ancora con la speranza che questo possa essere un richiamo e che la madre torni. E’ una fase che può durare anche per più giorni ed essere tanto acuta che il bambino rifiuta ogni contatto con altre persone. 2. DISPERAZIONE: cessa l’agitazione, i movimenti si fanno più lenti , il pianto e monotono.

15 Disperazione: subentra alla protesta; cessa l’agitazione, cresce il sentimento di sfiducia. Il bambino è meno attivo, il pianto monotono, continuo, spesso distaccato e apatico. Negazione: è una fase di maggior interesse per l’ambiente che viene spesso considerata dal personale positiva, perchè il bambino sorride, partecipa attivamente ai giochi, sembra adattato. In effetti in questa fase esso attua una difesa e nega il bisogno della madre perchè non può sostenere il disagio del suo distacco. All’arrivo della madre si comporta come se non la conoscesse o la conoscesse appena e poi scoppia a piangere. NEGAZIONE: è questa una fase che viene spesso considerata dal personale positiva, perchè il bambino è più calmo, collabora di più ed è maggiormente disponibile. In effetti in questa fase esso attua una difesa e nega il bisogno della madre perchè non può sostenere il disagio del suo distacco. Illusoria positività di questa fase può essere verificata al momento della visita della madre, accade infatti di frequente che il b. si comporti con essa come se le fosse estranea e non protesti al momento che se ne va. Se una riflessione superficiale può far considerare il tutto sintomo di buon compenso emotivo, una valutazione più attenta ci comunica quanto sia abnorme questa perdita di attaccamento in un bambino piccolo. Sebbene quanto detto finora ci sembri lontano dalla noatra situazione attuale, in cui si è consolidata una umanizzazione della assistenza dei bambini in ospedale e non esistono reparti pediatrici in cui non sia prevista la presenza materna, situazioni simili possono verificarsi per i bambini appartenenti alle fasce svantaggiate della popolazione. Lo staff ospedaliero si trova a dover gestire l’ansia di questi bambini non solo per il loro futuro benessere emotivo ma anche perchè è solo placandola che riuscirà a instaurare con loro una relazione , a goderne la fiducia che si tradurrà nella capacità del bambino di affidarsi alle cure. Soprattutto in quei casi in cui al bambino serve un sostituto materno, sarebbe auspicabile che intorno a lui girasse il minor numero di infermieri possibile, che fosse sempre la stessa infermiera che si interfaccia ai suoi bisogni materiali ed emotivi. In questo modo il B. può individuare alcune figure che, benchè non possano colmare l’assenza della madre , gli permettano di avere dei riferimenti fissi con cui scaricare le tensioni e le angosce del proprio stato.

16 Reazioni comportamentali – seconda infanzia
Fra i 4 e 10 anni la malattia è prevalentemente l'occasione di una regressione più o meno profonda e duratura e le manifestazioni comportamentali sono inquadrabili nell'ambito del come queste dinamiche vengono gestite nella coppia madre-bambino. Rischio è che i comportamenti regressivi o manipolativi durino nel tempo e si stabiliscano come modalità relazionale privilegiata. Le procedure hanno un alto potere avversivo (= sono stimoli negativi che producono un effetto di disagio e pertanto una reazione oppositiva), acuito dall'essere somministrate non come conseguenza al comportamento del bambino, ma sulla base delle sue condizioni cliniche. Gli stimoli avversivi che il bambino riceve nell'ambiente medico sono quindi indipendenti dalla risposta; qualsiasi cosa farà il bambino non avrà modo di sottrarsi, nè potrà in alcun modo prevedere quando l'evento negativo si verificherà. Questa mancanza di controllo e di prevedibilità sugli eventi negativi che ci occorrono è tra le esperienze più patogene, e si associa secondo numerosi studi a reazioni gravi sul versante depressivo (Seligman, 1975). Secondo J. de Ajuriaguerra (1984) in riferimento a ciò si possono osservare due opposte modalità di reazione: nell'una prevalgono le tendenze oppositive e aggressive e il bambino come un piccolo tiranno esercita il proprio dominio sulle figure di riferimento attraverso la collera, l'impulsività e forme di provocazione o sfida, a volte pericolose per sè, come il mancato rispetto delle regole imposte dalla malattia. Nell'altra si osservano modalità comportamentali caratterizzate da passività, sottomissione e piena accettazione della dipendenza, che si accompagnano in genere a sentimenti di perdita e di colpa, a vissuti depressivi e di vergogna. Se si manifestano nell'ambito di una malattia cronica, queste tendenze portano facilmente a una graduale perdita dell'investimento sull'esterno e al ritiro nella condizione di dipendenza, con evoluzione verso quadri di inibizione sia fisica, sia intellettiva.

17 Poiché è il personale infermieristico a fornire le procedure, esso diventa facilmente uno stimolo discriminante per gli stimoli avversivi, avente cioè la funzione di anticipatore dell'evento spiacevole, e in quanto tale sarà in grado, da solo, di provocare la reazione negativa nel bambino. Questi meccanismi spiegano l'instaurarsi di reazioni di carattere fobico o di tipo ossessivo (finalizzate rispettivamente all'evitamento e al controllo delle situazioni negative) rispetto alle quali la soluzione non è certo ridurre gli stimoli avversivi, ma piuttosto aumentare il numero di stimoli neutri o positivi che vengono forniti (contatti visivi, interazioni verbali, gesti di affetto) in modo che il personale diventi uno stimolo discriminante per conseguenze sia negative che positive.

18 ATTEGGIAMENTI DI DIFESA MESSI IN ATTO DAL BAMBINO NELLE MALATTIE DI LUNGA DURATA
OPPOSIZIONE: rifiuta le limitazioni imposte dalla malattia o dalle cure SOTTOMISSIONE E INIBIZIONE: vissuto depressivo vergogna del proprio corpo e senso di colpa incapacità di comprendere la propria malattia SUBLIMAZIONE E COLLABORAZIONE: meccanismi difensivi positivi. Identificazione con l’aggressore (medico- infermiere) identificazione con il familiare colpito dalla stessa malattia Le razioni dipendono dall’età e dalla comprensione che il bambino ha della propria malattia. Il pericolo grave che corrono i bambini colpiti da malattia cronica è che spesso tutta la loro vita rischia di organizzarsi intorno alla realtà “malattia”. Prima dei 4 anni il bambino difficilmente percepisce la malattia come complessità di problemi; ogni episodio (ricovero, iniezione, separazione...) è vissuto isolatamente. Tra i 4 e i 10 anni la malattia acuta o cronica induce una regressione più o meno lunga; di fronte a una malattia che dura nel tempo, a un ricovero protratto il bambino organizza delle difese che possono raggrupparsi in 3 modalità: OPPOSIZIONE: il bambino rifiuta i limiti imposti dalla malattia o dalle cure. Tale razione può presentarsi con crisi di rabbia o di agitazione o sotto forma di negazione (fa quello che gli viene negato) SOTTOMISSIONE O INIBIZIONE:Il bambio può avvertire un sentimento di perdita della propria integrità coprorea e reagire alla malattia con vissuti depressivi o sensi di vergogna per il proprio corpo. Può vivere sensi di colpa e conseguentemente accentuare la propria passività e dipendenza SUBLIMAZIONE E COLLABORAZIONE: questo è un meccanismo difensivo più positivo. Spesso può esserci un’identificaizone con l’aggressore buono (molti bambini affermano che da grandi faranno i dottori) Per favorire l’instaurarsi di difese di questo tipo, è opportuno lasciare larga autonomia al bambino che impara a farsi carico del trattamento.

19 Reazioni comportamentali - preadolescenza e adolescenza
Adattamento alla malattia e alle cure è facilitato dall'acquisizione di abilità cognitive e relazionali che gli permettono di assumere un ruolo più attivo e partecipe. E’ fondamentale la fiducia che il paziente sente di poter riporre in quanti si occupano di lui. Rispetto delle sue esigenze e necessità, soprattutto quella di essere informato su ciò che sta accadendo e quello di essere garantito nel bisogno di indipendenza e di controllo. La qualità della relazione instaurata tra l'adolescente e il personale sanitario e l'efficacia degli scambi comunicativi saranno i migliori predittori delle reazioni del paziente di fronte alla malattia e delle sue conseguenze a lungo termine. In questa età l'esperienza di malattia si connota come maggiormente problematica perchè comporta un protrarsi della dipendenza fisica dalle figure genitoriali, che si scontra con la fisiologica spinta verso l'autonomia e la cura di sè. Rischio: l'adolescente può non accettare la malattia e mettere in atto forme di protesta con delle condotte trasgressive e di fuga, interrompendo le cure e i controlli.

20 PRESENZA ATTIVA E COSTANTE DELLE FIGURE PARENTALI
La presenza continua delle madri in ospedale non solleva comunque il personale da un delicato e capillare intervento in cui si rende necessaria tutta la disponibilità e sensibilità. All’interno del reparto pediatrico è necessario infatti valutare nelle madri la capacità di autonomia e quali siano invece gli ambiti in cui devono essere affiancate, rassicurate, sostenute e incoraggiate. Sarebbe auspicabile per che il personale infermieristico potesse lasciare alle mamme la gestione di ciò che sanno fare e che abitualmente fanno anche a casa . Questo perchè la madre accetta di essere esterna all’atto medico, ma si sente anche detentrice di tutta una sfera di cure correlate allo stato di malattia; il defraudarladi questo ruolo fa nascere in lei sentimenti di inadeguatezza, frustranti e talvolta pieni di rabbia, che si ripercuotono anche nei rapporti con il personale stesso. L’infermiere dovrebbe lasciare a chi accudisce il bambino dei margini abbastanza ampi di intervento senza che questo comporti in loro la percezione di perdere parte del propio ruolo professionale. I rapporti sereni tra i genitori e il personale infermieristico sono essenziali per permettere al bambino di vivere il ricovero senza ulteriori tensioni. Se esiste condivisione e collaborazione anche la msfre accetterà la cure con disponibilità e controllera l’ansia, in quanto sarà aiutata dal sentirsi in un ambiente di fiducia. L’impegno quindi del personale a instaurare un rapporto collaborativo, avrà sempre il positivo risultato di una madre relativamente serena e fiduciosa che darà al figlio un messaggio rassicurante, predisonendolo a vivere l’evento in modo più tranquillo, con il risutato di una migliore compliance alle cure A SEGUITO DI QUESTE RICERCHE SI E’ PASSATI DALLE PEDIATRIE TRADIZIONALI ALLE PEDIATRIE “APERTE” PRESENZA ATTIVA E COSTANTE DELLE FIGURE PARENTALI La presenza continua delle madri in ospedale non solleva comunque il personale da un delicato e capillare intervento in cui si rende necessaria tutta la disponibilità e sensibilità

21 La famiglia del bambino malato
Reazioni emozionali della famiglia Negazione Accettazione della realtà Senso di colpa Vissuti persecutori Modificazione delle dinamiche familiari Modificazione delle relazioni con il mondo esterno

22 IMMAGINE CORPOREA NEL BAMBINO MALATO
SENSAZIONI PROPRIOCETTIVE (dolorifiche, termiche, visive...) + SENSAZIONI CENESTESICHE (postura e movimento) = SCHEMA CORPOREO schema plastico in cui viene registrata ogni sensazione e ogni movimento LA MALATTIA PUO’ GENERARE NEL BAMBINO UN’ALTERAZIONE DELL’IMMAGINE DEL PROPRIO CORPO Parlando di bambino malato è necessario domandarsi in che modo il piccolo percepisce il suo corpo. Molti studi hanno chiaramente indicato che l’immagine corporea svolge un ruolo importante nel processo di adattamento del bambino all’ambiente e nella genesi ai alcuni distrubi psichici. Oggi è comunemente accettato il concetto di unità tra ciò che è “mentale” e ciò che è “corporeo”. Dall’insieme delle senzazioni propriocettive (dolorifiche, termiche, visive,...) scaturisce la conoscenza di sè; dalle sensazioni cenestesiche (postura e movimento) nasce l’esperienza del proprio corpo. Anche attraverso l’integrazione delle sensazioni propriocettive e di quelle cenestesiche si realizza la costruzione dello schema corporeo, che è uno schema plastico, in cui viene registrata ogni sensazione e ogni movimento. Quindi non solo la percezione, ma anche la rappresentazione (che nasce dal pensiero e dal ragionamento) concorre alla formazione dell’immagine di sè e del proprio corpo. Poicè nel processo di maturazione del bambino gli aspetti emotivo e cognitivi sono strettamente correlati e si influenzano reciprocamente, la malattia in genere, e quella cronica in particolare, può determinare nel bambino un’alterazione dell’immagine del proprio corpo. Il bambino può rifiutare la parte malata del suo corpo, sentirla come qualcosa che non gli appartiene, arrivando così a una pecezione distorta della sua immagine corporea. Il vissuto della malattia è Comunque molto influenzato oltre che dalle caratteristiche psicologiche del soggetto, anche dall’aambinete faliliare, da credenze e valori personali Inoltre il vissuto di malattia si modifica con l’età

23 I meccanismi di difesa del bambino
La negazione La regressione La proiezione Identificazione con l’aggressore Sublimazione e compensazione Isolamento e allontanamento dalla realtà

24 Family-centered care:
La famiglia Il benessere del bambino è inestricabilmente legato al benessere della sua famiglia e della comunità in cui vive Family-centered care: Filosofia assistenziale (1987, ACCH) che riconosce la centralità della famiglia nella vita del bambino e l’inclusione del contributo e del coinvolgimento della famiglia nel piano assistenziale. Nasce dalla necessità di mantenere la relazione tra il bambino ospedalizzato e la sua famiglia

25 Il concetto di fondo è che occorre prestare attenzione e cercare di soddisfare i bisogni non solo del bambino ma quelli di tutta la famiglia impegnata accanto a lui Heller 1996 : più veloce la ripresa e la guarigione, minori i livelli di stress Family empawerment Modello tradizionale Promuovere l’autonomia nella scelta, promuovere la capacità di scegliere valutazione Promuovere il controllo controllo Promuovere l’autocura dipendenza

26 Resistenze da parte degli infermieri
Paura di perdere il controllo sul processo di cura, di sentirsi sminuiti nel proprio ruolo di “dispensatori di cura” Diffidenza e sfiducia verso i genitori Impossibilità organizzativa L’infermiere è chiamato a integrare le informazioni provenienti dalla famiglia nel piano di cura Fornire informazioni e conoscenza, educare

27 Cambiamento nel rapporto famiglia-operatori
Da dipendenza a pariteticità Da decidere al posto di…… a sostenere la famiglia nelle decisioni da prendere (counselling) Da una situazione di “ignoranza” ad una situazione dove l’accesso alle informazioni sanitarie è semplicissimo (internet)

28 Atraumatic care Filosofia assistenziale che promuove la minimizzazione o l’eliminazione dei ogni distress fisico e psichico nel bambino ospedalizzato e nella famiglia Identificazione dei fattori di stress specifici della famiglia Minimizzare la separazione Minimizzare il dolore

29 Condizioni per favorire l’adattamento del bambino all’ ospedalizzazione:
presenza della madre: o di una figura parentale sostituiva. Mamma = terapeuta. Per evitare conflitti con il personale sanitario è bene decidere e definire con lei cosa ci si aspetta dalla sua presenza vicino al bambino (es. cure igieniche, gioco, etc.) possibilità di giocare: (per favorire l’inventiva, per stimolare l’apprendimento, per scaricare tensioni e ansie) Il gioco promuove il processo di identificazione e di accettazione degli interventi terapeutici. Con la fantasia il bambino può far fronte alle paure e l’infermiere può preparare il piccolo a vivere situazioni spiacevoli attraverso l’attività ludico-fantastica. GIOCO RAPPRESENTA LA CONTINUITA’ CON L’AMBIENTE FAMILIARE OGGETTO TRANSIZIONALE

30 routine nello svolgimento attività assistenziali: permette al bambino di prevedere certi eventi favorisce una sensazione di sicurezza Possibilità per il bambino di partecipare alle decisioni di compiere determinate scelte e attività: es. cosa mangiare, cosa bere, quando fare la medicazione favorisce la sensazione di esercitare un controllo sull’ambiente. Possibilità per il bambino, di ricevere tutte le spiegazioni su motivazioni e modalità di esecuzione delle varie procedure diagnostiche e terapeutiche: è importante ottenere la fiducia del bambino e questa fiducia la si raggiunge anche attraverso risposte franche alla sue domande. Invitare il bambino a ripetere su bambola i provvedimenti terapeutici che ha vissuto: dal al bambino la sensazione di padroneggiare la situazione

31 conoscenza dei bisogni psico-sociali dei degenti e dei loro familiari
Formazione continua del personale curante: non solo su aspetti tecnico sanitari ma anche su: conoscenza dei bisogni psico-sociali dei degenti e dei loro familiari conoscenza dei propri problemi emotivi Possibilità di non interrompere l’attività scolastica: fondamentale nella vita del bambino dai 7 ai 12 anni perchè: rappresenta la possibilità di continuare l’impegno nelle attività abituali (sentire meno l’ospedalizzazione) non interrompere l’abitudine al lavoro intellettuale (ripresa scolastica meno faticosa)

32 Malattia Cronica: una condizione fisica, psicologica o
cognitiva che determina limitazioni nelle attività quotidiane e richiede trattamenti specifici per un periodo prolungato. Interessa il % dei bambini

33 Dimensioni della Malattia cronica:
• modo e tempo di insorgenza • progressione • effetto sull’aspetto esteriore • effetto sulle attività quotidiane • effetto su comportamento e capacità di relazione con gli altri • tipo e intensità di cure necessarie

34 La malattia cronica nella prospettiva del bambino
1- gestione dei sintomi e delle limitazioni che comportano (cambiamenti connessi con le fasi dello sviluppo) 2- gestione delle terapie necessarie difficoltà di accettare trattamenti che interferiscono con le normali attività quotidiane concretezza dei processi mentali del bambino -> difficoltà a comprendere la necessità di trattamenti in assenza di sintomi. “manipolazione” dei trattamenti per valutare i propri limiti e capacità prima adolescenza: aumento della comprensione della malattia ->risposte estreme (interruzioni trattamento, comportamenti a rischio,oppure eccessi nell’adesione al trattamento)

35 La malattia cronica nella prospettiva del bambino
3- risposte emotive e cognitive alla malattia cronica le strategie di coping messe in atto dai bambini con mc che si osservano sono grandemente differenziate: dal massimo dell’adattamento al massimo della chiusura in sé dipendono da contesto sociale, età, sesso, contesto familiare ecc.. 4- raggiungimento delle tappe evolutive proprie dell’età può essere reso difficile da • limitazioni sensoriali • limitazioni imposte dal regime terapeutico • differenze nell’aspetto fisico

36 La malattia cronica nella prospettiva del bambino
5- Scuola frequenza e risultati condizionati da esacerbazioni della malattia 6- Confronto con i modelli sociali dominanti può influire negativamente sul concetto di sè e sull’autostima del Bambino può creare difficoltà al b. nell’affrontare commenti, e sguardi, atteggiamenti basati su disinformazione, luoghi comuni, idee stereotipate. -> infermiere: relazione, ascolto, informazione

37 La malattia cronica nella prospettiva del bambino
7- Rapporto con gli operatori sanitari e l’ospedale reazioni = adulti:sentimento di frustrazione, oggettificazione. La partnership di cura va costruita anche col bambino. 8- Preparazione all’ingresso nell’età adulta il b. tende naturalmente a contenere la malattia in modo che non pervada tutti gli aspetti della vita fornire con gradualità nuove informazioni sulla malattia consentire con gradualità che il ragazzo bilanci da solo i limiti imposti dalla malattia con il compiere talvolta atti a rischio. malattia cronica ≠ dipendenza

38 La malattia cronica nella prospettiva dei genitori
1- Acquisizione delle competenze necessarie a prendersi cura del bambino e gestire la malattia 2- Adattare i tempi quotidiani alle necessità della malattia del bambino 3- Aggiustamento dei ruoli familiari 4- Carico assistenziale e necessità di aiuto esterno alla famiglia

39 La malattia cronica nella prospettiva dei genitori
5- risposte emotive e cognitive: • diagnosi = fasi del lutto • stress psicologico, isolamento, stanchezza • frustrazione per l’assenza di miglioramento nonostante le cure e per il non raggiungimento dell’indipendenza. il lutto cronico o ciclico: il processo di aggiustamento non si conclude in una sola volta ma si ripresenta periodicamente strategie di coping: mantenere interessi personali, utilizzare aiuti esterni, cercare informazioni, focalizzare gli aspetti positivi, programmare giorno per giorno, parlare con altre persone.

40 La malattia cronica nella prospettiva dei genitori
6- riorganizzazione della vita familiare • normalizzazione: adattare i ritmi familiari al regime terapeutico del bambino e il regime terapeutico ai ritmi Familiari 7- Rapporto con gli operatori sanitari e l’ospedale • potenzialmente conflittuale (proiezione), talora difficile (difesa del bambino, pretese eccessive) • sete di informazioni, contrasto di informazioni sulla malattia, (Internet) • fare tesoro dell’esperienza dei genitori nel gestire la malattia a domicilio durante le ospedalizzazioni

41 La malattia cronica nella prospettiva dell’infermiere
L’infermiere deve dimostrare: competenza tecnica • fiducia • ridurre paura, ansia, dolore • abilità tecnica nelle procedure invasive

42 La malattia cronica nella prospettiva dell’infermiere
competenza relazionale • rapporto stretto, ripetuto, prolungato col bambino e la famiglia • fiducia e alleanza nel processo di cura • punto di riferimento nel centro di cura • elaborazione di informazioni e di input, “mediazione” con altre figure coinvolte e coi genitori Rischio elevato di Burn out

43 La malattia cronica nella prospettiva dell’infermiere
competenza educativa fondamentale nelle malattie croniche • informazioni sulla patologia modulate • addestramento all’autocura • rinforzi e riaddestramenti periodici • verifiche • monitoraggio dell’aderenza

44 DIRITTI DEL BAMBINO 1925: Dichiarazione di Ginevra (Unione Internazionale di soccorso ai bambini, auspicio Lega delle Nazioni) 20/11/1959: Dichiarazione dei diritti dei bambini (Assemblea delle Nazioni Unite). Viene affermato il principio fondamentale che il bambino possiede dei diritti a lui propri non è proprietà dei genitori. Carta dei diritti del bambino ricoverato in ospedale (U.N.E.S.C.O.) 13/05/1986: Carta Europea dei bambini degenti in ospedale (votata dal parlamento europeo).


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